Fabrizio Versienti, Jazz 6/2012, 19 giugno 2012
Ginsburg, Gainsbourg, Gainsbarre – All’anagrafe era Lucien Ginsburg, parigino nato nel 1928 da genitori russi ed ebrei
Ginsburg, Gainsbourg, Gainsbarre – All’anagrafe era Lucien Ginsburg, parigino nato nel 1928 da genitori russi ed ebrei. Ma, dopo essersi scelto un altro nome e tra-slitterato il cognome in modo da renderlo più facilmente pronunciabile ai francesi, di-venne il personaggio pubblico Serge Gainsbourg, grande protagonista della chanson per oltre un trentennio, dalla fine degli anni Cinquanta (il primo album «Du chant a la Une!», ovvero «Il canto in prima pagina», è del 1958) fino alla morte nel 1991, per un attacco di cuore nella casa di rue Verneuil, a Parigi. La sua figura giganteggia su tutto il Novecento, con le radici ben piantate nel-la tradizione di Piaf e Trenet, il debito nei confronti di Vian (un modello decisivo per il giovane Gainsbourg) e infine l’influenza enorme esercitata su tutti quelli che sono venuti dopo, da Higelin a Arthur H, da Marcel Kanche a Miossec, fino a Benjamin Biolay e altri contemporanei, tra cui lo sta-tunitense Beck (che non a caso ha realizzato un disco insieme alla figlia di Gainsbourg,Charlotte, attrice e cantautrice).La sua opera brilla per ricchezza d’invenzione, stile e personalità, ed è attraversata in tutto il suo svolgersi da un grande amore per il jazz e per i ritmi afroamericani, oltre che per la musica classica, che aveva impa-rato a conoscere in famiglia, ascoltandola dalle dita del padre pianista e dalla voce della madre, cantante. La passione dei ge-nitori per la grande musica e per l’arte conla A maiuscola si trasmette ai figli, secondo una gerarchia inflessibile che relega le arti minori al ruolo di passatempi più o meno nobili. Gainsbourg farà sua questa divisione del mondo, adorando la letteratura e la poesia, la pittura, la musica classica e il jazz come grande arte, e continuando a considerare per tutta la vita la canzone un’arte minore,per quanto utile a guadagnarsi il pane.Nel suo stesso percorso d artista c’è que-sta irrisolta polarità che lo porta prima, da giovane, a tentare la strada dell’arte dipingendo quadri, e poi nell’età matura a ten-tare la scrittura di un romanzo che uscirà postumo (Evguénie Sokolov, in Italia Il gasogramma), il cui protagonista è un pittore petomane; ma, nonostante questi sforzi, il suo destino è strettamente legato alla canzone e al cinema. Nei suoi brani gio-vanili, costruiti su un’ispirazione musicale oscillante tra Chopin e il jazz, e su testi in-fluenzati dalla lingua alta di Baudelaire e Rimbaud, si riverberano costantemente la ricchezza di modelli e l’ambizione artistica. Ma senza alcuna prosopopea; anzi, con una sulfurea predisposizione all’Understatement che da un tocco decisivo alla sua trasandata eleganza.Scrive le prime cose da pianista di pianobar, mentre frequenta club e locali notturni come accompagnatore di cantano e intrattenitori, e sono destinate ad altri interpreti:per esempio. Michèle Amaud e Les Frères Jacques, che renderanno popolare la sua pri-ma grande prova d’autore, Le poinçonneur des Lilas, storia di un bigliettaio del metrò che passa la sua vita sottoterra tra frammenti di carta che gli girano intorno come corian-doli; un’anima persa che finisce suicida nelgiro di pochi minuti, sul filo di una musica tesa, asciutta e raffinata.Sarà non a caso, nell’interpretazione dell’autore, il brano d’apertura del disco d’esordio,«Da chant a la Une!», che non riscuote un grande successo di vendite ma fa conoscere il nome del nuovo prepotente talento della canzone francese grazie a episodi come Ce mortel ennui, lamento di un seduttore annoiato su un tappeto di cool jazz genere Modern Jazz Quartet; o la scandalosa La femme des uns sous le corps des autres, ovvero la disin-cantata e sorniona osservazione di un girotondo amoroso degno di un film di Chabrol; oppure Du jazz dans le ravin, dove il jazz finito nel burrone come la radio della macchina da cui proviene è la postilla finale a un piccolo episodio noir. Già in questo disco c’è tutto Gainsbourg:le storie prese dalla cronaca dei giornali, l’umorismo nero, l’ironia velenosa, la misoginia, le citazioni musicali e letterarie alte (Ronsard 58, i versi di de Musset e di molti grandi della poesia francese dell’Otto e Novecento). È già un modello di stile, che raccoglie il testimone di Vian dalla Francia del dopoguerra e lo consegna agli ormai incipienti e moderni anni Sessanta.Da Vian, Gainsbourg prende anche 1 arran-giatore Alain Goraguer, decisivo nel mo-dellare la drammaturgia di canzoni che sono piccole messe in scena perfettamente compiute e nell’esaltare, a livello di stru-mentazione e di linguaggio, il sapore jazz di gran parte dei primi lavori. Con lui diventa più facile integrare nelle canzoni anche rit-mi di mambo o cha cha cha, dare pulsazioni esotiche e pulsioni erotiche a quelle che Paolo Conte definirebbe senz’altro «orche-stre ninfomani». Gainsbourg ci aggiunge il suo talento di melodista al pianoforte, strumento sul quale adora riprodurre qualche eco del linguaggio dei suoi jazzisti preferiti,Thelonious Monk ma anche Count Basie («per la mano sinistra») e soprattutto ArtTatum, «il genio assoluto». Il cinema si accorge subito del suo talento e comincia a commissionargli canzoni che possano arricchire le colonne sonore o ac-compagnare i titoli di testa; a interpellarlo sono i registi minori di quella formidabile stagione di nouvelle vague, gente come Hervé Bromberger oppure Jacques Doniol-Valcroze, per il quale Gainsbourg scrive un bra-no epocale come Leau a la bouche, di gran lunga la più bella delle sue canzoni di seduzione amorosa su un ritmo latin languido e insinuante.Al cinema Gainsbourg finisce anche per fare la comparsa o recitare in qualche ruolo di contorno; sarà la sua faccia non comune, segnata e spesso mal rasata, a fame una maschera adatta al grande schermo. Il suo timbro basso e scuro, di un colore così po-co comune nella canzone francese dove le voci maschili tendono al tenorino leggero, aggiunge un tocco di ulteriore diversità al suo personaggio che finisce presto per iden-tificarsi con quello del cinico seduttore; e la storia d’amore con Brigitte Bardot, poi quella con Jane Birkin e la modella Bambou non fanno che aggiungere argomenti al gioco dei pettegolezzi e dei giornali scandalistici. Ma questa è la su perfide dell’uomo. La sostanza è la musica imbevuta di jazz realizzata insieme a Goraguer (ve-di la splendida ballad Black Trombone nell’album «N.4»), è la capacità di gioca-re con la tradizione e conle parole come nella clas-sicissima. Javanaise (della quale Juliette Greco darà una magnifica interpretazione), un valzerino da balera in cui Gainsbourg regala tinte da vecchio argota una struggente canzone del tempo e degli amori perduti; è labilità di scrit-tura dei testi, dove i valori ritmici alterati, gli accenti Spostati, le allitterazioni,i giochi di parole, l’alternanza di registri tra l’alto letterario e il basso popolare danno vita a una vertigine che cattura l’ascoltatore. Gainsbourg realizza alla fine del 1963 il suo album forse più radicale: registrato a Londra senza Goraguer e accompagnato dalla chitarra jazz di Elek Bacsik e dal contrabbasso di Michel Gaudry. «Confidentiel» è una lun-ga variazione sul tema del noir statunitense,inteso come romanzo. Con una folgorante invenzione come Elaeudanla téitéia, dove lo scrittore entra in scena con la sua macchi-na ticchettante, una Remington portatile con cui scandisce le lettere del nome della sua amata: Laetitia. L’estetica cool delle prime prove viene qui spinta all’estremo, puntando sul suono scarno e sull’impianto modale delle canzoni, ispirate alle atmosfere del Miles Davis di «Ascensore per il patibolo» e «Kind of Blue». Eppure in Chez les yé-yé si presagisce la svolta pop che Gainsbourg sta per affrontare in modo spericolato; la chi-tarra si fa più rock, il suono più elettrico,gli anni Sessanta stanno davvero iniziando. E «Confidentiel» è la premessa all’esplosione di colori dei dischi successivi.In «Percussions» (1964) l’atmosfera è infatti festosa, piena di tamburi e di voci (i cori femminili onnipresenti); ci sono i ritmi nigeriani ripresi pari pari dall’album «Drums Of Passim» di Babarunde Olatunji; gli accenti caraibici in Couleur Cafée Pauvre Lola; un altro esperimento linguistico dei suoi in New York U.S.A., il cui testo è fatto unica-mente dall’elenco dei più importanti grattacieli di Manhattan scandito dall’«Oh c’est haut!» cantato dal coro, un’esclamazione di meraviglia infantile («Oh, come alto!») dal suono identico all’«0 se o» yoruba di un brano di Babatunde. Insomma, il francese si fa. qui creolo e tropicalista, e la musica esplode in ogni direziono pur fondandosi ancora sul jazz: tra i musicisti presenti nel disco,figurano Pierre Michelot, Eddy Louiss, Michel Portal al quale Gainsbourg chiede di«suonare come Jackie McLean». E poi dappertutto ci sono rumori d’ambiente, versi di uccelli, voci sparse, la sensuale risata femminile di France Gali.Dal 1965 Gainsbourg vira ancora, questa volta ver-so la cultura pop. Ubriaco di rock, di Swnging London,di fumetti e cinema, inna-morato perso (e ricambia-to) di Brigitte Bardot, tro-va il grande successo e l’attenzione della stampa. Allo stesso tempo, inventa brani da antologia, come quelli re-alizzati per B.B.: da Comic Strip, dove fa della sua bel-la un icona sorridente tra le bolle dei fumetti (giocando nel resto con tutte le onomatopee tipiche dei comis), a Bornie And Clyde, ballata a due voci sull’epopea della coppia criminale più famosa d’America, fino am non plus, il suo successo internazionale più grande e scan-daloso per il testo decisamente erotico, cro-naca di un amplesso con qualche divaga-zione filosofica («l’amour physique est sansissue...»).Doveva cantarla B.B. ed esiste una versionecon la sua voce, ma lei alla fine si tirò indietro; così il brano divenne un hit mondiale nella versione che Gainsbourg realizzò, do-po la tumultuosa rottura con la Bardot, insieme alla sua nuova fiamma, l’inglese Jane Birkin (modella e attrice nelle pellicole di Richard Lester e in Blow Up di Antonioni); e, sempre con la Birkin, insieme a Joe Dallesandro (il tossico muscoloso dei film di Warhol), Gainsbourg trasformò la canzone in un film, firmandone la regia. Qui finisce definitivamente (ammesso che fosse mai esistita) l’innocenza del giovane Gainsbourg, che dagli anni Settanta in poi diventa un personaggio sempre più estre-mo, provocatorio, esagerato, giocando conla sua doppia personalità: dall’artista Gainsbourg a Gainsbarre, l’alter ego cinico e autodistruttivo. La nuova relazione con la modella Bambou è una storia di junkies, il suo rapporto con sigarette, alcol e droghe di vario genere è bulimico, come la voglia di esplorare ogni nuova forma musicale. Non sono poche, da questo punto di vista, le analogie con il quasi coetaneo Miles Davis (nato due anni prima e che morirà nello stesso 1991); assonanze sia sul piano degli eccessi privati sia su un livello più schiettamente artistico, come la capacità di circondarsi di talenti e di sfruttarli al meglio, di manipo-lare il suono in studio, di dirigere il lavoro altrui senza sporcarsi troppo le mani.In questo modo, nel 1971 Gainsbourg tira fuori un album concept (con tinte progressive) come «Histoire de Melody Nelson», in cui immagina la morbosa storia d’amore traun’adolescente e un uomo maturo che ter-mina con la morte di lei e l’inconsolabile rimpianto di lui; moltiplica i duetti ad al-ta tensione incontrando in studio Catherine Deneuve e la sua stessa figlia Charlotte,all’epoca dodicenne e coinvolta in un nuovo brano scandalo, Lemon Incest; esplora volta a volta la disco music, il reggae, l’elettropop, il club arrivando a prefigurare in brani come Requiem pour un con o L’homme a tête de chou le complessità ritmiche delle future evoluzioni jungle e drum’n’bass. E proprio la sua visionarietà ne farà una fonte d’ispirazione per tanti e diversi musicisti, a cominciare dal rapper Me Solaar che nel suo Nouveau Western (1994) ha campionato e praticamente riscritto la Bonnie And Clyde d’epoca B.B. ambientandola nella banlieue parigina.