CARLO BERTINI, La Stampa 20/6/2012, 20 giugno 2012
Infrastrutture: in Italia la grande occasione persa - Senza una capacità forte di reazione dell’economia reale, anche la stabilità finanziaria non si mantiene», perché tra queste due cose «c’è una relazione di simultaneità»
Infrastrutture: in Italia la grande occasione persa - Senza una capacità forte di reazione dell’economia reale, anche la stabilità finanziaria non si mantiene», perché tra queste due cose «c’è una relazione di simultaneità». Ignazio Visco, numero uno della Banca d’Italia, inquadra così i termini del problema, inserendolo a giusto titolo nella più ampia cornice di tenuta del paese, appena prende la parola alla Camera ad un convegno su Infrastrutture e competitività. Dove i padroni di casa della Fondazione ItaliaDecide di Luciano Violante sfoderano 370 pagine di report su 10 opere strategiche e di annosa gestazione, dall’autostrada Livorno-Civitavecchia, alla BresciaBergamo-Milano, dai rigassificatori offshore in Toscana e Sicilia, fino alla Nuova Stazione Tiburtina, che dovrebbe diventare l’hub ferroviario più importante della capitale. Visco non elude «le polemiche dei giornali» su strade e autostrade che non sarebbero più una priorità per render moderno un paese: è vero, dice, che c’è bisogno di più concorrenza nei servizi, di un sistema di istruzione migliore e di più rapide risposte dal sistema giudiziario, ma non per questo non bisogna migliorare gli interventi per lo sviluppo di infrastrutture. Perché «l’economia va messa in grado di crescere». Qualche ora prima, a Radio anch’io, il ministro competente Corrado Passera anticipa l’intenzione del governo di introdurre forme di consultazione delle popolazioni locali sulle grandi opere e norme costituzionali che diano allo Stato la competenza esclusiva di infrastrutture strategiche. E’ una delle questioni cruciali che impediscono all’Italia di stare al passo con i vicini europei nella realizzazione di infrastrutture, ma non la sola. A mettere il dito nelle diverse piaghe aperte, ci pensa il Governatore Visco, che con linguaggio e toni mai spigolosi traccia un quadro impietoso di un comparto strutturale che, pur avendo una spesa «pressoché in linea con gli altri paesi europei, fa registrare tempi e costi superiori nella realizzazione di grandi opere». Come dimostra il fatto che in Italia «l’Alta Velocità ha costi per chilometro tre volte maggiori di quelli in Francia e Spagna». E se la spesa media è più elevata che altrove, in parte dipende pure da «motivi orografici e di antropizzazione del territorio, ma è evidente che non sono queste le uniche cause. E anche i tempi sono più lunghi». Visco cita «dati che fanno pensare», come la circostanza che dal 2000 al 2006 i ritardi per lavori sono stati pari all’88%, contro una media europea del 26%. Mentre gli aggravi di costi in Italia sono stati del 40% rispetto ad una media del 20% dei nostri partner. E che le dotazioni infrastrutturali siano inferiori agli altri paesi europei - in Germania e Inghilterra sono del 15-20% maggiori che da noi lo si vede ogni giorno circolando nelle nostre maggiori città: «A Roma abbiamo difficoltà con la metropolitana, con una rete di soli 37 chilometri, a Milano sono 83 km, a Londra la rete è di 400 km, a Parigi 200 e a Berlino 150 chilometri». Se poi negli ultimi tre decenni la spesa pubblica per investimenti in Italia non è stata inferiore a quella degli altri paesi, anzi è stata circa la stessa di Francia, Germania e Regno Unito, il divario con i nostri partner non dipende dall’entità complessiva, ma «da come si usano le risorse e ci sono margini elevati per migliorarne l’utilizzo». Anche se in effetti le risorse disponibili si sono ridotte: nel 2009 la spesa per investimenti era il 2,5% del Pil, nel 2011 è scesa al 2% e ci aspettiamo un calo per quest’anno». Una condizione critica che deriva da una varietà di norme esistenti da riordinare, da una carenza di selezione delle opere e che richiederebbe un monitoraggio degli stati di avanzamento dei lavori, nonché di una programmazione finanziaria pluriennale. Anche perché, dato non di poco conto, «la produttività e la scelta di localizzazione delle imprese dipende dalle infrastrutture». Insomma, una situazione problematica, che - come spiega il viceministro allo Sviluppo Ciaccia comporterà nel biennio 2013-2015 un fabbisogno quantificabile in 100 miliardi di euro per infrastrutture, da reperire per il 50% con capitale privato, la metà dei quali attraverso lo strumento dei project bond». Ma risalire la china sarà dura: come si evince da un’elaborazione dell’Ance, dal 2008 al 2012 le risorse sul bilancio dello Stato per nuovi investimenti infrastrutturali sono diminuite del 43%. Il rapporto annuale di ItaliaDecide monitora dieci grandi opere autostradali, ferroviarie, portuali e di recupero energetico, esaminandone le criticità e le «traversie burocratiche». Perché, «le cause prevalenti della mancata realizzazione di opere indispensabili - fa notare Violante - sono costituite da iter amministrativi vessatori, dall’esplosione dei costi preventivati e dal policentrismo anarchico del nostro sistema istituzionale; che frantuma il potere di decisione e quindi la responsabilità tra una miriade di soggetti». Mentre il capitale privato «esige certezza del diritto e stabilità dell’ordinamento che il nostro sistema oggi non garantisce».