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 2012  giugno 19 Martedì calendario

IL GIUDICE PUÒ MENARE LA MOGLIE


Cinque dicembre 2009. Lite accesa in una casa di Lecco. Volano parole grosse, qualche urla, forse una colluttazione. Tre marzo 2010: al tribunale di Lecco viene presentata denuncia querela da parte di un avvocato, Donatella Cianfa. Accusa il marito, Gian Marco Fausto De Vincenzi, di violenza privata, maltrattamenti famigliari e lesioni personali dolose. I fatti sono quelli del 5 dicembre. Atti giudiziari di questo tipo sono numerosi nei tribunali italiani. Quella lite però non è da poco: la presunta vittima è un avvocato, il marito che avrebbe commesso violenza un giudice delle indagini preliminari dello stesso tribunale di Lecco (oggi giudice monocratico). Il procedimento viene trattato in tempo record. Il 9 marzo la moglie, l’avvocato Cianfa, ritira la denuncia-querela. Il giorno prima aveva trovato un’intesa sulla separazione dal marito e soprattutto sugli alimenti. Il procedimento è destinato a morire: proscioglimento da due accuse, estinzione del reato per la terza grazie alla remissione della querela. Nel frattempo il fascicolo giudiziario è arrivato al ministero della Giustizia che ha promosso l’azione disciplinare nei confronti del De Vincenzi davanti al Csm. La procura generale della Cassazione sostiene che non c’è materia, essendo intervenuta la remissione della querela. La commissione disciplinare è di diverso avviso, perché quella lite è comunque esistita e può avere leso il prestigio della magistratura. Il capo di imputazione davanti al Csm è assai duro: sostiene che il Gip avrebbe «ripetutamente percosso» la consorte, e che in un’occasione l’avrebbe «sbattuta contro il muro e a terra», causandole lesioni giudicate guaribili in due settimane. In quella occasione peraltro il De Vincenzi avrebbe impedito alla moglie di recarsi al pronto soccorso «sottraendole e distruggendole le chiavi della sua auto» e costringendola a «sedersi sul letto accanto a lui per tutta la notte mentre le tratteneva i polsi», dicendole: «sei una donna inutile, fai schifo». Le accuse sono tratte dalla stessa querela poi ritirata dalla signora, ma sono approdate il 15 giugno scorso alla disciplinare del Csm. Dove il diretto interessato si è difeso considerandosi vittima e negando qualsiasi impatto sulla propria funzione di magistrato, perché nessuno avrebbe conosciuto la vicenda (finita invece su molti giornali). «Devo rimarcare», ha spiegato De Vincenzi, «che tutta la vicenda è personale, dolorosissima. Purtroppo sono anni ancora che - diciamo - si trascina questa cosa. Dal punto di vista professionale, di immagine, credo che assolutamente non abbia inciso minimamente non fosse altro perché assolutamente nessuno ne è venuto a conoscenza, è una cosa che è rimasta - da questo punto di vista fortunatamente - in una sfera del tutto privatissima e personale». La vera sorpresa è però venuta da chi doveva sostenere l’accusa, Vincenzo Geraci, sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione, che invece ha chiesto l’assoluzione con motivazioni stupefacenti: «Non mi pare che siano emersi degli altri fatti che consentano di dire che ci sia stata una lesione della immagine del magistrato. È spiegato come il tutto si sia risolto e mantenuto all’interno di un tormentato rapporto di coppia che ha avuto queste disdicevoli manifestazioni come dire anche fisiche e contundenti…». Anche i magistrati dunque hanno diritto alla loro dose di botte familiari. Con la pubblica accusa così è quasi certa l’assoluzione. Anche se tutto è stato rinviato al 22 novembre prossimo per ascoltare un teste (l’ex capo del tribunale di Lecco) prima di sentenziare.