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 2012  giugno 20 Mercoledì calendario

MA IL PAZIENTE ZERO È LA FINANZA USA - È

difficile attribuire più responsabilità agli Stati Uniti invece che all’Europa. Gli Stati Uniti hanno senz’altro la primogenitura di questa crisi. L’Europa potrebbe regalare al mondo la fase due, come accadde nel 1929-1931 quando la grande gelata della Borsa americana riattraversò l’Atlantico con il grande fallimento del Creditanstalt viennese dei Rothschild. E rischia di farlo perché se allora era troppo disunita, ancora oggi non è unita abbastanza.
Dalla nazione leader non arrivano per l’Europa solo buoni consigli e giuste pressioni. Ma un eccesso di pessimismo, a macchie ben visibili di schadenfreude, di compiaciuta scoperta di un altro peccatore. E un tentativo di scaricare sull’area euro una responsabilità che è assolutamente condivisa, e con il carico maggiore, diciamo 60 a 40, sulla coscienza americana. Il clima della corsa per la Casa Bianca non aiuta.
Le due crisi sono simili come genesi. La bolla immobiliare in America, la bolla del debito pubblico in Europa. Negli Stati Uniti furono abolite tutte le regole per le banche, tra il 1999 e il 2004, mantenendo però la garanzia federale al sistema, e il ruolo della finanza pubblica per alimentare il mercato dei mutui. Una festa, una manna, una follia. Nell’Europa dell’euro si pensò che la nuova stabilità monetaria e il crollo per vari Paesi del costo del debito aprissero, ugualmente, una nuova era. Chi faceva troppi debiti, o chi non rientrava (l’Italia) da quelli eccessivi pregressi, replicava su altri terreni l’errore dei subprime e di tutti i mutui facili.
L’Europa ha varie responsabilità, fra le prime quella di aver consentito alle banche di acquistare debito sovrano a go-go, considerandolo inaffondabile, così come inaffondabili sembravano i mutui americani. Le due crisi sono simili e si sommano. In più molte banche europee hanno creduto alla "nuova finanza" americana, e si sono ampiamente scottate con i suoi prodotti.
Ma è stata comunque l’Europa di Bruxelles, a inizio 2004, a lanciare un allarme su che cosa stavano facendo le banche d’affari di Wall Street, Goldman, Lehman, Bear Sterns, Merrill Lynch, Morgan Stanley, troppo facili ai debiti. La risposta americana, in una riunione tristemente famosa della Sec, l’autorità di Borsa, il 28 aprile 2004, fu quella di sostituire regole-colabrodo con l’obbligo ancor più colabrodo di comunicare le esposizioni alla Sec stessa, dove nessuno controllava, in omaggio alla teoria della razionalità dei mercati, che se facevano, sapevano quanto facevano.
L’Europa reagiva male anche quando la Fed di New York con Tim Geithner e il Tesoro con Henry Paulson lasciavano fallire Lehman. Perché, se poi hanno salvato tutti? Sono rimaste famose le telefonate di Christine Lagarde, allora al Tesoro francese, a Paulson.
L’Europa non ha apprezzato la politica americana di paper over, di far finta che tutto o molto sia risolto sul fronte bancario e finanziario. Non lo è, visto che le due megafinanziarie immobiliari Fannie e Freddie, al cuore della crisi, sono nel limbo, più di sei mila miliardi garantiti dal debito federale. E non apprezza, l’Europa, di essere sul banco degli accusati per un debito sovrano che nell’area euro non arriva al 90% del Pil mentre quello di Washington, aggiungendo Fannie, Freddie e altro dovuto ma ignorato dalla contabilità schizza dal 102% ufficiale e supera il 140 per cento.
Gli Stati Uniti, che hanno un solo Governo e non 17 premier e parlamenti e sono pur sempre gli Stati Uniti, si stanno indebitando nell’ordine dei 100 miliardi di dollari al mese in più, mese dopo mese, battendo con Obama, causa crisi, ogni record storico.
Non è semplice quindi ascoltare i consigli americani per una dozzina e mezza di nazioni in lenta marcia verso un’unione, e che si sono fatte cogliere in mezzo al guado dal grande guaio bancario, del debito e della moneta incompiuta. Consigli diventanti pressanti non solo con l’avanzare della crisi europea, ma anche della campagna elettorale americana, che nel settembre 2011 muoveva i primi passi. In quel momento i repubblicani cominciavano ad additare il «fallimentare modello europeo» accusando Obama di volerlo replicare. E in quel momento, un Obama preoccupato per l’Europa, ma ancor più per la sua candidatura, incominciava a parlare dei rischi di contagio. E ancor più lo ha fatto quando, con aprile, la ripresina americana ha virato verso la recessione. «Non credo che i problemi europei siano i soli problemi americani», ha varie volte ripetuto da allora il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schaeuble.
Quello che più dispiace agli europei, pur oberati da infiniti problemi, molte responsabilità, ma non ancora arresi, sono frasi del tipo «un collasso dell’Eurozona sarebbe un disastro economico che potrebbe definire i contorni della nostra era». Vero. Ma a scriverlo, ieri sul Washington Post, è l’ex ministro di Clinton ed ex consigliere-principe di Obama, Lawrence Summers, l’uomo che se avesse capito prima qualcosa e creduto meno alle illusioni finanziarie avrebbe contribuito a evitare a tutti molti guai. I contorni della nostra era, per ora, sono definiti in finanza e nel mondo bancario - i casi Mf Global e le perdite londinesi di JPMorgan insegnano - dalla latitanza di quella che è stata la grande leadership americana di tre generazioni e più.