Corrado Poggi, Il Sole 24 Ore 20/6/2012, 20 giugno 2012
FRA I «SUPER RICCHI» L’ASIA SUPERA IL NORDAMERICA
Aumenta seppure di poco a livello globale il numero dei «Paperoni» ma diminuisce il patrimonio complessivo detenuto dagli «high net worth individuals». L’indagine 2012 sulla ricchezza individuale realizzata da Capgemini, che con questa edizione inaugura la sua collaborazione con la Royal Bank of Canada, traccia con chiarezza l’impatto che la crisi del debito europeo e la lentezza della ripresa nelle economie avanzate ha avuto sulla ricchezza detenuta dalle elite, quelle cioè con un patrimonio di almeno un milione di dollari. Nel 2011 la popolazione dei milionari è cresciuta dello 0,8% a livello mondiale a quota 11 milioni di unità mentre la ricchezza complessiva è calata a 42.000 miliardi da 42.700 un anno fa. Il trend più interessante rivelato dall’indagine è il sorpasso in termini numerici dei Paperoni del l’area Asia-Pacifico, 3,37 milioni di unità, rispetto a quelli del Nord America, fermi a 3,35 milioni. Il peso specifico di questi ultimi rimane tuttavia superiore considerato che incidono per ben 11.400 miliardi di dollari al totale contro gli asset per 10.700 miliardi detenuti dai super-ricchi d’Asia.
A livello italiano, l’indagine di Capgemini certifica un calo del numero di ultrabenestanti da 170.000 unità nel 2010 a 168.000 nel 2011, una conseguenza diretta della crisi del debito europeo, del basso tasso di crescita dell’economia nazionale e dell’indebolimento dell’euro nei confronti del dollaro. Il trend attuale di incertezza dovrebbe proseguire anche per tutto l’anno in corso alla luce delle rinnovate tensioni sui mercati finanziari europei, «dei venti contrari che si registrano sui mercati maturi» a fronte di una migliore capacità di ripresa invece dell’economia cinese. In un quadro di persistente nervosismo e preoccupazione per l’andamento dell’economia globale, i super ricchi sembrano aver scelto una strategia volta soprattutto alla conservazione del capitale piuttosto che al suo accrescimento. In quest’ottica rientrano i massicci investimenti nei beni rifugio come i bund tedeschi o i buoni del Tesoro americani che offrono ormai rendimenti talmente bassi da non permettere nemmeno di coprire l’inflazione annua, di fatto dunque facendo calare il valore complessivo del patrimonio. Eppure le alternative al momento rimangono ad alto livello di rischio, basti pensare che la capitalizzazione di mercato, tradizionalmente un motore primario per l’incremento della ricchezza, ha registrato una flessione del 19% a livello globale nel 2011 a causa soprattutto dei timori legati alla crisi del debito europeo. Le difficoltà del momento mettono infine in discussione anche i modelli di business delle medesime società di gestione patrimoniale. Secondo lo studio di Capgemini, visto l’aumento dei costi superiore a quello delle entrate, «la capacità di ripensare i modelli di business diventerà un elemento essenziale per generare una crescita di valore attraverso la gestione, migliorando nel contempo le relazioni tra il cliente e l’advisor».