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 2012  giugno 28 Giovedì calendario

Uomini che picchiano le donne– Vanessa Scialfa, vent’anni appena, è stata strangolata e poi buttata da un cavalcavia dal suo ragazzo perché avrebbe pronunciato per sbaglio il nome del suo ex

Uomini che picchiano le donne– Vanessa Scialfa, vent’anni appena, è stata strangolata e poi buttata da un cavalcavia dal suo ragazzo perché avrebbe pronunciato per sbaglio il nome del suo ex. Delle altre, come Fabiola Speranza, Rosetta Trovato o Enza Cappuccio, nessuno ricorda nemmeno la storia. È una scia di sangue senza fine e dalla progressione agghiacciante, la violenza sulle donne: 119 quelle uccise nel 2009, 127 nel 2010, 137 nel 2011, già una sessantina nel 2012. In media più di una ogni tre giorni. Un’emergenza a tutti gli effetti, che però non pare essere percepita come tale nel Paese che fino a trent’anni fa nei processi ancora concedeva le attenuanti al delitto d’onore. Non solo: l’attenzione è rivolta quasi esclusivamente alle vittime dei maltrattamenti, sebbene solo intervenendo anche sugli autori possa esserci vera tutela. È proprio partendo da questo assunto che a Modena opera da sei mesi "Liberiamoci dalla violenza", un centro specializzato per gli uomini responsabili di abusi aperto dalla Ausl (Azienda unità sanitaria locale) con la collaborazione delll’istituto di Oslo Atv (Alternative to violence, alternativo alla violenza), che in Europa vanta la maggiore esperienza nel campo. È la prima struttura completamente pubblica in Italia di questo tipo, del tutto gratuita. La sede è all’interno di un consultorio e a eccezione di una sociologa sanitaria che coordina il progetto, lo staff è tutto al maschile: uno psicoterapeuta e due psicologi. Minimo l’impegno di spesa: due anni fa la Regione Emilia Romagna ha finanziato l’avvio con 35 mila euro, impiegati per lo più per la formazione, svolta da esperti norvegesi. In questi giorni ne ha erogati altri 15 mila per il 2012. Nel caseggiato giallo e grigio che ospita il centro non ci sono le belve peggiori: chi è arrivato qui lo ha fatto di propria iniziativa. Uomini che davanti alle percosse ripetute e alle compagne mandate in ospedale hanno capito di non farcela da soli a uscire da un gorgo di brutalità e sopraffazione e hanno chiesto aiuto. Attualmente sono una ventina i casi seguiti. "Chi decide di venire è già molto avanti, perché è consapevole del proprio problema", spiega lo psicoterapeuta Giorgio Penuti: "Per questo una delle prime cose che diciamo loro è che non sono dei violenti, ma che hanno avuto comportamenti violenti: presupporre un’essenza manesca sarebbe come ritenerla immutabile". Invece cambiare si può, come mostra il caso di Aldo, il primo ad aver completato il "percorso di accompagnamento al cambiamento": oltre trent’anni di matrimonio, alterchi continui, maltrattamenti vari e ripetuti che più di una volta costringono la moglie a farsi medicare al pronto soccorso. Poi lei, stanca, decide di andarsene di casa e lo mette di fronte alla scelta: "O cambi o è per sempre". Aldo accetta e si mette alla prova. Oggi, dopo cinque mesi, a "l’Espresso" racconta di essere un uomo diverso: "Mi hanno fatto capire che mia moglie ha solo bisogno di sentirsi rassicurata. Adesso, quando sento la tensione salire, basta che me la prendo tra le braccia o le faccio una battuta e ho già risolto il problema". Aldo attualmente è sotto monitoraggio. Ricadute non ne ha avute e gli incontri col dottore che lo segue si sono dilatati. Anche lui però, come tutti gli altri, nelle primissime sedute ha pronunciato giustificazioni deliranti alle angherie compiute. Un’antologia da brivido a pensare alle sofferenze, non solo fisiche, inflitte: "Lo schiaffo che le ho dato in fondo non era così forte", oppure "non è che le davo un ceffone o un cazzotto come fra maschi ma più moderato, e poi sulla spalla non in faccia". Uno è arrivato perfino ad affermare: "Sono un esperto di boxe e se avessi voluto colpirla seriamente, il pugno che le ho tirato non l’avrebbe certo fatta rialzare subito". "All’inizio il problema principale è la banalizzazione degli atti compiuti", spiega lo psicologo Alessandro De Rosa. Lo mostrano i racconti delle partner, alle quali il centro chiede un incontro nella fase iniziale: gli episodi riferiti sono sempre maggiori rispetto agli uomini, che tendono a ricordare solo i più gravi. "Quindi il lavoro si basa innanzitutto sulla ricostruzione dei momenti di violenza, ripercorsi lentamente come in una moviola per rendere evidente il legame fra le emozioni e i gesti. Il senso di fondo è che non è vero che si perde il controllo, come spesso si crede, semmai il contrario: si alzano le mani per riprendere la padronanza di una situazione che sfugge". Una scelta, insomma, che in quanto tale può essere elusa. "Non insegniamo a non provare rabbia ma a saperla riconoscere quando sta superando i livelli di guardia e incanalarla senza che sfoci nell’aggressione fisica. A cominciare dalla strategia del time out, allontanandosi da un conflitto prima che degeneri, magari semplicemente uscendo di casa". Il percorso terapeutico prevede tre colloqui preliminari per verificare l’effettiva volontà di cambiamento, poi incontri individuali settimanali, in seguito dilatati nel tempo. A settembre inizieranno anche le sedute di gruppo. Presto ancora per dire se funzionerà. Certo è che all’Atv di Olso, dove in 25 anni sono passati quasi 5 mila autori di violenze e la durata media del trattamento è di nove mesi, il 74 per cento degli uomini ha cessato gli abusi. Le storie mostrano un panorama di una desolante banalità del male, dalle sberle date per una cena preparata in ritardo alle botte per un tradimento solo immaginario. Frutti avvelenati di una concezione proprietaria che prevede la sopraffazione della donna non appena si discosti dal cliché che le è stato assegnato. Una discesa agli inferi spesso graduale, quasi impercettibile, che può cominciare con uno schiaffo, uno strattone, un insulto di troppo. Una, due, tre volte. Poi sempre più spesso, fino a convincersi che sia un comportamento normale o al limite provocato dagli errori degli altri, in una logica autoassolutoria che risponde al principio: "Tu mi esasperi, io ti punisco". Marco è arrivato solo da qualche settimana eppure già parla con consapevolezza delle proprie azioni: "La mia fidanzata mi incalzava perché aveva capito che la tradivo e un giorno per farla smettere l’ho picchiata. Da allora è diventata quasi una routine. Lei non mi ha denunciato, diceva che non voleva rovinarmi. Sono stato io a farlo l’ultima volta che mi è capitato: sono andato dalla polizia e ho raccontato tutto". Esistenze di solitudine e paura, come il quarantenne separato che ha chiesto aiuto perché teme di ripetere atti violenti sulla nuova compagna ma anche vite assolutamente normali, all’apparenza irreprensibili. Solitari e uomini dalla ricca e soddisfacente vita sociale. Operai e piccoli imprenditori. Studenti universitari e lavoratori prossimi alla pensione. Qualcuno cresciuto vedendo il padre alzare le mani sulla madre, molti no. Una situazione più diffusa di quanto si creda se solo a Modena e provincia, simbolo nell’immaginario collettivo dell’Emilia quieta e benestante, sono quasi 800 l’anno gli accessi ai pronto soccorso per maltrattamenti. "Si tende a ignorarlo ma la verità è che si tratta di un fenomeno culturale del tutto trasversale rispetto alla classe sociale d’appartenenza, reddito, età e livello di istruzione", ammette lo psicologo Paolo De Pascalis: "Nel 2006 l’Istat ha certificato che una donna su tre subisce qualche forma di violenza almeno una volta nella vita: un dato sconvolgente, eppure si continua a far finta di nulla". Forse perché, piuttosto che interrogarsi sulle ragioni profonde e l’estensione di questa realtà, è meno problematico credere all’esistenza di qualche isolato orco. Come in ogni favola che si rispetti.