Giampaolo Visetti, Affari & Finanza 18/6/2012, 18 giugno 2012
FAR EAST
E uropa e Usa non sono più la meta obbligata delle esportazioni cinesi. La rapida crescita dei Paesi in via di sviluppo e la crisi delle economie occidentali spingono Pechino ad abbandonare l’ossessione per l’Occidente e a rivolgersi ai nuovi mercati di Asia, Africa e America Latina. Nell’ultimo anno l’export del Dragone verso consumatori estranei alla zona euro, al dollaro e allo yen giapponese sono aumentate del 17% e il primo quadrimestre 2012 conferma una tendenza in via di consolidamento. Tra gennaio e maggio le esportazioni cinesi verso l’Europa sono scese dello 0,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Nel 2011 però la crescita su base annua era stata del 18%, addirittura del 34% nel 2010. Il calo netto dell’aumento dell’export, in un biennio, è dunque drastico e la seconda economia mondiale si prepara ad un sistema in grado di rinunciare ad una fetta consistente di consumatori storici. L’allarme-Occidente suona anche ad Hong Kong, dove i grandi esportatori ammettono tagli alle commesse fino al 60%. Ciò che nei rapporti commerciali Cina-Usa era accaduto in sette anni, con l’Europa si è consumato in meno di quattro. Pechino guarda così altrove. Le esportazioni verso la Russia, sconvolta dal boom degli elettrodomestici, in un anno sono aumentate del 50%. La mappa dei mercati subisce però una mutazione assai più profonda. Il commercio tra Cina e America Latina è cresciuto del 113% e in due anni è balzato
a 242 miliardi di dollari. A tirare gli affari, Brasile, Colombia e Perù, a loro volta grandi fornitori di Pechino per materie prime e alimentari. Gli analisti prevedono che se il trend attuale continuerà, entro il 2017 l’America Latina sostituirà l’Europa quale primo partner commerciale della Cina. Cresce però anche l’Africa, dove i cinesi dominano le infrastrutture. Nell’ultimo anno l’export-medio è aumentato del 30%, con punte del 120% nel caso di Sudafrica e Angola. Le recenti misure cinesi di allentamento, tese a stimolare consumi interni e crescita, fanno salire l’import di materie prime. Le nazioni africane si arricchiscono, consumano di più, chiedono prodotti a basso costo e Pechino dirotta verso sud le navi dirette nella zona euro. Usa e Ue non sono nelle condizioni di reggere la concorrenza cinese sui prezzi e l’Africa si appresta a diventare entro dieci anni il secondo cliente della Cina. Tra il 1998 e il 2010 le esportazioni dell’industria pesante cinese verso il mondo in via di sviluppo sono aumentate del 25%, mentre quelle dirette nelle economie sviluppate non hanno superato il più 16%. Con lo scoppio della crisi dei debiti sovrani europei, e lo stop ai consumi, il cosidetto «prezzo cinese» dai beni al consumo si estende a quelli industriali generando una spinta senza precedenti agli investimenti nelle nazioni in crescita. La Cina continua a beneficiare del basso costo del lavoro e di un credito facile e conveniente, sostenuto dallo Stato. A sconvolgere le rotte delle merci non è però la tenuta produttiva del Dragone, quanto la migrazione degli epicentri dell’acquisto. Sudamerica, Africa, ma pure l’Asia affacciata sul Pacifico, dove emergono le tigri del Sudest, ma anche Australia e Nuova Zelanda. I mercati si interrogano così sulla capacità effettiva delle economie con il segno più di sostituire quelle oggi a segno meno, motori del boom cinese nell’ultimo trentennio. Il Centro per gli scambi internazionali di Pechino, think thank governativo per i conti, resta scettico e ha tagliato la stima di crescita del Pil cinese nel secondo trimestre 2012 sotto il più 7%. Peggio che nel 2008: l’export della Cina punta a nuovi sbocchi, ma i tempi della ricerca e la stabilità dei mercati alternativi non sono ancora certi.