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 2012  giugno 19 Martedì calendario

UN’ECONOMIA IN DEFICIT D’OSSIGENO - I

sostenitori di Antonis Samaras hanno festeggiato nella notte ateniese in Piazza Syntagma la vittoria elettorale ma la Grecia affonda sempre di più. Ad Atene ha vinto il partito pro-europeo Nea Dimokratia, i mercati tirano un sospiro di sollievo per aver evitato la "Drachmageddon", cioè l’uscita dall’euro di Atene come l’ha definita Morgan Stanley ma l’economia greca resta simile a un’auto in discesa libera senza freni che va dritta contro un muro.
Cosa deve fare il nuovo esecutivo per rimettere in sesto il Pil ellenico che in tre anni si è ridotto del 20%? Innanzitutto Samaras deve ricordarsi che ha solo 2 miliardi di euro in cassa, un’evasione fiscale record pari al 20% del Pil di cui però non ha fatto cenno nella campagna elettorale, un’economia al quinto anno di recessione, 150mila fallimenti di piccole e medie imprese, disoccupazione al 22% e soprattutto deve trovare altri 16 miliardi di tagli alla spesa pubblica entro luglio a meno che riesca a convincere i creditori internazionali che la medicina di austerità sta uccidendo il malato e ottenere al vertice della Ue del 28-29 giugno un ammorbidimento del memorandum, l’intesa che in cambio di 130 miliardi di euro prevede riforme strutturali, taglio del deficit pubblico e ritorno all’avanzo primario nel 2015.
Sono numerosi i fronti aperti che stanno facendo collassare il Paese. Bloccata la corsa agli sportelli bancari che dal 2009 ha ridotto di 70 miliardi il totale dei depositi nelle banche, ora ridotti a solo 170 miliardi, il nuovo esecutivo deve innanzitutto ricapitalizzare per 48 miliardi di euro gli istituti di credito, dopo i 18 miliardi già immessi in emergenza quando la Bce aveva bloccato nel mese di maggio l’assistenza alle quattro maggiori banche greche, dissanguate dallo swap sui bond ellenici, passando la mano al fondo di emergenza Ela. Il nuovo esecutivo deve decidere se il ministero del Tesoro avrà azioni con diritto di voto e non più semplici azioni privilegiate come preferito dalla troika che vede come fumo negli occhi l’intromissione dei politici nella gestione del credito.
Poi c’è il piano di privatizzazioni da 50 miliardi di euro che è ancora praticamente al palo. Si dovrebbe dare certezza alla processo di dismissioni che finora ha fruttato solo 3 miliardi di euro. C’è anche la grana sociale dei licenziamenti dei 150mila statali in esubero, una promessa mai mantenuta negli ultimi tre anni da nessun esecutivo, politico o tecnico che fosse. Samaras sa che licenziare in tempo di crisi equivale a incendiare la piazza dove Syriza, il maggior partito di opposizione, è pronta ad aprire il nuovo fronte di scontro sociale.
Come se non bastasse molte società pubbliche non hanno più soldi. Quelle energetiche, in particolare, hanno le casse vuote. Un fatto legato al credit crunch e all’aumento delle bollette che non vengono pagate e che i sindaci dei piccoli municipi fanno riallacciare per motivi sociali, tutti elementi che rischiano di portare a black-out per mancanza di petrolio e gas per le centrali elettriche proprio durante la stagione estiva con i condizionatori al massimo. Molti fornitori internazionali come la russa Gazprom hanno cominciato a chiudere i rubinetti in attesa di essere pagati, magari in anticipo, mentre l’Iran non fornisce più petrolio a causa dell’embargo europeo a cui la Grecia ha dovuto partecipare. Teheran forniva petrolio con pagamenti molto dilazionati: ora invece Atene deve approvviggionarsi sul mercato a costi maggiori.
Anche il turismo è previsto in calo del 5% nel 2012 a causa dell’incertezza politica con i tedeschi in diminuzione del 15% nei primi quattro mesi dell’annno. Infine, il nuovo esecutivo deve fronteggiare l’emergenza farmaci dove i farmacisti, stanchi di aspettare 600 milioni di crediti dallo Stato greco hanno bloccato l’erogazione gratuita e chiedono il paganento diretto ai greci, fatto che ha portato a un crollo delle vendite a cui le grandi multinazionali straniere stanno rispondendo con un rallentamento delle forniture. Il gigante della grande distribuzione francese Carrefour ha deciso di uscire dal mercato ellenico perché prevede un calo delle vendite con una classe media sempre più povera in uno scenario di un Paese che torna lentamente nel Terzo mondo.