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 2012  giugno 18 Lunedì calendario

LA MONETA UNICA E I NODI DA SCIOGLIERE


La buona notizia è che l’euro non si inabisserà oggi nelle acque del Pireo. La cattiva notizia è che nulla esclude che il collasso terminale della moneta unica non avvenga fra qualche settimana o fra qualche mese. Non necessariamente nelle acque del Pireo. Potrebbe avvenire, piuttosto, negli ariosi viali di Madrid o Barcellona. Perché, almeno per ora, anche se ci saranno scossoni sui mercati, il colore del nuovo governo greco importa poco.
In ogni caso si apriranno negoziati fra Atene e Bruxelles. Molto di più sulla sorte dell’euro ci diranno gli eventi delle prossime due settimane, lontano da Atene: dal vertice Merkel-Hollande-Monti- Rajoy di venerdì prossimo, a Roma, al summit europeo di fine mese.
Lo si dice, ormai, da due anni, ad ogni tornante della politica europea, ma, questa volta, è probabilmente più vero delle altre. Perchè su una cosa, fra scettici e sostenitori dell’euro, nel mondo finanziario analisti, operatori, economisti sono d’accordo: sul tavolo, per la prima volta, ci sono i problemi veri. Ritmo e tempi del risanamento delle finanze pubbliche, solidità del sistema bancario, prospettive di sviluppo. Se le decisioni non saranno all’altezza, l’euro rischia di saltare, anche senza il detonatore greco.
LE PREMESSE
Non sono incoraggianti. Il primo risultato
del voto greco di ieri sarà di riaprire il negoziato fra Atene e Bruxelles sulle promesse di risanamento della Grecia, a cui sono legati 130 miliardi di euro di prestiti, concessi dalla Ue. Molto probabilmente, non verranno toccati i numeri del disavanzo, del rientro dal debito, di riduzione dell’evasione fiscale, ma verranno allungati i tempi per raggiungerli. Contemporaneamente, il nuovo governo greco chiederà - e forse otterrà - che venga rivisto al ribasso uno degli elementi più sgraditi e contestati del pacchetto di austerità imposto ad Atene: gli esosi tassi d’interesse che accompagnano quei prestiti. Sono due richieste assolutamente ragionevoli: accoglierle svelenirebbe anche il clima politico
che si è creato in questi mesi.
Ma non si capisce in base a quale logica politica - se non quella del ricatto e del braccio di ferro - l’Europa farebbe solo ora ad Atene, a psicodramma elettorale concluso, concessioni che erano ragionevoli già molti mesi fa, quando era evidente che il collasso dell’economia aveva reso il raggiungimento degli obiettivi impossibile, e, anzi, controproducente, nei tempi previsti. E’ la stessa logica politica che, solo sette giorni fa, ha fatto deragliare l’intervento di emergenza per salvare le banche spagnole che, pure, per una volta, almeno nelle dimensioni veniva incontro alle richieste dei mercati. Pur di rimarcare e sottolineare che le responsabilità sono e restano nazionali, si è imposto che i 100 miliardi previsti passino attraverso il bilancio pubblico, andando ad appesantire il debito. Con il risultato di rendere più ripido il processo di rientro, aumentare il fabbisogno statale, in un momento in cui, a dare soldi al governo spagnolo sono rimaste solo proprio le banche e di stringere ulteriormente la tagliola dell’austerità.
Il rischio è che, per difendere questa
logica di fronte alle pressioni crescenti delle altre capitali, Berlino adotti l’equivalente comunitario di buttare la palla in tribuna: proporre un percorso vago nelle scelte e rallentato nei tempi. L’attuale situazione europea rende possibili, invece, scelte più coraggiose.
LE APERTURE
Nei prossimi mesi, dovrebbe diventare operativo quel patto di bilancio, con parametri, interventi e sanzioni, a cui la Germania ha ancorato il principio della disciplina fiscale. Su questa base, lo stesso governo tedesco ha compiuto importanti aperture, proprio sui tempi dell’austerità. Facendo intendere che i tempi per il rispetto degli obiettivi di bilancio possono essere allungati. E disponendosi, anche in chiave elettorale, ad una politica di maggior stimolo della domanda interna e dei consumi, da cui possono trarre beneficio le esportazioni dei paesi della zona euro, oggi in difficoltà. E’ probabile che Berlino ripaghi Hollande per aver abbandonato la battaglia sugli eurobond, non mettendosi
di traverso alla sua proposta di concentrare le risorse Ue in un piano
di sviluppo.
LE BANCHE
La partita decisiva di questo giugno si giocherà, però, su un altro terreno: le banche. Analisti ed esperti dicono che bisogna spezzare al più presto l’abbraccio mortale fra banche e Stati. L’abbraccio per cui, in Spagna, lo Stato si indebita per andare in soccorso alle banche e, in Italia, le banche si indebitano per riempire i vuoti nelle aste dei titoli pubblici. Il pericolo di ogni giorno è che una crisi improvvisa, un assalto agli sportelli di una banca qualsiasi trascini nel dissesto lo Stato e faccia implodere l’euro. Le contromisure di cui si parla sono: unificare a livello europeo sorveglianza, regolamentazione, intervento in caso di crisi almeno per le banche più grandi, nonché gli attuali fondi di assicurazione dei depositi, in modo da fornire ai correntisti una garanzia europea sui loro soldi. E’ una situazione abbastanza drammatica da aver spinto anche Bruxelles e
Francoforte, cioè il presidente della Commissione, Barroso e quello della Bce, Draghi a smarcarsi da Berlino e a spingere per una ’unione bancaria’ che dia anche il senso di una ripresa del progetto Europa. Angela Merkel si preoccupa, invece, dei suoi elettori, contrari ad impegnare i loro soldi per il salvataggio dei correntisti, ad esempio, spagnoli. Forse la Merkel dovrebbe spiegare ai suoi elettori che le banche tedesche sono molto esposte verso le banche francesi. Le banche francesi sono molto esposte verso le banche italiane. Le banche italiane sono esposte verso le banche spagnole. Se gli spagnoli fanno crac, l’urto, come nel domino, risalirebbe all’indietro, verso la Germania.