Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  giugno 20 Mercoledì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA. IL SENATO VOTA L’ARRESTO DI LUSI


REPUBBLICA.IT
ROMA - Luigi Lusi andrà in carcere. Il Senato ha autorizzato l’arresto per l’ex tesoriere della Margherita. Il voto arriva dopo una giornata tesa, con polemiche e interventi "velenosi" in aula. Il voto è avvenuto a scrutinio palese: 155 i "sì", 3 i "no" e un astenuto. E’ la prima volta che i senatori votano nominalmente su una richiesta d’arresto. Il Pdl, come annunciato durante la riunione di questo pomeriggio, al momento del voto ha abbandonato l’emiciclo. Il senatore da questo momento ha 24 ore per costituirsi nel carcere di Rebibbia. Il primo commento: "Sto vivendo un incubo, voglio rispetto". Poi aggiunge: "Non ho detto tutto". Gli avvocati: "Così come il nostro assistito ha sempre affermato, siamo pronti a dare immediata esecuzione alla decisione del Senato".
L’intervento di Lusi. Prima del suo intervento, l’ex tesoriere della Margherita ha rivelato di avere ricevuto tanta solidarietà, "più di quanto possiate immaginare". Poi, durante il suo intervento in Aula: "Non intendo sottrarmi alle mie responsabilità e non intendo affatto sottrarmi al processo. Mi si vuole mandare in carcere perché, parlando con i media, inquinerei il percorso investigativo. Non c’è altra motivazione". Ma "il legislatore - ammonisce Lusi - deve tenere distinta l’autorizzazione alla misura cautelare dall’istituto, ancora non previsto, dell’anticipazione della pena". Non manca una richiesta: "Non fatemi diventare un capro espiatorio". L’ex tesoriere entra nel merito delle accuse. Chiamando in causa i vertici della Margherita. "La gestione dei flussi finanziari è stata effettuata per comune assenso al fine di accantonarle per le attività politiche di diversi esponenti del partito". Dopo il voto, il messaggio a Rutelli: "ha avuto la decenza di non votare a favore del mio arresto".
"Vado dove devo andare". E dopo il voto del Senato, Lusi è un fiume in piena. "Sto vivendo un incubo, voglio rispetto". Poi. sulle indagini: "Non ho detto tutto, c’è una marea di approfondimenti da fare". L’ex tesoriere aspetterà nella sua villa di Genzano l’ordine di esecuzione dell’arresto che gli sarà consegnato dalla Guardia di Finanza. Poi l’analisi del voto: "Sulla mia testa si è giocata una partita politica molto ampia". Poi aggiunge: "Ho notato che se la Lega non fosse rimasta in aula sarebbe probabilmente mancato il numero legale, così come ho visto che Enzo Bianco ha votato. Almeno Rutelli ha avuto l’intelligenza di non votare". Ancora: "Io voglio combattere". L’ex tesoriere della Margherita, lasciando palazzo Madama, si è congedato dai giornalisti con la frase: "Ora lasciatemi andare dove devo andare".
Le reazioni. "L’arresto di Lusi? "Ho sempre detto che senatori e deputati sono uguali agli altri cittadini". Così il segretario del pd, Pier Luigi Bersani. Tra i primi a commentare, l’ex ministro degli Interni, Roberto Maroni. "E’ andata come doveva andare. L’arresto è sempre una brutta cosa ma non c’erano alternative". Enzo Carra, Udc, su Twitter: "Il Senato ha votato contro il suo Schettino. Un uomo solo muoia perchè tutti gli altri vivano".

CORRIERE.IT - IL VOTO SU LUSI
L’aula del Senato ha autorizzato, con voto palese, l’autorizzazione all’arresto avanzata dalla Procura di Roma per Luigi Lusi. I sì sono stati 155, i no 13, un astenuto. Il Pdl non ha partecipato al voto. «Non dobbiamo dare alcuna sponda alla sinistra, non ci devono essere strumentalizzazioni su questo voto». aveva spiegato Angelo Cicolani. Ma nel corso del dibattito i senatori Pera e Longo si sono dissociati annunciando che voteranno no all’arresto. Dopo il voto, Lusi ha chiesto al commesso di avere il tabulato delle votazioni. Dopo aver guardato con attenzione il documento e averne sottolineato delle parti, ha rimesso tutte le sue carte nella borsa e ha lasciato, senza salutare nessuno, Palazzo Madama dall’uscita secondaria. Aspetterà nella sua villa di Genzano l’arrivo della Guardia di Finanza. «Ho notato che se la Lega non fosse rimasta in aula sarebbe probabilmente mancato il numero legale, così come ho visto che Enzo Bianco ha votato. Almeno Rutelli ha avuto l’intelligenza di non votare». Ha commentato il senatore, riferendosi al fatto che l’ex leader della Margherita si è astenuto in quanto parte lesa: «Molte cose non le ho ancora dette ai pm. «Ci sono una marea di approfondimenti che, se loro vogliono, sono disposto a fare». A chi gli chiedeva di possibili dimissioni, ha spiegato: «Se mi dimetto? Per rispondere con una battuta io avrei scommesso 8 viaggi alle Bahamas che non mi sarei ritrovato una misura d’arresto. Mai l’avrei immaginato. Avrei detto che era fuori dalla grazia di Dio. Non intendo assolutamente dimettermi».
BERSANI: NOI UGUALI AGLI ALTRI - «Ho sempre detto che senatori e deputati sono uguali agli altri cittadini». Ha commentato il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani.
PARLA LUSI - «Non fatemi diventare un capro espiatorio» aveva detto Lusi intervenendo nell’aula del Senato. «Ritengo di dovermi assumere per intero le mie responsabilità morali e politiche, di fronte a quest’assemblea e al Paese. Ma per quanto riguarda le responsabilità penali, come un normale cittadino voglio potermi difendere e chiedo di accedere alle garanzie del giusto processo senza inutili e devastanti forzature che possano appagare la crescente ondata dell’antipolitica, soddisfare chi evoca i forconi, trovare un colpevole per tutte le stagioni, per quella che è una vicenda complessa» aveva detto. «Sento il dovere - ha aggiunto - di pronunciare simboliche scuse per le condizioni in cui si trova adesso la società». E poi: «Il legislatore deve tenere distinta l’autorizzazione alla misura cautelare dall’istituto ancora non previsto dell’anticipazione della pena».
NO AL CARCERE - Il carcere, aveva poi aggiunto Lusi, è una «forzatura» dall’«inutile carattere vessatorio». L’ex tesoriere della Margherita è tornato ad attaccare i vertici della Margherita ribadendo che la gestione dei soldi avveniva «per comune assenso», in base ad un «patto fiduciario, oggi negato». I «milioni di euro potevo gestirli io da solo? Non solo non è credibile ma neanche materialmente realizzabile: il tesoriere autonomamente avrebbe deciso di finanziare Centro futuro sostenibile, ma è possibile?». E ancora: «Resta singolare - ha proseguito - che io venga accusato di reticenza se non parlo, o di calunnia se parlo. Qualcuno potrebbe pensare che mi si voglia chiudere la bocca». Quindi l’annuncio: «Comunico che io stesso non parteciperò al voto sull’autorizzazione all’esecuzione della misura nei miei confronti».
BONINO E SCHIFANI D’ACCORDO - «Faccio questo intervento con una certa pena, perché ho pena a vedere trasformarsi quest’aula in un’aula di tribunale. Non è questo il nostro ruolo. Dobbiamo votare su una cosa più semplice». Parole di Emma Bonino, intervenuta prima del voto sulla richiesta di arresto. E al termine del suo intervento, al presidente del Senato, Renato Schifani, scappa un «brava» a microfono aperto, ma quando se ne accorge è troppo tardi. Emma Bonino tra l’altro si era rivolto anche allo stesso Lusi criticandolo per il fatto di aver mostrato «eccessivo disprezzo» nei confronti del senatori qualora votassero in modo palese «come se questo ostacolasse la nostra libertà di coscienza: ma noi - ha sostenuto Bonino - siamo parlamentari, abbiamo una responsabilità».

CORRIERE.IT - I PRECEDENTI
MILANO - Con Luigi Lusi, ex tesoriere della Margherita accusato di essersi appropriato di 23 milioni di euro dalle casse della Margherita, salgono a sei i parlamentari per cui Camera e Senato hanno autorizzato l’arresto.
I PRECEDENTI - Ultimo in ordine di tempo Alfonso Papa, deputato del Pdl, su cui l’aula di Montecitorio si è espressa lo scorso 20 luglio a favore delle manette dopo 27 anni di dinieghi. Prima dell’ex magistrato coinvolto nello scandalo P4 era toccato al missino Massimo Abbatangelo nel 1984, mentre l’anno prima al Radicale Toni Negri per terrorismo. Il primo sì all’arresto di un deputato è stato pronunciato nel 1955 nei confronti di Moranino, deputato del Pci, accusato di aver ordinato nel 1944, come comandante partigiano, la fucilazione di cinque altri partigiani ritenuti spie e delle mogli di due di loro. Moranino fuggì in Cecoslovacchia, fu poi condannato all’ergastolo, ma la pena venne successivamente commutata in dieci anni di reclusione. Nel 1965 ottenne infine la grazia dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.
I PRIMI CASI - Il secondo deputato per il quale Montecitorio autorizzò l’arresto è stato Sandro Saccucci del Msi, accusato dell’omicidio a Sezze Romano di Luigi Di Rosa, di cospirazione politica e istigazione all’insurrezione armata per il cosiddetto «golpe Borghese». Il sì arrivò il 27 luglio 1976, Saccucci fuggì in Sudamerica. Sette anni dopo, il 21 settembre 1983, la Camera votò invece l’autorizzazione all’arresto di Toni Negri chiesta dalla magistratura per reati connessi al terrorismo. Negri, che era stato eletto due mesi prima con i Radicali mentre era in carcere, era però intanto fuggito a Parigi, rientrò poi in Italia nel 1997 e finì di scontare la sua pena. L’ultimo caso di richiesta d’arresto concessa dalla Camera risale al 18 gennaio 1984, quando i deputati dissero sì all’arresto di un altro missino, appunto Massimo Abbatangelo, per violazione delle disposizioni sulle armi, in seguito a un attentato del ’70 contro la sezione del Pci di Fuorigrotta, a Napoli. Durante tutto il periodo di Tangentopoli Montecitorio respinte 28 richieste di arresto. (LaPresse)

REPUBBLICA.IT - INTANTO PDL E LEGA FANNO SLITTARE IL VOTO SULLA NORMA CHE PREVEDE IL TAGLIO DEI PARLAMENTARI
ROMA - Insieme. Come ai vecchi tempi. Lega e Pdl stanno ritrovando l’intesa su vari fronti. Anche su quello delle riforme istituzionali. Con un blitz congiunto, stamattina sono riusciti a far slittare l’articolo 1 sulla
riduzione dei deputati ponendo subito ai voti le norme sul Senato federale. La proposta è arrivata del presidente dei senatori della Lega, Federico Bricolo. E il vicepresidente dei senatori del Pdl Gaetano Quagliariello ha condiviso. Contro la proposta invece si sono espressi il relatore Carlo Vizzini, il senatore del Pd Luigi Zanda che ha parlato di "baratto" tra le proposte del Carroccio e il semipresidenzialismo del Pdl.
Dura anche la reazione dell’Italia dei valori. "Non c’entrano niente la forma di stato o quella di governo. Qui si sta parlando della riduzione dei deputati. Siete d’accordo o no? o avete un problema di posti? se avete problema di posti ditelo", ha detto il senatore Luigi Li gotti a pdl e lega. "Si è introdotta una variante- dice Li Gotti- che è finalizzata a non fare la riforma".
Il relatore, Carlo Vizzini, per protesta si è dimesso. Il presidente del Senato, Renato Schifani, ha provato a rassicurare: "L’accantonamento dell’articolo 1 del ddl di riforma costituzionale non può essere interpretato come se non si torni più a trattare della riduzione del numero dei parlamentari, si tratta di un accantonamento tecnico e non di merito".
Qualche ora dopo Roberto Maroni - leader in pectore della Lega - ha
preso in parte le distanze dalla scelta fatta dal suo gruppo. "La richiesta della Lega sul Senato - ha scritto su Facebook - introduce il federalismo istituzionale e riduce di conseguenza anche il numero dei senatori. E’ una buona cosa, ma ho letto che se passa il Senato federale il Pd per ripicca vota contro la riforma dando poi la colpa alla Lega. Allora è meglio lasciar perdere e puntare solo sulla riduzione dei parlamentari, che però deve essere consistente ed entrare in vigore subito".
Secondo indiscrezioni, Luigi Lusi e Alberto Tedesco (ex Pd, ora nel Misto, che si è salvato dagli arresti in passato), avrebbero votato per l’accantonamento dell’articolo. Una mossa per cercare l’accordo con il Pdl, è stato ipotizzato in qualche retroscena. Il voto dell’aula 1 però ha poi condannato l’ex tesoriere della Margherita.
(20 giugno 2012) © Riproduzione riservata

REPUBBLICA.IT - PD E PDL MANDANO UN ULTIMATUM SULLA RIFORMA DEL LAVORO
ROMA - Pd e Pdl chiedono al governo una risposta ’immediata’ e ’solenne’, al massimo entro stasera, o l’intesa di massima raggiunta ieri nella riunione dei capigruppo di maggioranza con Elsa Fornero potrebbe saltare, facendo fallire il via libera al ddl lavoro prima del Consiglio Ue del 28 giugno.
La richiesta dei due principali partiti che sostengono la maggioranza e il governo Monti ha i toni dell’ultimatum: il Pdl chiede un impegno scritto del governo; il Pd sollecita una posizione "solenne, immediata e conclusiva". I due segretari, Pier Luigi Bersani e Angelino Alfano, parteciperanno in serata alle riunioni dei rispettivi gruppi a Montecitorio che si annunciano molto calde. Al centro dello scontro ci sono soprattutto da un lato la questione degli esodati e della loro tutela, dall’altro quella della flessibilità in entrata già contestata da Confindustria.
L’informativa alla Camera. Il ministro Fornero, nell’informativa alla Camera, ha ribadito quanto detto ieri al Senato 1 a proposito dei lavoratori da tutelare, compreso il fatto che potrebbe essere 62 anni l’età oltre la quale si potrebbe avere diritto alla salvaguardia del governo: anche i lavoratori che matureranno i requisiti per la pensione "entro il 2014 o hanno superato una soglia d’età, per esempio 62 anni" potrebbero rientrare nella nuova platea dei salvaguardati. Ieri il ministro aveva parlato di un mix di soluzioni per i lavoratori meno anziani che può comprendere l’estensione del trattamento di disoccupazione e formule di sostegno dell’impiego di queste persone con incentivi contributivi e fiscali. "Non vanno esclusi - ha detto - la partecipazione su base volontaria a lavori di pubblica utilità, che possono essere gestiti dagli enti territoriali, utilizzando loro fondi, né, previo accordo con le parti sociali, l’uso di fondi interprofesionali". "Il governo assicura tutto l’impegno necessario per monitorare l’avviamento operativo delle norme nell’attuale difficile contesto recessivo al fine di calibrarne la concreta applicazione ed effettuare, se del caso, i necessari aggiustamenti", ha concluso il ministro.
Lega in Aula con lo striscione. Appena il ministro ha preso la parola nell’Aula di Montecitorio, il Gruppo della Lega Nord ha esposto uno striscione con su scritto "Esodiamo la Fornero" e successivamente ha abbandonato l’Aula in segno di protesta. "Siamo usciti dall’Aula - spiega il presidente dei deputati leghisti Gianpaolo Dozzo - perché non intendiamo più ascoltare futili scuse da un ministro che non solo ha causato il problema degli esodati, ma lo ha colpevolmente minimizzato prevedendo forme successive di tutela solo per una piccolissima parte di essi. Migliaia di lavoratori - conclude Dozzo - sono rimasti senza stipendio, senza pensione e senza ammortizzatori sociali e chi ne è responsabile è proprio la Fornero. Contro Fornero abbiamo presentato una mozione di sfiducia individuale per i problemi da lei stessa creati e per l’incapacità di porvi un serio rimedio".
I malumori. I malumori in maggioranza spingono molti parlamentari ad annunciare più o meno esplicitamente che non voteranno l’eventuale fiducia che l’esecutivo dovesse chiedere sul ddl. Altro segnale chiaro è arrivato stamattina alla Camera quando, dopo l’informativa del ministro del Welfare, gli interventi critici di deputati di Pd e Pdl hanno ottenuto l’applauso reciproco dei due gruppi.
Nella riforma del lavoro ci sono "molti punti che non ci convincono, ma abbiamo deciso di sostenere la richiesta di Monti di anticipare il voto in Aula rispetto alla prima settimana di luglio e dare un leale sostegno al governo affinché Monti si presenti al vertice europeo di giugno con la riforma del lavoro approvata", ha detto in serata Silvio Berlusconi. Ma Pdl insiste sul fatto che una parte delle misure richieste per il ddl possa in realtà essere introdotta attraverso la corsia più rapida del Decreto sviluppo; tra queste potrebbe esserci l’ampliamento della platea dei lavoratori esodati e le modifiche su flessibilità in entrata e sgravi alle imprese. "È stato richiesto dai gruppi un Comunicato nel quale il governo prenda degli impegni sulla flessibilità in entrata, sugli ammortizzatori sociali e sugli esodati", ha detto Giuliano Cazzola (Pdl). "Il vettore potrebbe essere, ad esempio, il dl Sviluppo, ma anche altri, che è un vettore qualificato", ha aggiunto. "Ci sono riunioni di gruppo stasera, vedremo. È una questione politica tra maggioranza e governo".
Il Pd non fa questioni di "strumenti tecnici", ma per bocca dell’ex ministro Cesare Damiano chiede "la disponibilità del governo ad ascoltare, così come noi stamo ascoltando le sue richieste" e lancia l’allarme: "In un periodo come questo di recessione che si prolunga, per i lavoratori avere una pensione che si allontana e ammortizzatori che a regime saranno di tutela più breve provoca un cortocircuito difficile da gestire. Rischiamo di creare esodati in modo permanente. Bisogna - ha sottolineato - scendere dall’idea di avere una verità assoluta". E ha concluso: "Bisogna porre riparo. Sarebbe meglio intervenire con una misura strutturale, ma intanto abbiamo bisogno di un provvedimento".
"Siamo più disposti a farci convincere dai fatti. In queste ore stiamo chiedendo dei fatti", aggiunge il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani commentando con i cronisti le parole della Fornero. La conferenza dei capigruppo intanto è stata convocata per domattina alle 9: se oggi sarà sciolto il nodo politico e il governo avrà rassicurato a sufficienza i partiti, si deciderà un cambiamento del calendario dei lavori che potrebbe consentire al governo di incassare dal parlamento il via libera al ddl lavoro entro la dead line del 28 giugno.
"Idv denuncia il ministro Fornero per aver dato i numeri, come se desse di testa", afferma Antonio Di Pietro, che ad Elsa Fornero riconosce "le attenuanti generiche per aver confessato di aver detto il falso". "Ancor più grave - prosegue - è il comportamento della maggioranza parlamentare. Non si può prima criticare un ministro e poi votare compatti la fiducia allo stesso ministro. È come dire che io prima ti denuncio perché sei venuto a rubare a casa mia, e poi ti do le chiavi. Questo significa che sei connivente, che ipocritamente ’ci marci’".
Di "sottovalutazione delle stime" sugli esodati, da parte del governo, parla anche Fli. "Sarebbe corretto prendere atto che si è sbagliato e, evitando le spinte demagogiche, dare una risposta ai cittadini", spiega Luigi Muro, capogruppo in Commissione Lavoro.
"Fornero deve essere licenziata per giustificato motivo: palesemente non è capace di fare il lavoro che dovrebbe fare un ministro della repubblica. È Vergognoso che dopo sei mesi ancora non ci sia una soluzione chiara e definita per tutti gli esodati, con questo balletto di numeri che è davvero un insulto verso i lavoratori" è la critica di Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista.
Cisl: "Strafalcione governo pesa su credibilità". Uil: "Piccolo passo avanti". "Il tecnico, che dovrebbe essere più accorto, ha fatto uno strafalcione", che ha causato "una confusione che grava sulla condizione delle famiglie, ma anche sulla credibilità del governo", ha detto il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, parlando al Tg2 delle misure previste dal ministro del Lavoro per gli esodati. "Non ci siamo, c’è un piccolo passo avanti, ma non ci siamo", è stato il commento del segretario confederale della Uil, Domenico Proietti, commentando le parole del ministro del Welfare Elsa Fornero. "Bisogna passare dalle parole ai fatti - ha continuato il leader sindacale - e applicare le vecchie norme pensionistiche a tutti coloro che hanno sottoscritto accordi entro il 31 dicembre".
Confindustria: "Sì ddl, ma subito modifiche". Sì all’approvazione del ddl lavoro entro il 28 giugno, ma poi cambiarlo subito dopo, senza lasciar trascorrere un periodo di ’’monitoraggio’’ come aveva proposto il ministro Fornero. È questa la posizione del vicepresidente di Confindustria, Stefano Dolcetta, durante un’audizione alla commissione Lavoro della Camera. Dolcetta ha ribadito che il provvedimento ’’non soddisfa’’ gli industriali.
(20 giugno 2012)