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 2012  giugno 22 Venerdì calendario

IN POCHE

ore, nella giornata di ieri, la strategia del Lingotto in Italia è stata messa seriamente in discussione. La sentenza del Tribunale di Roma sancisce che a Pomigliano è stato deciso scientificamente di lasciare in cassa integrazione tutti gli iscritti alla Fiom. Tutti, senza eccezione alcuna. A meno che, come è accaduto in qualche caso, non decidessero di strappare la tessera per essere assunti. Il tribunale ha stabilito che questo è un colpo sotto la cintura inammissibile, mettendo in crisi l’idea, che qualcuno aveva accarezzato a Torino, di creare una fabbrica “defiomizzata”. Un sogno da monarchia assoluta che esula dalle regole vigenti in Occidente. Il secondo colpo è arrivato dal governo che ha ufficialmente riaperto la gara tra i costruttori di
automobili per trovare un sostituto della Fiat a Termini Imerese. E’ difficile che qualcuno risponda all’appello di Corrado Passera, ma se per caso avvenisse, la Fiat si troverebbe un concorrente in casa. La soluzione di affidare lo stabilimento siciliano all’improbabile progetto del costruttore di nicchia Massimo Di Risio sembra avviata al fallimento. Non è un mistero per nessuno che quella soluzione sarebbe stata abbastanza rassicurante per il Lingotto.
In un giorno dunque tutto è tornato in alto mare. E Torino si ritrova ora di fronte a un bivio cruciale. Ieri la tentazione di rispondere in modo muscolare a una sentenza difficile da raccontare all’estero, è stata forte. Ma all’ultimo momento dagli Stati Uniti, dove Marchionne si trova in questi giorni, è arrivata la consegna del silenzio. Un fatto inatteso che più di altri dà il senso della gravità della situazione. Se l’ad avesse dato retta ai molti che si sono affannati a soccorrere il Lingotto
nella giornata di ieri (dall’ex ministro Maurizio Sacconi, al presidente degli industriali torinesi Gianfranco Carbonato, a qualche sindacalista locale) avrebbe semplicemente annunciato che in queste condizioni e dopo questa sentenza non è più possibile investire in Italia. Molti ieri si attendevano
ad horasquesta
dichiarazione. Ma quali effetti avrebbe ottenuto?
Avrebbe certamente messo in difficoltà il governo. Perché la sentenza del tribunale di Roma applica una norma europea contro
le discriminazioni trasformata in legge dall’esecutivo Berlusconi e firmata da Sacconi. L’attuale governo non avrebbe certamente potuto attaccare il tribunale per difendere gli investimenti italiani della Fiat. E non avrebbe potuto fare altro che chiedere conto al Lingotto delle sue scelte convocando un tavolo con i sindacati per discutere degli impegni del gruppo in Italia.
E’ possibile che al silenzio di ieri seguano oggi dichiarazioni muscolari solo rinviate di 24 ore. Ma è anche possibile che di fronte al
bivio Marchionne decida di cambiare strategia. La Fiat si prepara in queste settimane ad affrontare uno degli autunni più difficili della sua storia. In ottobre, dicono gli analisti, la crisi dell’euro potrebbe avere conseguenze gravi sui mercati, a partire da quello dell’auto. Già oggi Marchionne chiede inutilmente all’Europa un gesto di responsabilità per governare la riduzione della capacità produttiva installata. E’ assai probabile che quell’appello cada nel vuoto e che ogni azienda sia costretta a fare i tagli per conto suo. Se non basterà il sacrificio di Termini Imerese (ora tornato in discussione), se saranno necessari altri tagli in un clima di forte tensione sociale, di tutto avrà bisogno la Fiat meno che di uno scontro all’ultimo iscritto con il sindacato in fabbrica. Tanto peggio poi se quello scontro avvenisse con il
governo costretto a difendere gli stabilimenti. L’impressione è che a Torino si cominci a considerare un lusso il braccio di ferro con il sindacato di Landini. Anche perché la linea degli altri sindacati che hanno accettato i contratti Fiat per difendere l’occupazione e gli investimenti sarebbe naturalmente in difficoltà nel caso in cui la crisi costringesse il Lingotto a chiudere linee di montaggio.
Da tutte queste considerazioni nasce probabilmente il silenzio di ieri. E’ possibile che oggi il Lingotto sciolga la riserva e decida di alzare la posta ponendo l’alternativa tra avere la Fiom in fabbrica o avere gli investimenti in Italia. Ma se accadesse, sarebbe come infilarsi in una strada senza uscita. Come in tutti i cambi di strategia è naturalmente necessario che per costruire un nuovo clima anche il sindacato di Landini faccia la sua parte. Forse il silenzio di queste ore è l’ultima occasione per tutti per imboccare una strada nuova.