Luciano Gallino, la Repubblica 22/6/2012, 22 giugno 2012
QUESTA
volta la Fiat ha perso seccamente. Aveva quattro fattori contro: troppi anche per la sua potenza legale ed economica. C’erano le ragioni della Fiom: come si fa a escludere da una fabbrica meccanica il sindacato più rappresentativo del settore, come si può pensare di impedirgli di nominare i propri rappresentanti? C’era una direttiva della Commissione europea, che non ammette discriminazioni di sorta nell’assunzione di lavoratori. Si è aggiunto un professore di statistica inglese, che ha ridicolizzato le affermazioni dei capi di Pomigliano secondo le quali non c’era stata nessuna discriminazione: era un puro caso se su oltre duemila assunti nella nuova società nata nella vecchia sede nemmeno uno risultava iscritto alla Fiom. Infine c’è stato un Tribunale che sembra non abbia guardato in faccia nessuno: ha trovato una direttiva europea favorevole ai lavora-
tori Fiom e su di essa ha fatto leva per emettere la sua sentenza. Non era scontato: da tempo infatti la giurisprudenza del lavoro ha dato sovente il maggior peso alle ragioni delle imprese, proprio in tema di licenziamenti, che non a quelle dei lavoratori.
A lume di buon senso, sarebbe dovuto bastare il primo fattore, le ragioni della Fiom, per indurre la Fiat ad astenersi dalle assunzioni selettive. Ma queste ragioni in precedenza erano state indebolite dal fatto che la Fiom ha avuto negli ultimi anni quasi tutti contro: gran parte dei media, la quasi totalità dei maggiori partiti, molti accademici, gli altri sindacati e perfino parti della Cgil. Ci volevano gli altri tre fattori, per ridare loro il peso che dette ragioni meritano.
La sentenza di Roma fissa, nella tormentata evoluzione
delle relazioni industriali in Italia, due punti essenziali. Il primo è che, tutto sommato, se uno fruga nella ormai sterminata legislazione dell’Unione europea - e le direttive della Commissione europea rientrano appunto in essa non tutte le sue espressioni vanno contro gli interessi dei lavoratori. Vi sono state, è vero, direttive sugli orari di lavoro, sulla necessità di eliminare ostacoli alla concorrenza, sulla necessità di rimuovere le rigidità del mercato del lavoro, che parevano chiaramente ispirate all’intento di ridurre i diritti del lavoro. La direttiva cui ha fatto riferimento il Tribunale di Roma per pronunciarsi contro le azioni discriminatorie della Fiat va palesemente nel senso di tutelare tali diritti, o quantomeno può venire utilizzata a tale fine.
Un secondo punto fissato
dalla sentenza di Roma è che non è ammissibile la costituzione di una società che si vuole del tutto nuova, che però utilizza gli stessi impianti, fabbrica lo stesso prodotto e assume in parte gli stessi operai, escludendo però quelli che hanno una tessera sindacale non gradita. Il tutto potrebbe avere evidentemente serie ricadute su iniziative analoghe che sia la Fiat che altre imprese potrebbero avere in mente.
Pomigliano è ormai un investimento avviato. È quindi difficile che la Fiat possa pensare di azzerarlo perché dovrebbe riassumere un buon numero di lavoratori della Fiom. Bisogna sperare che non ne faccia un pretesto per bloccare gli altri investimenti, a partire da quelli di Mirafiori, da cui dovrebbe provenire un rilancio delle sue produzioni in Italia, delle quali il Paese ha più che mai bisogno.