Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 20/6/2012, 20 giugno 2012
CHI LO DICE È BRAVO
Del piccolo principe, a Parma, ricordano la principessa. L’essenziale non era invisibile agli occhi, ma domenicalmente riproposto, per le più morbose fantasie tifose, dagli schermi Rai. Il marito Daniel Bravo in panchina ed Eva la bionda, a giocare di doppio senso a Quelli che il calcio. Fabio Fazio la presentava come la bellissima moglie del dipendente in scarpini di quel Tanzi che a tempo perso faceva stampava titoli fasulli e lei monetizzava inarcando le ciglia: “Grazie, grazie, speriamo che mon chéri, almeno oggi, giochi qualche minuto”. Non accadde quasi mai perché nella città delle ipocrisie velate, l’allenatore Ancelotti, non puntò mai su nero o rosso. Non c’era dolore né passione nella comparsata di Bravo, solo oblìo e cattiva coscienza che ieri, a 15 anni dal suo addio, hanno riportato a galla un frammento di memoria molto contemporanea.
DICE, l’ex ragazzo prodigio che a 19 anni esordì in Nazionale battendo l’Italia, i record e l’eterna riserva di Zoff, Ivano Bordon, che il suo Parma, nella corsa scudetto 1997, non fece tutto quello che sarebbe servito per vincere un campionato concluso al secondo posto a due punti dalla Juve. Un traguardo mai raggiunto (né prima né dopo) che avrebbe potuto tramutarsi in trionfo. “Non ho mai concordato il risultato di un incontro, però ho subito una combine. All’ultima partita importante avremmo potuto giocarci il titolo, ma di fatto non avremmo mai potuto vincere. Allora all’intervallo ci siamo accordati per un pareggio, in perfetta serenità”. Nelle ultime giornate il Parma vinse contro Verona e Bologna e pareggiò a Torino con la squadra di Lippi per 1-1. Al vantaggio emiliano (harakiri di Zidane) rimediò un generoso rigore assegnato da Collina per fallo su Vieri, realizzato da Amoruso a un Buffon non ancora torinese. Nel giorno dell’imbarazzante decisione della Lega (sì alla scritta “30 sul campo”) in cui alla consolidata attitudine pilatesca (no alle tre stelle) si impianta un commovente tempismo, Bravo ci racconta una storia che già conoscevamo. Il film delle omissioni consumate al riparo degli spogliatoi: “Non capivamo”. (Forse parla di Thuram, ndr). “Gli dicevamo possiamo vincere, siete pazzi” o sempre nella confessione dell’ex talento del Monaco, la stenografia della derisione internazionale, delle regole non scritte, del pregiudizio che qualche radice, forse, deve pur averla: “Siamo in Italia, lasciate stare”. E Bravo, che amava il calcio come Camus ma non ne aveva le categorie: “Non c’è destino che non si pieghi con il disprezzo”, lasciò stare.
SPALANCANDO senza coraggio scenari ormai insondabili e quindi, spiace osservare, con relativa credibilità. Per sospettare che il pallone a sud del Brennero somigli a Venezia nei giorni di Scirocco non c’era bisogno di Bravo. Odore di laguna. Da 32 anni. Puzza di combine. Di comprati, venduti e messi all’asta. Figurine scollate dall’album che da tre decenni, con stanchezza proporzionale allo stupore, le inchieste sbattono in prima pagina per poi ritrovarne curricula e fotografie con qualche ruga in più, non appena superato l’uragano. Bisognerebbe liberarsi prima di diventare balene spiaggiate nell’isola del dubbio. Ci si arenò l’ex juventino Fabian O’Neill, lievitato a 120 chili e improvvisamente memore, tra un mojito e un’alba, di certi pareggi organizzati in presa diretta alzando entrambe le braccia e non ne evase Sandro Melli, ex di tutto un po’ che rimembrando Perugia-Milan 1-2 dell’estate ’99 (scudetto all’ultimo soffio per il Milan di Zaccheroni) rifiutò di entrare nell’ultima mezz’ora con un laconico: “I miei dirigenti sanno il perché”. Zeman, in situazione analoga, si girò di spalle davanti alla farsa di un Lecce-Parma balneare. Il brasiliano Tuta, devastatore di un evangelico pareggio tra Venezia e Bari venne insultato nel tunnel “Che cazzo fai? Stronzo” e messo sul diretto per Rio. La fine è più che nota. Eva Bravo oggi canta, è ancora bella e sembra Carla Bruni. Daniel riscalda il risaputo. In vacanza, pare, non andranno a Parma. “Siamo in Italia. Lasciate stare”.