Varie, 21 giugno 2012
fare MILANO - Cercavano soldi. Tanti soldi. Ed erano convinti di trovarli a casa di Franca Lo Jacono
fare MILANO - Cercavano soldi. Tanti soldi. Ed erano convinti di trovarli a casa di Franca Lo Jacono. Solo perché sua figlia Valentina aveva sposato Antonio, uno dei figli di Paolo Vivacqua: l’imprenditore di 51 anni ucciso con sette colpi di pistola nel novembre scorso a Desio. Un «rottamaio» che girava in Ferrari e in elicottero e per le sue spese prelevava fino a 400mila euro in contanti alla settimana. Ma è andata male. Il denaro, nell’appartamento di via dei Mariani, non c’era. E loro si sono rivelati tre rapinatori maldestri, con un piano decisamente malriuscito. E’ finita che la pistola si è inceppata, e loro, in cerca solo di soldi facili, hanno ucciso in modo efferato una mite pensionata di 61 anni, tagliandole la gola e lasciandola senza vita sul sedile della sua auto, in un lago di sangue. E’ durata meno di 36 ore la fuga di Antonino Radaelli, 51 anni di Desio, Raffaele Petrullo, 33 anni di Paderno Dugnano e di Antonio Giarrana 29 anni pure lui di Desio ma originario della zona di Ravanusa, la piccola città in provincia di Agrigento dove era nato Vivacqua e con la quale teneva ancora stretti legami. I tre sono stati fermati nella notte dai carabinieri di Desio su provvedimento del sostituto procuratore del Tribunale di Monza Manuela Massenz. Sono accusati di omicidio volontario aggravato, rapina aggravata, e (per i due autori materiali dell’esecuzione, Radaelli e Giarrana) di porto abusivo di armi. Nell’agguato, uno degli assassini è rimasto ferito. Il box sotto sequestro (foto Attilio Pozzi)Il box sotto sequestro (foto Attilio Pozzi) LE TRACCE - Sono state alcune gocce di sangue cadute sull’asfalto a guidare gli uomini del capitano Cataldo Pantaleo fino alla casa, dove si era rifugiato, subito dopo aver ucciso la povera pensionata. Un altro errore fatale: l’ assassino è andato a farsi medicare al pronto soccorso dell’ospedale di Desio, che ha subito avvisato i carabinieri. Incensurati, disoccupati da anni, i malviventi speravano di raggranellare molto denaro con poca fatica, rapinando i consuoceri di Paolo Vivacqua. Erano convinti che a casa dei parenti del facoltoso imprenditore, ucciso sei mesi fa in circostanze misteriose, ci fosse almeno una parte del suo ingente patrimonio. Ma si sbagliavano di grosso. Franca Lo Jacono e il marito Santo Cummaudo, entrambi pensionati, pensavano solo ai loro quattro nipotini. Da quando il genero, Antonio Vivacqua, era finito in carcere per reati fiscali, trascorrevano sempre più tempo a casa della figlia, per aiutarla ad accudire i bambini. Sabato avevano trascorso tutto il giorno a curare i piccoli. Solo verso mezzanotte Franca Lo Jacono è tornata nel suo appartamento, in via dei Mariani. Non poteva immaginare che i tre rapinatori la stessero pedinando. I rapinatori l’hanno inseguita fino dentro al garage. Qui le hanno teso la trappola. Uno le ha puntato contro una pistola. La donna ha reagito, suonando il clacson per attirare l’attenzione dei vicini. Il bandito, spaventato, ha tentato di fare fuoco, ma l’arma ha fatto cilecca. Allora un altro l’ha aggredita con un coltello. La donna ha cercato di sfilare il pugnale dalle mani del suo assassino, tagliandosi le mani. Per tutta risposta lui l’ha colpita con alcuni profondi fendenti alla gola, che l’hanno uccisa. Marco Mologni18 giugno 2012 (modifica il 19 giugno 2012)© RIPRODUZIONE RISERVATA *** LA STORIA La «colpa» di Franca Lo Jacono? Forse essere la consuocera di Paolo Vivacqua Il patrimonio milionario della famiglia Vivacqua Palazzina di via dei Mariani dove è stata uccisa Franca Lo JaconoPalazzina di via dei Mariani dove è stata uccisa Franca Lo Jacono DESIO – La sola «colpa» di Franca Lo Jacono? Forse quella di essere la consuocera di Paolo Vivacqua, il discusso imprenditore di Ravanusa assassinato come un boss nel suo ufficio a Desio. Sembra sia questo il motivo che ha spinto tre rapinatori a uccidere in modo spietato una tranquilla pensionata di 61 anni, tutta casa, nipotini e famiglia, nel garage sotto casa. Secondo i primi risultati delle indagini dei carabinieri di Desio, pare che i rapinatori fossero convinti che lei e il marito custodissero in casa propria una parte dei soldi di Vivacqua. E’ per cercare di impossessarsi di questo «tesoro» - risultato inesistente - che l’avrebbero aggredita e uccisa. Un fatto è certo: a Paolo Vivacqua e ai suoi figli, i soldi di certo non mancavano. Due anni fa il padre aveva subito una rapina. Bottino: 300mila euro in contanti. Nel novembre dell’anno scorso Vivacqua è stato ucciso come un bosso. Un killer lo ha freddato nel suo ufficio, con cinque colpi di pistola nel petto. Un’esecuzione in perfetto stile mafioso. Eppure la sua morte non aveva certo posto fine al suo impero economico. Una parte cospicua del suo patrimonio milionario - terreni, case, società immobiliari, gioielli, auto di lusso - era tuttora nelle mani dei figli Davide, Gaetano e Antonio. Quest’ultimo aveva sposato Valentina: la figlia unica di Franca Lo Jacono. Una vita da romanzo, quella di Paolo Vivacqua. Nato a Ravanusa, in provincia di Agrigento, non ha un soldo. Si arrangia facendo il muratore e il carrozziere. Poi si trasferisce in Brianza. E qui fa «carriera». BUSINESS E CRIMINALITÀ - Con la sua attività di rottamaio, inizia a occuparsi di smaltimento di metalli e di rifiuti. E’ il business del momento. Uno dei preferiti dalla criminalità organizzata. «Fa i soldi». Tanti, tantissimi soldi. Può permettersi case da sogno, guida una Ferrari, si sposta dalla Brianza alla Sicilia con un elicottero personale. Fa anche tanta beneficenza: acquista 20 moto da cross e le dona a una parrocchia in Camerun. Restaura a proprie spese il piccolo cimitero della natia Ravanusa. Ma la sua attività di imprenditore è sempre più spregiudicata: consulenze finanziarie, compravendite di terreni e immobili, gioco d’azzardo, giri di escort. Nel 2009 viene arrestato per frode fiscale in una maxi truffa da 180 milioni di euro che vede coinvolte aziende a Brescia, Napoli e Ravanusa. Per sfuggire all’arresto prende inutilmente la residenza a Pregassona, un piccolo comune vicino a Lugano. Il suo nome compare anche in un affare da 600mila euro: la compravendita di un terreno in Brianza per costruire un centro commerciale. Scarcerato, intesta la sua sempre più vorticosa attività di uomo d’affari ai figli. Il tenore di vita dei tre giovani è elevatissimo. Case di lusso, auto da centinaia di migliaia di euro. Dura poco. Un mese fa i tre figli di Vivacqua figurano tra gli 11 arrestati dalla Guardia di Finanza di Milano nell’ambito della «Metal connection»: un’inchiesta che porta alla scoperta di una frode fiscale da 600 milioni di euro finalizzata al commercio e allo smaltimento di metalli. Le tasse non pagate sono investite in società immobiliari e immobili. Solo una settimana fa le Fiamme Gialle sequestrano ai fratelli Vivacqua quote azionarie in società immobiliari, conti correnti, polizze vita e case. Le perquisizioni e le intercettazioni telefoniche e ambientali hanno coinvolto 30 società, tutte attive nel commercio di rottami metallici, distribuite nel territorio del Nord Italia con il sequestro di 63 conti correnti. Tra i beni sequestrati anche una Ferrari 360 spider, 11 autovetture, tra cui una Audi A8 munita di doppiofondo dove nascondere il denaro. E ancora: due abitazioni, due terreni, un autolavaggio, preziosi tra orologi, gioielli e lingotti d’oro. E denaro. Tanto denaro contante: nascosti in case, automobili cassette di sicurezza, banche, conti correnti intestati ad amici e parenti. Un giro d’affari con sempre più soldi, soci in affari, prestanome, società legate tra loro come scatole cinesi, sempre più vorticoso e incontrollabile, nel quale a un certo punto qualcosa si è inceppato. Marco Mologni18 giugno 2012 | 17:34© RIPRODUZIONE RISERVATA