ALBERTO MATTIOLI, La Stampa 20/6/2012, 20 giugno 2012
Quando l’oca nell’agnello faceva la gioia dell’imperatore - Il re Zhou della dinastia Shan, regnante dal 1570 al 1045 a
Quando l’oca nell’agnello faceva la gioia dell’imperatore - Il re Zhou della dinastia Shan, regnante dal 1570 al 1045 a.C., andava pazzo per le zampe d’orso al miele. Già procurarsi una zampa d’orso non è semplice, ma poi la ricetta prevedeva che andasse frollata per almeno un anno, meglio due, avvolta nel riso in un vaso ermeticamente sigillato con la calce. L’imperatore Gaozu della dinastia Han (dal 206 avanti Cristo al 221 dopo) era invece ghiotto di cane brasato in brodo di tartaruga, ricetta che a noi cheap ricorda irresistibilmente uno degli episodi di Fantozzi. Infine, quella fine gastronoma dell’imperatrice Wu Zetian della dinastia Tang (dal 618 al 907) si comportava come certi signori rinascimentali da noi, però mezzo millennio dopo. Piatto preferito era l’oca farcita arrostita dentro un agnello: una volta cotto il tutto, buttava l’agnello e mangiava l’oca. Ecco una mostra che riscatta da molti tristi risi nei ristoranti cinesi scadenti (quando poi si va in quelli buoni, o magari in Cina, ci si innamora subito di una cucina di funambolica bontà). S’intitola «Les séductions du palais», «Le seduzioni del palazzo», cioè «Cucinare e mangiare in Cina» ed è aperta fino al 30 novembre al Museo del Quai Branly, a Parigi: ma, su 130 oggetti esposti, 113 arrivano dal Museo nazionale di Cina di Pechino. Mostra, intendiamoci, serissima, accompagnata da un bel catalogo con saggi ponderosi e citazioni di LéviStrauss, perché ormai nessuno può dubitare che per raccontare una civiltà si debba considerare anche cosa si metteva nella pancia, e come lo si cucinava. Si parte con il primo mattarello, credo, della storia umana: questo, di pietra, ha da un minimo di quattro a un massimo di diecimila anni. Poi ogni epoca e dinastia fa i suoi progressi. Nel Neolitico antico l’invenzione è il «fan», i cereali bolliti; in quello medio, il forno; in quello tardo, le bevande alcoliche. Sotto gli Zhou, mille anni prima di Cristo, nelle cucine del palazzo lavorano 2271 persone. Sotto gli Han trionfano la lacca e le bacchette (e gli spiedini si cuociono su un grill uguale a quello dei barbecue attuali); sotto i Tang i cinesi mettono le mani in pasta, inventando spaghetti e ravioli. Il vino di cereali diventa un monopolio statale, proprio come oggi, e viene introdotta la più tipica delle bevande cinesi: il tè. Con i Qing, nel XVIII secolo, siamo al parossismo. Il servizio di bocca imperiale conta 400 persone più 150 eunuchi, che sfornano 12 mila pasti al giorno per la corte che affolla la Città proibita. E vengono codificati i tipi di banchetto: per i compleanni imperiali, per la promozione dei funzionari, per i vassalli, per i matrimoni e i funerali (che notoriamente mettono appetito, forse per reazione), per i sacrifici e via mangiando. Unica delusione, i servizi da tavola. Il catalogo parla d’oro, argento, smalto, giada, avorio e ovviamente di porcellana, ma in mostra ce n’è poco e quel poco è chic, però tutt’altro che spettacolare. Insomma, a Versailles, ma anche nelle regge dei principotti italiani, le tavole erano più scintillanti. Tant’è: resta il fascino di questo modo di cucinare la storia e raccontare queste storie di cucina. Del resto, i cinesi i veri amici non li salutano con un buongiorno, ma strillando: «Chifanle meiyou!», avete mangiato!