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 2012  giugno 21 Giovedì calendario

IL “CAPRO ESPIATORIO”

Solo e assetato. Il neodetenuto senatore Luigi Luisi, alle sette di sera, conta i voti a favore del suo arresto e i bicchieri d’acqua bevuti in due ore e mezza. Centocinquantacinque i primi, ben quindici i secondi, sempre seduto e senza mai andare in bagno. Poi sfoglia i tabulati e la sua rabbia diventa minacciosa, davanti alla buvette: “Adesso che sono a totale disposizione dei magistrati ci sono degli approfondimenti che potrei fare, se lo vogliono. Ho molto da dire ai pm. Mi vogliono mandare in carcere? Faremo i conti. Io combatterò da senatore. Volevano anche costringermi alle dimissioni ma non ci sono riusciti”.
Il congedo dovrebbe essere drammatico ma gli esce una battuta alla Totò. Forse ancora non ha realizzato del tutto. I suoi legali gli ricordano che se non smette di parlare verranno a cercarlo. Lui recepisce: “Lasciatemi andare adesso, vado dove devo andare”. Lusi si infila in un corridoio. Chiama l’avvocato, incrocia Anna Finocchiaro, si ferma ad aspettare l’ascensore. Estrae i tabulati del voto dalla borsa, li ricontrolla: “Incredibile, Bianco ha votato contro di me. Almeno Rutelli ha avuto la decenza di non partecipare. Rutelli è stato intelligente. Ho notato che se la Lega non fosse rimasta in aula sarebbe mancato il numero legale”. “Incredibile” è l’aggettivo che ripete quando si accorge che anche la senatrice terzopolista Cristina De Luca ha detto sì alle manette: “Incredibile alla De Luca ho contribuito per anni”. L’ascensore arriva e Lusi scompare. Esce da una porta secondaria, sale un Suv nero. C’è anche suo fratello, che piange. L’ex tesoriere della Margherita va a costituirsi al carcere romano di Rebibbia. Arriva lì che è ancora giorno, intorno alle venti e trenta.
Ieri, l’ultima giornata di libertà di Lusi è iniziata come al solito. In treno da Genzano a Termini, quindi al Senato. Si è messo al suo banco e ha seguito i lavori. E ha capito che il suo destino era già segnato dalla sera precedente. Un collega-ambasciatore gli ha recapitato la funesta notizia: “Ieri sera (martedì, ndr), Schifani ha riunito i suoi a cena e ha dato l’ordine di mollarti. Mi dispiace. Berlusconi si è tenuto fuori”. Lusi incassa e ai cronisti confessa: “Sto vivendo un incubo”.
La pausa per il pranzo è lunga. Si riprende alle sedici e trenta. Lusi è un dead man walking che si rinchiude nel suo ufficio. Rifinisce il suo lungo discorso con i legali, riceve varie telefonate. “Tutte di solidarietà, ma non faccio nomi”, riferisce. A Roma ci sono quasi quaranta gradi. Nelle stradine che circondano Palazzo Madama ci sono i manifesti della Destra: “In questi giorni caldi mandiamolo al fresco”. C’è anche un picco sit-in dei militanti storaciani. Si conclude con il lancio di fette di mortadella. Le ultime ore di Lusi libero sono stritolate da una solitudine devastante. Al suo fianco, anzi alle spalle c’è solo il collega Alberto Tedesco, ex Pd salvato un anno fa dall’arresto per la malasanità pugliese. Tedesco è seduto dietro di lui. I due parlottano spesso. È lui, Tedesco, che si informa sulle trattative in corso nel Pdl. Votano o non votano?
Lusi smanetta sull’iPad e sul Blackberry contemporaneamente , beve acqua in continuazione. Alle sedici e cinquanta tocca a lui. È il secondo intervento, dopo quello del relatore Marco Follini. Lusi preferisce così. Chiede scusa ma il suo chiodo fisso sono gli ex vertici della Margherita. Francesco Rutelli ed Enzo Bianco, per la precisione. Rutelli è seduto quattro posti più in là, verso sinistra. Prende appunti, una smorfia ogni tanto. L’autodifesa di Lusi ha un titolo: “Sono il capro espiatorio, un colpevole per tutte le stagioni”. Passa dalla solennità alla poesia. Per la prima: “Un uomo va giudicato per come reagisce davanti al fallimento non al successo”. Per la seconda: “Che cos’è un ricordo? Non è niente, non puoi vederlo né toccarlo, ma è talmente grande da non poterlo distruggere”. Il ricordo è il “patto fiduciario” con cui per anni ha fatto il tesoriere: “Potevo gestire da solo 214 milioni di euro. È possibile, è credibile?”. Quasi davanti a lui, l’ex leghista Rosi Mauro, “capro espiatorio” per lo scandalo Bel-sito, mastica una gomma e annuisce convinta.
Le accuse a Rutelli riguardano anche la contingenza. Lusi denuncia il “traffico telefonico” del leader dell’Api per convincere alcuni senatori a ritirare la firma da una richiesta. Quella per il voto segreto. L’unica arma per scampare all’arresto. Lusi fa un appello alla sacralità della coscienza, il presidente del Senato, Schifani, lo interrompe: “Sono ventiquattro minuti che parla, la invito a finire”. L’ex tesoriere della Margherita risponde che gli mancano tre pagine. Quando conclude, il silenzio diventa angosciante. Nessuno applaude. Lui si siede, beve l’ennesimo bicchiere d’acqua, si tocca la fede, abbassa il microfono, poggia la testa sullo scranno, con lo sguardo verso l’alto. Il voto è alle sette di sera. Schifani comunica il risultato e Lusi sistema il tesserino da senatore nel portafogli. Per un po’ non gli servirà più.