Sergio Romano, Corriere della Sera 21/6/2012, 21 giugno 2012
In alcune risposte ha messo in evidenza i tentativi di riforme nella Russia zarista. Chi fu più riformista: Pietro I, Alessandro I o Alessandro II? E per l’Urss, Gorbaciov o Kruscev? Sergio Pippi sergio
In alcune risposte ha messo in evidenza i tentativi di riforme nella Russia zarista. Chi fu più riformista: Pietro I, Alessandro I o Alessandro II? E per l’Urss, Gorbaciov o Kruscev? Sergio Pippi sergio.pippi@alice.it Caro Pippi, Alla sua lista aggiungerei Piotr Stolypin, Primo ministro di Nicola II, autore di una riforma agraria che si proponeva la creazione di una figura sociale poco nota nella storia russa: quella del contadino proprietario. Si scontrò con le resistenze degli ambienti conservatori e fu ucciso da un personaggio ambiguo, per metà rivoluzionario e per metà agente dell’Okhrana (il Kgb di allora), nel teatro dell’Opera di Kiev il 14 settembre 1911. Il maggiore dei riformatori citati nella sua lettera è certamente Pietro il Grande. Distrusse lo Stato feudale dei suoi predecessori, «burocratizzò» la vecchia aristocrazia inserendola, con la «tavola dei nobili», nell’apparato della pubblica amministrazione, creò uno Stato nuovo, modellato su quello dei Paesi occidentali che aveva visitato nel corso di un «grand tour» europeo, e costruì una capitale che Puskin definì un «balcone affacciato sull’Europa». Sulle qualità riformatrici di Alessandro I, imperatore durante le guerre napoleoniche, ho molti dubbi. Fu apparentemente liberale, nello stile dei despoti illuminati del XVIII secolo, ma non rinunciò ad alcuna delle sue prerogative autocratiche e deluse le attese di quanti avevano riposto in lui le loro speranze. Molto più riformista fu Alessandro II, lo «zar liberatore» che emancipò i servi della gleba nel 1861 e creò, con la istituzione del consiglio territoriale (zemstvo), una sorta di democrazia rurale. Kruscev capì che l’Unione Sovietica era finita su un binario morto e cercò di riorganizzare l’economia con un ambizioso piano ventennale che non faceva alcuna reale concessione, tuttavia, all’iniziativa individuale. Fallì clamorosamente, ma ebbe almeno il merito di denunciare gli orrori del regime stalinista e di aprire qualche modesto spiraglio di libertà nella società sovietica. Gorbaciov fu coraggioso e si spinse molto avanti sulla strada delle riforme, ma la perestrojka non giovò minimamente all’economia nazionale ed ebbe il paradossale effetto di accelerare il declino dello Stato sovietico. Boris Eltsin smantellò il gigantesco apparato dell’industria statale, ma lasciò che cadesse nelle mani di pochi spregiudicati «oligarchi». Tutte queste riforme presentano, caro Lippi, una stessa caratteristica. Sono elargite, vale a dire calate dall’alto sul capo di una società che non aveva partecipato, se non molto indirettamente, alla loro elaborazione. Vi furono due rivoluzioni, nel 1905 e nel 1917, ma il potere ritornò immediatamente nelle mani di una minoranza: una cerchia ristretta di notabili intorno allo zar dopo la prima, Lenin e il partito bolscevico dopo la seconda. Oggi stiamo assistendo a un risveglio della società russa che sembra molto promettente. Coloro che scendono nelle vie di Mosca contro la brutta legge della Duma sulle manifestazioni e contro il potere del Cremlino chiedono che il loro Paese divenga infine uno Stato di diritto. Sarà questa, se vi riusciranno, la prima riforma non elargita dello Stato russo.