Camilla Conti, L’Espresso 28/6/2012, 28 giugno 2012
Quante poltrone in banca– Più che un salotto, ci vorrebbe uno stadio. Perché il numero di consiglieri d’amministrazione delle prime dieci banche italiane spesso supera quelli dei giocatori di due squadre di calcio
Quante poltrone in banca– Più che un salotto, ci vorrebbe uno stadio. Perché il numero di consiglieri d’amministrazione delle prime dieci banche italiane spesso supera quelli dei giocatori di due squadre di calcio. Il record di poltrone per la sola capogruppo spetta a Ubi, con 34 posti a sedere. Ma in testa alla classifica generale si piazza Intesa Sanpaolo con un totale, controllate italiane comprese, di 275 seggiole, 28 delle quali sistemate fra consiglio di gestione e consiglio di sorveglianza della banca madre. Ecco perché si dice fosse diretto proprio a Intesa il richiamo del governatore di Banca d’Italia, Ignazio Visco, che nella sua relazione annuale ha rotto un tabù dicendo pubblicamente che le banche italiane sono governate male. Colpa anche di consigli d’amministrazione pletorici, conseguenza di fusioni non del tutto realizzate, che "deresponsabilizzano i singoli consiglieri e si riflettono negativamente sulla funzionalità degli organi collegiali". Secondo i calcoli di Bankitalia, solo nei primi dieci gruppi bancari si arriva a 1.136 cariche, escludendo le società estere. Oltre 700 per le sole banche controllate. Numeri incompatibili con l’esigenza di ridurre i costi di gestione degli istituti che oggi raccolgono meno di quanto impiegano. E frutto di un sistema che risponde ancora troppo a logiche di spartizione di potere, anche locale e politico per via del peso delle fondazioni azioniste. Un sistema malato di "poltronite" acuta, aggravata in alcuni casi dalla governance duale che non si accontenta di un solo consiglio di amministrazione, ma distribuisce cariche (e compensi) fra il consiglio di sorveglianza e quello di gestione. Un piccolo esercito dai costi non indifferenti, per circa un terzo legati alla busta paga dell’amministratore delegato cui si aggiungono bonus e mega liquidazioni. Certo, il numero di consiglieri deve consentire un’adeguata rappresentanza ai diversi soci. Così come si deve dare spazio agli amministratori indipendenti che fanno da garanti. Ma nei cda troppo affollati è inevitabile che le decisioni vengano prese prima o fuori. Per questo il monito di Visco è stato ribadito di recente anche dal direttore generale della Banca d’Italia, Fabrizio Saccomanni, davanti ai protagonisti delle fondazioni riuniti all’ultimo congresso nazionale dell’Acri: "Le banche italiane devono superare, se necessario per ridurre i costi e aumentare i livelli di efficienza, il modello federale che prevede società controllate e cda sul territorio che fanno capo a una holding. Interessi di tipo localistico non possono e non devono costituire un ostacolo". Un passaggio delicato, vista anche la tendenza dei rappresentanti degli enti a difendere il campanilismo bancario. E poco digerito dal presidente di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, che gli ha risposto piccato: "Il superamento del modello federale per ridurre i costi non può essere una regola generale". Piuttosto che togliere poltrone, il presidente e i consiglieri di sorveglianza di Intesa preferiscono tagliarsi di un terzo i compensi. Di certo, l’organizzazione del gruppo con 10 banche-reti controllate e i relativi consigli di amministrazione comporta costi elevati e duplicazioni. Un elefante, insomma, che pascola sul mito della banca di territorio vicina al cliente. Molte delle fondazioni azioniste difendono i loro piccoli feudi regionali dove sopravvive ancora qualche privilegio dei tempi che furono. Dalla Carisbo al Banco di Napoli, da Carifirenze alla Cassa di risparmio del Veneto, i cda sono un "salotto" ambito per i potentati locali. Eppure l’esperienza del Banco Popolare, ritornato dopo anni di governance dualistica al tradizionale board unico, insegna che si può rimanere radicati sul territorio e aumentare la clientela valorizzando comunque i marchi storici ma con una sola "testa"operativa. Dopo l’incorporazione delle sette banche controllate, oggi l’istituto veronese ha un unico consiglio di amministrazione con 24 consiglieri. Quindi il passaggio è stato da nove cda a uno (il Credito Bergamasco, quotato in Borsa, ha mantenuto la sua autonomia giuridica e un consiglio di 16 poltrone) e a regime, insieme alla riorganizzazione delle strutture operative, avrà un impatto positivo sull’utile netto del gruppo di oltre 90 milioni annui. A fare da apripista al cosiddetto "bancone" era stata, nel 2009, Unicredit che oggi conta comunque 20 posti nel cda della capogruppo e altri 124 nelle società controllate in Italia, dalla gestione del risparmio al leasing passando per Fineco e Pioneer. Una piccola galassia se confrontata con quella delle controllate straniere sparse in mezza Europa dove si conta qualche centinaio di consigli. Non a caso il 18 giugno l’amministratore delegato, Federico Ghizzoni, ha annunciato una riorganizzazione interna eliminando le sovrapposizioni, con l’obiettivo di creare "un gruppo più snello, locale internazionale allo stesso tempo". Con la cessione delle controllate Biverbanca e Consum.it, decisa per fare cassa in vista delle richieste dell’Autorità bancaria europea (Eba), sfoltirà poltrone anche il Monte dei Paschi. Così come si è già messa al lavoro la Banca Popolare dell’Emilia Romagna che ha già incorporato Meliorbanca e nei prossimi mesi assorbirà anche la Popolare di Aprilia, la Cassa di risparmio dell’Aquila e la Banca di Lanciano e Sulmona. "Il vero problema non è la quantità, ma la qualità", commenta Enzo De Angelis, partner di Spencer Stuart. La società di head hunting (i cosiddetti cacciatori di teste) ogni anno pubblica il Board Index, un osservatorio sui consigli di amministrazione delle prime 100 società italiane per capitalizzazione, che già nel 2011 aveva evidenziato alcune criticità del sistema: mancanza di piani di successione dei manager, ricambio limitato dei consiglieri, troppo spesso basato sul passaparola, prescindendo dalla competenza. Non si tratta solo di eliminare i doppi incarichi o di introdurre le "quote rosa", come è stato deciso dal governo. "Finora l’autovalutazione è stata troppo formale e poco di sostanza, quasi del tutto assente nel comitato nomine", aggiunge De Angelis. Per questo lo scorso 11 gennaio, appena insediato, il governatore Visco ha definito alcune nuove regole sul governo societario delle banche sottolineando che nei cda devono essere presenti soggetti con competenze diversificate. Consiglieri consapevoli di obblighi e poteri ma anche dotati di professionalità adeguate. E soprattutto pronti a dedicare all’incarico tempo e risorse. Se questi sono i principi, come si realizzano? Con una circolare inviata a tutti gli istituti Bankitalia ha chiesto di seguire una rigida prassi: fare un esame "approfondito" della composizione dei consigli in termini di quantità e qualità ottimali e poi trasmettere i risultati delle analisi alla stessa Vigilanza. I soci ne devono essere informati "in tempo utile" per tenerne conto. Entro il 31 marzo scorso, tutte le banche italiane hanno quindi dovuto trasmettere alla Banca d’Italia un documento nel quale sono stati indicati il metodo usato per l’autovalutazione, i profili analizzati, eventuali soggetti terzi coinvolti nella procedura di valutazione e le modalità con cui essi sono stati scelti, i principali risultati emersi e le azioni intraprese per rimediare ai punti di debolezza identificati. Resta il rischio che l’autovalutazione possa essere troppo generosa, se non peggio: in vista della scadenza di marzo pare siano circolati dei moduli "guida" prestampati. Una specie di Bignami del cda perfetto. Comodo per passare un esame, ma inutile per conquistare il diploma del mercato.