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 2012  giugno 20 Mercoledì calendario

TRATTATIVA STATO-MAFIA LE TELEFONATE SEGRETE


PALERMO- UN PATTO lungo vent’anni fa tremare ancora oggi molti potenti. E dopo tanto tempo, chi ha paura cerca appoggi e protezioni. In alto, fino al Capo dello Stato. Come l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino. Lui fa intendere che da solo non può sopportare tutto il peso di quel patto cercato con la mafia.
EQUALCUNO, al Quirinale, spende anche il nome del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Poi, si muove nell’ombra per risolvere nel più indolore dei modi un affaire che sembra trascinare nel gorgo rais della politica e burocrati di rango finiti nelle indagini dei magistrati di Palermo.
«Eccomi, io ho parlato con il Presidente e ho parlato anche con Grasso (il procuratore nazionale antimafia, ndr)», dice il consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio il 12 marzo 2012 rispondendo alle insistenti richieste dell’ex ministro Mancino che, per l’ennesima volta, gli chiede un intervento per tirarlo fuori dall’inchiesta dei pm siciliani sulla trattativa. Nicola Mancino si sente perduto, è incalzato dai magistrati che gli chiedono conto e ragione di certi suoi comportamenti al tempo delle stragi, e allora prova a chiedere aiuto al Quirinale. Protesta. Sostiene che i magistrati di Palermo e Caltanissetta e Firenze – quelli che indagano sulla trattativa – non si coordinano «e che arrivano a conclusioni contraddittorie fra di loro». L’ex ministro parla sempre con il consigliere giuridico del Presidente Napolitano. Ed è ascoltato, giorno dopo giorno.
Questa del 12 marzo scorso è solo una delle tante conversazioni intercettate dai magistrati di Palermo e finite nell’indagine che annuncia una richiesta di rinvio a giudizio per falsa testimonianza per lo stesso Mancino. I pm contestano le false dichiarazioni a Giovanni Conso, ex ministro della Giustizia; l’«attentato a un corpo politico» a Calogero Mannino (ex ministro dell’Agricoltura), ad Antonio Subranni e Mario Mori (ufficiali dei carabinieri), lo contestano anche al senatore Marcello Del-l’Utri, ai boss Totò Riina e Bernardo Provenzano. In concorso con altri due personaggi ormai morti, l’allora capo della polizia Parisi e il vice capo dell’amministrazione penitenziaria Di Maggio.
Le telefonate intercettate dalla Dia raccontano di un tentativo di insabbiare l’inchiesta, di depotenziarla, comunque di strapparla ai pm di Palermo. Sarà il procuratore nazionale Pietro Grasso ad opporsi. Ecco alcuni stralci di quei colloqui fra l’ex ministro Mancino e il consigliere giuridico del Capo dello Stato Loris
D’Ambrosio.
IL NOME DI NAPOLITANO
D’Ambrosio
(
D):
«Io ho parlato col Presidente e ho parlato anche con Grasso».
Mancino(M):
«Sì».
D:
«Ma noi non vediamo molte... molti spa-
zi purtroppo, perché non..., adesso probabilmente il Presidente parlerà con Grasso nuovamente... eh... vediamo un attimo anche di vedere con Esposito… (il procuratore generale della Cassazione, ndr)... qualche cosa... la vediamo insomma difficile la cosa, ecco...(...) Dopo aver parlato col Presidente riparlo anche con Grasso e vediamo un po’... lo vedrò nei prossimi giorni. Però, lui, lui proprio oggi dopo avergli parlato, mi ha detto: ma sai, io non posso intervenire. Capito, quindi, mi sembra orientato a non intervenire. Tant’è che il Presidente parlava di... come la Procura nazionale sta dentro la Procura generale, di vedere un secondo con Esposito».
M:
«Ma io Esposito l’ho sempre ritenuto molto debole, non è forte».
D:
«Però se ne sta andando fra un mese, quindi sa...».
M:
«Ma figuriamoci, ma...».
D:
«Però, ecco, questo è quello che vede il Presidente, adesso evitare il contrasto».
DOVE VOGLIONO ARRIVARE I PM
Mancino è agitato, si sfoga, per ora è solo un testimone nell’inchiesta ma ha paura di essere incriminato dai pm di Palermo per la trattativa fra Stato e mafia.
M:
«Anche se… non so dove vogliono arrivare questi, che vogliono fare».
D:
«Ma è chiaro che... che non si capisce
ma non si capisce neanche più la trattativa se devo essere sincero. Io l’oggetto della trattativa mica l’ho capito, no... mi sfugge proprio completamente».
M:
«Io personalmente ritengo di avere, diciamo, le mani pulite, la coscienza tranquilla (...) Uno che deve dire, quello che dice Martelli (l’ex ministro della Giustizia, ndr)? Ma Martelli non è fonte di verità».
D:
«Certo, ma io comunque riparlerò con Grasso, perché il Presidente mi ha detto di risentirlo. Però io non lo so... francamente... lui è ancora orientato a non fare niente, questa è la verità».
M:
«No, perché poi la mia preoccupazione è ritenere che dal confronto con Martelli... Martelli ha ragione e io ho torto e mi carico un’implicazione diciamo sul piano processuale ».
D:
«Ecco, insomma, noi ecco, parlando col Presidente se Grasso non fa qualcosa, la ve-
diamo proprio difficile qualunque cosa...».
I RETROSCENA DELLA LETTERA
Le telefonate fra Mancino e D’Ambrosio cominciano il 25 novembre del 2011 e continuano fino al 5 aprile scorso. Il giorno prima – il 4 aprile - il segretario generale della Presidenza della Repubblica Donato Marra invia una lettera al procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito chiedendogli informazioni «sul coordinamento delle inchieste fra le procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze sulla trattativa». Il giorno dopo Mancino si preoccupa soprattutto che quella lettera resti segreta. E chiama ancora una volta D’Ambrosio.
M:
«Io ho avuto questa lettera, ma siamo sicuri che non si diffonde notizia...».
D:
«Se adesso ha pazienza, gliela leggo...».
M:
«Sì».
D:
«Io a lei ho dato una comunicazione meramente informativa, mentre Marra ha scritto al procuratore generale, ma dopo che io avevo avuto i miei contatti, anche con il nuovo procuratore generale».
M:
«Ho capito».
D:
«Accompagnando la sua nota dalla condivisione del Presidente (...) . Io ero dell’idea di non mandare nulla, poi Marra ha detto: ma mandiamo la lettera in cui ci limitiamo a dire che abbiamo trasmesso. Dico: guarda che così può essere interpretata anche come un voler scaricare su Mancino la responsabilità. (...) Per cui in realtà quello che adesso uscirà, se esce, esce la lettera del Presidente, esce la lettera di Marra a nome del Presidente. E cioè che gli dice: dovete coordinarvi. Tu Grasso, cioè, fai il lavoro tuo, ecco».
ANCORA IL PRESIDENTE
C’è imbarazzo intorno a quella lettera. Mancino e D’Ambrosio ne parlano.
D:
«Lei può dire che la lettera è stata mandata al procuratore generale (della Cassazioproprio,
ne ndr). Poi, ha saputo che era ai fini di un coordinamento investigativo, lei lo può dire parlando informalmente col Presidente, perché no».
M:
«E va bene».
D:
«Non c’è niente, lui sa tutto, non è che non lo sa. L’ha detto lui, io voglio che la lettera venga inviata, ma anche con la mia condivisione
sostanzialmente».
E GRASSO BLOCCÒ TUTTO
Dopo la lettera del Quirinale, il nuovo procuratore generale Gianfranco Ciani convoca il procuratore nazionale Piero Grasso. È il 19 aprile. Esiste un verbale ufficiale di quella riunione. Parecchio esplicito: «Il procuratore generale rimarca l’importanza della funzione di coordinamento investigativo e della coerenza delle iniziative d’indagine collegate…». Sono le preoccupazioni di Mancino, il mancato coordinamento fra i pm. Ma la posizione di Grasso è netta: «Precisa di non avere registrato
violazioni del protocollo del 28 aprile aprile 2011, tali da poter fondare un intervento di avocazione a norma dell’articolo 371 bis codice di procedura penale…». Nessun mancato coordinamento fra le procure che stanno indagando sulle trattativa al tempo delle stragi. Tutto regolare. Tutto secondo legge.
Il procuratore nazionale antimafia dice che le inchieste sulla trattativa non vanno toccate. Le pressioni di Mancino finiscono nel
nulla.