Antonio Polito, Corriere della Sera 20/6/2012, 20 giugno 2012
Non solo agli Europei di calcio, ma anche nell’Europa della moneta e della politica siamo entrati nella fase a eliminazione diretta
Non solo agli Europei di calcio, ma anche nell’Europa della moneta e della politica siamo entrati nella fase a eliminazione diretta. Chi perde è fuori. Errori, egoismi, autogol, non sono più consentiti. E invece in Parlamento continua la melina. Sono passati già quattro mesi, non quattro settimane, da quando Monti annunciò in conferenza stampa il varo della riforma del mercato del lavoro. E dopo quattro mesi il premier è ancora costretto a chiedere che sia trasformata in legge prima del vertice europeo del 28 e 29 giugno. Ma il Pd ha condizionato il suo sì a un conto più generoso degli aspiranti «esodati», e nel Pdl c’è chi dirà comunque no come l’ex ministro Brunetta, che non voterà nemmeno la fiducia. Non è l’unico indizio di un sistema-Paese che sembra incapace di reggere all’emergenza. Giace in Senato la ratifica del Fiscal Compact, il patto europeo sui bilanci. Si era pensato di farne l’atto simbolico con cui l’Italia lasciava l’inferno dei reprobi, approvandolo in contemporanea con la Germania. Non sarà così. La cancelliera Merkel otterrà anche il voto della Spd — che qualche illuso in Italia sperava pronta a far saltare la politica del rigore — e lo ratificherà con uno spettacolare blitz: la sera del 29, di ritorno dal vertice europeo, prima al Bundestag e poi al Bundesrat. Tutto in una notte. Da noi, invece, questa coesione nazionale, sperimentata per un breve periodo nell’inverno dello spread, è solo un pallido ricordo. I partiti sono già in campagna elettorale. Il Pd lavora alla nuova coalizione, per sostituire Di Pietro con una lista di «società civile» (le prove generali si stanno facendo con il Cda Rai); il Pdl è in preda al panico per sondaggi che sembrano un conto alla rovescia verso la dissoluzione, in piena sindrome Pasok. La tentazione dell’atto di arditismo che porta alle urne, nata nei settori più estremisti, sta ormai contagiando anche il corpaccione moderato del partito: centinaia di parlamentari che sono sicuri di perdere il seggio e che dunque non hanno più niente da perdere. Anche le riforme istituzionali, promesse dai partiti come occasione di riscatto e di responsabilità, rischiano di essere usate invece come occasione di rottura. Sta per arrivare al Senato la proposta di semipresidenzialismo del Pdl. La Lega dovrebbe votarla, ma l’approvazione potrebbe essere interpretata dal Pd come il casus belli che mette fine alla «strana maggioranza». C’è chi dice che perfino Luigi Lusi possa essere usato come un’arma dai congiurati a caccia di elezioni. Se il voto di oggi al Senato sull’arresto del tesoriere fosse segreto, molti sarebbero tentati di salvare l’imputato al solo fine di condannare il governo. Così come accadde per Craxi, lo choc politico che ne deriverebbe potrebbe essere il canto del cigno della legislatura. Chi ne ha il potere e la responsabilità deve mettere fine a questo clima. Un grande Paese si vede anche dalla tenuta, dalla disciplina, perfino dalla capacità di sorvegliare il linguaggio della sua classe dirigente. Quando il presidente di Confindustria cita Fantozzi e definisce la riforma del lavoro una «boiata», si capisce che la situazione italiana, pur rimanendo grave, può smettere di essere seria. Troppi in Italia chiedono ogni giorno di essere salvati dalla Germania ma non si chiedono mai che cosa possano fare loro per salvare l’Italia. Pretendono miracoli da Monti al prossimo summit, ma vorrebbero mandarcelo a spalle scoperte. Giocano per se stessi, senza capire che se ci fanno perdere questa partita il campionato è finito per tutti.