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 2012  giugno 20 Mercoledì calendario

Nel novembre 1999 l’Australia votò contro un referendum che proponeva una Repubblica australiana

Nel novembre 1999 l’Australia votò contro un referendum che proponeva una Repubblica australiana. L’esito era in parte dovuto alle divisioni del Movimento repubblicano nel quale c’era chi voleva il presidente eletto dal popolo, e chi voleva che fosse eletto dal Parlamento con magari il voto di uno o due rappresentanti dei vari Stati. Essendo stata per molti anni segretaria onoraria del Movimento, il nostro timore era quello che venissero eletti candidati conosciuti ma poco esperti quali attori, giocatori di rugby, cantanti o personaggi del genere. Perché in Italia si discute dell’elezione del presidente della Repubblica? La nomina da parte del Parlamento non si è saggia e accettabile? Franca Arena Sydney (Australia) Cara Signora, I n Italia una proposta molto discussa sull’elezione diretta del capo dello Stato risale al 1987, quando era già in corso da tempo un interminabile dibattito sul sistema politico italiano da cui sarebbero scaturite tre commissioni bilaterali per la riforma della Costituzione, tutte concluse con un desolante nulla di fatto. Molto favorevoli alla elezione popolare del presidente della Repubblica erano allora i socialisti, incoraggiati probabilmente dalla vittoria di François Mitterrand nelle elezioni presidenziali francesi del 1981. Ma non fu mai detto con chiarezza quali sarebbero stati i poteri del capo dello Stato se fosse stato insediato al Quirinale da un voto popolare. Anche oggi il tema viene dibattuto molto superficialmente, sotto l’influenza delle ultime elezioni presidenziali francesi, e sembra riflettere le ambizioni di qualche uomo politico piuttosto che una meditata riflessione sull’eventuale passaggio dell’Italia dal sistema della repubblica parlamentare a quello della repubblica presidenziale o semi-presidenziale. È vero che esistono Paesi (Austria e Finlandia ad esempio) in cui il presidente è scelto dal popolo per un mandato di sei anni, ma esercita, grosso modo, i limitati poteri di un monarca costituzionale. Si tratta tuttavia di Stati relativamente piccoli: 8 milioni e 200.000 abitanti il primo, 5 milioni e 300.000 abitanti il secondo. In Italia, dove gli abitanti sono 60 milioni, il presidente eletto dai suoi connazionali potrebbe vantare una maggioranza molto più importante e considerarsi investito di poteri ben maggiori di quelli concessi dalla Costituzione a un presidente eletto dalle Camere. Chi propone l’elezione diretta non può dimenticare che anche nel sistema attuale il presidente è stato più volte accusato, a torto o a ragione, di avere oltrepassato i confini della sua autorità. Luigi Einaudi nominò un presidente del Consiglio (Giuseppe Pella) scavalcando il Parlamento. Giovanni Gronchi fece altrettanto con Fernando Tambroni e cercò di appropriarsi della gestione di alcuni grandi problemi di politica estera. Antonio Segni ebbe memorabili divergenze con il governo. Sandro Pertini fece parecchi interventi eterodossi nella politica nazionale. Francesco Cossiga adottò uno stile presidenziale molto più assertivo di quello dei suoi predecessori. Oscar Maria Scalfaro pilotò dal Quirinale la crisi del governo Berlusconi nel 1995 ed ebbe un ruolo decisivo nella formazione del governo di Lamberto Dini. E quello di Mario Monti è un governo del presidente. Che cosa farebbe il capo dello Stato il giorno in cui potesse mettere sul piatto della bilancia, nei suo rapporti con gli altri poteri costituzionali, più voti di quanti ne abbia qualsiasi altro uomo politico? La Repubblica presidenziale o semi-presidenziale può essere una risposta alla crisi del sistema politico italiano. Ma soltanto dopo una riforma che dica con precisione al Paese quali sarebbero i poteri del Parlamento e del Governo. Una repubblica presidenziale creata surrettiziamente potrebbe soltanto aggravare i mali dell’Italia.