Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  giugno 17 Domenica calendario

“L’ITALIA USCIRÀ DA SOLA DALLA CRISI ALLA MERKEL NON CHIEDIAMO SOLDI E IL DDL ANTI-CORRUZIONE SARÀ LEGGE”

[intervista a Monti]
L’Italia ce la farà. Deve scommettere su se stessa e sulle riforme strutturali. Un primo spiraglio di luce che porta fuori dal tunnel della crisi economica inizia a intravedersi. Ma il cammino è ancora lungo. E nessuno può pensare che questa sia la “fase due” del governo. Quella della crescita senza rigore. Il presidente del Consiglio Mario Monti ha accettato di intervenire alla “Repubblica delle idee” insieme a Eugenio Scalfari e Ezio Mauro con un’intervista per riflettere sulle “idee per il futuro”. Ha annunciato che il disegno di legge sulla corruzione diventerà legge nonostante le ritrosie del Pdl e soprattutto ha chiesto alla sua maggioranza di approvare entro il 27 giugno la riforma del lavoro: «Se non lo facciamo perdiamo punti davanti ai mercati alla comunità internazionale
».
L’Italia ce la fa? La Merkel che dice?
«La Merkel dice che l’Italia ce la fa. Ma l’Italia ce la fa non perché lo dice la Merkel».
E perché allora?
«La difficoltà dell’Italia e del suo futuro è che in passato ha pensato molto poco al suo futuro. Per tanti anni tutti abbiamo concentrato la mente con gusto e piacere, altre volte con disagio, su dispute quotidiane orarie su questa o quella personalità perdendo di vista i problemi veri. È prevalso spesso un orizzonte di molto breve periodo. Come diceva Tommaso Padoa-Schioppa la “vista corta”. L’attenzione al brevissimo periodo è stata esasperata. E quando abbiamo guardato avanti, lo abbiamo fatto quando ce l’ha chiesto l’Europa. Ce la facciamo se...».
Non vorrà mica smentirsi subito?
«Ho parlato così a lungo che quasi ce l’abbiamo già fatta. Io poi ho sempre detto e scritto che bisogna guardare al lungo periodo. La situazione è grave - altrimenti non sarei qui - e la possibilità di politiche orientate al futuro spesso ci manca perché prevale l’emergenza. Bisogna conciliare le emergenze con la ricostruzione di lungo periodo ».
Lei dice che ci sono due livelli: l’emergenza e la vista lunga. In queste ore, però, i greci vanno a votare. C’è chi pensa che nessuno possa salvare quel Paese. Ci sono intese per irrorare liquidità dalle banche centrali proprio per dare tranquillità dopo il voto greco. Cosa si aspetta da quelle elezioni?
«Mi aspetto - e molti governi se lo aspettano un voto favorevole al mantenimento di un saldo rapporto con l’Europa. Favorevole alla permanenza nell’eurozona. Favorevole alle forze orientate
a chiedere un rinegoziato delle condizioni di permanenza nell’euro. Una cosa piena di buon senso ma che comprensibilmente agita gli spiriti di paesi come Portogallo o Irlanda che sono già sotto il programma dell’Unione e del Fondo monetario. Dicono: perchè loro sì e noi no? L’Ue - lo dico da privato cittadino - potrebbe eventualmente considerare qualche dilazione».
Lo considera un percorso possibile?
«L’Europa sta gestendo processi storici e lo fa con impazienza. La Grecia è forse entrata prematuramente nell’euro. Ma è stata sottoposta a una tale batteria di vincoli, doverosi per il suo bene e per non infettare l’economia europea per quanto piccolo sia l’insetto infettante, che il bicchiere non è stato riempito del tutto. Eppure la trasformazione è avvenuta in maniera irreversibile. È insufficiente a soddisfare la contrattualistica europea, ma questi sono cambiamenti che richiederebbero
una generazione».
Un discorso applicabile anche all’Italia?
«L’avanzamento del nostro Paese è avvenuto perché ancorati all’Europa. Sono ottimista per l’Italia malgrado le grandi difficoltà. Ma diventerei pessimista se la struttura europea dovesse dissolversi. E se pensiamo a quali orientamenti politico- culturali potrebbero prendere in quel caso il
comando. L’Europa ha anche aspetti sgradevoli ma ha messo dei guardrail sicuri. Questo ha comportato anche l’arrivo di governi tecnici, come si usano chiamare se non sbaglio. Ma impedito distorsioni
gravi».
In passato è mancata chiarezza sulla nostra situazione. Lei è arrivato al governo in un momento drammatico. Diceva che bisognava salvare l’Italia. A che punto siamo? Ci sarà bisogno di nuove manovre? Dovremo chiedere aiuto all’Europa? O possiamo fare da soli?
«Non è stato facile decidere se puntare a farcela da soli. Mi veniva autorevolmente consigliato anche in Europa e in Usa di non rischiare troppo, di accettare la protezione del Fmi o del Fondo salva- stati. Chi avrebbe attribuito al nuovo governo la responsabilità di aver abbassato il capo? Però ho pensato che un Paese come il nostro, pronto a autoflagellarsi spesso a torto, avrebbe retto male un sovraccarico di decisione. Chi ha chiesto aiuti ha nella sua capitale una trojka. Io preferisco un’Italia governata da gruppo di persone italiane e da una strana e temporanea coalizione. Ma siamo italiani. La pagina più difficile per il mio predecessore è stata quando è andato al G20 di Cannes. Ecco io domani vado al G20 in Messico e ci vado con un animo più sereno. Siamo tra quelli cui viene chiesto come far funzionare la comunità internazionale e non se stiamo cadendo nel precipizio. Ce la faremo, ce la stiamo facendo da soli senza stare sotto il tallone di una troika».
Quindi vede la luce in fondo al tunnel?
«Da me ci si aspetta il linguaggio della verità ma anche una parola di speranza, sebbene non abbia un volto molto sorridente. Se per 10 anni alcuni aspetti del vivere civile italiani, della politica economica, del rispetto delle generazioni future, se insomma tutte queste cose non si sono fatte per decenni, non bastano 7 o 10 mesi anche con un governo migliore di noi essere umani. E non so se i tecnici sono essere umani. Ci vuole tempo. Gli spiragli per uscita dalla crisi in tempi ragionevoli, ne vedo. Soprattutto penso a dove saremmo se non fossimo stati un po’ duri in questi mesi».
Che intende per tempi ragionevoli?
Il premier si versa un po’ d’acqua nel bicchiere. «Pensavo di distrarre con l’acqua ma ... non si supera la crisi irrorando liquidi nell’economia».
Con i liquidi no. Ma con la liquidità?
«Io avrei tutto l’interesse a dirvi che il governo ha cambiato agenda: ora la fase due, quella della crescita. Non è vero. Non c’è stata una fase uno e ora una fase due più bella. La speranza è quella di prima. Stiamo continuando un’operazione di risanamento e di iniezione di premesse per la cre-
scita. Fin dalla prima manovra ci siamo occupati di contenimento del disavanzo e delle pensioni».
A proposito di pensioni, le polemiche sul ministro Fornero non sono mancate.
«È stata sottoposta a qualche stress ma quella del lavoro è la sua secondo riforma. E verrà presto rivalutata. La prima, quella previdenziale, viene citata come il modello di riforma delle pensioni».
Quindi?
«Abbiamo creato spazi per la crescita. Molti in questa sala sarebbero contenti di veder nascere la patrimoniale. Senza considerare che un‘altra parte non avrebbe gradito - è un esercizio ginnico mentale interessante quello di governare con apporti diversi. Se un giorno rinascesse la Dc e non è un auspicio, sarei abbastanza addestrato per essere vice vice vice segretario - l’abbiamo potuto fare perché non c’è la base conoscitiva statistica. Se l’avessimo annunciata, quanti capitali sarebbero rimasti? Non c’è insomma un mutamento di policy, ne un ravvedimento. Non vedo cose di cui ravvederci. Se allora il voto greco non sarà troppo negativo, se nelle prossime due settimane riusciamo ad avere qualcosa di concreto dal consiglio europeo, questo cambia il piano psicologico. E vedremo spiragli di luce».
Con il suo governo è emersa una novità: il pre-
sidente della Repubblica ha nominato lei senza consultare i partiti. Lei pensa che questa innovazione
debba proseguire?
«Non l’ho mai detto al capo dello Stato ma mi sento caricato della responsabilità di mandare a buon fine quell’esperimento. Credo molto nella Costituzione come è scritta più che in quella materiale. Considero importante il fatto che il governo nella riforma del lavoro abbia consultato le parti sociali e poi si sia assunto le sue responsabilità. Penso che siano i pubblici poteri a dover decidere. Pubblici e poteri. E’ un po’ paradossale che un governo così fragile voglia esercitare fino in fondo i suoi poteri costituzionali. E’ doveroso. Quando mi sono presentato in Parlamento per la fiducia - giorni un po’ magici - ho ricevuto i saluti di molti parlamentari e mi dicevano: io sono un peones - anche se forse non erano al corrente che il singolare spagnolo è peon - e per la prima volta mi sento interpellato. Per la prima volta i segretari dei partiti non dominano. La mia vivissima speranza che quando si tornerà a normalità di una democrazia elettiva - con il che non intendo dire che il nostro tasso di legittimità sia inferiore al 100% i partiti possano dare compimento a quel miglioramento di identità e rapporto con l’opinione pubblica che richiede ancora una certa strada».
Nel dibattito è emersa la parola “esodati”. Non è tollerabile che ministro Fornero non ci sappia dire quanti sono e che bacchetti l’Inps perché ha dato i dati. Può dire quanti sono e cosa il governo intende fare?
«Non è un termine inaugurato dalla Fornero. Nessuno vuole minimizzare, men che meno io. La ricognizione è però molto difficile. Lei mi chiede un impegno, ma sarebbe una forte innovazione se prendessi impegni qui davanti a voi. Non lo prendo, ma sento dentro di me l’impegno ad avere al più presto una ricognizione realistica e a prendere i provvedimenti conseguenti. Ammetto che questa è una delle cose che ha messo più in difficoltà il governo e ha creato sconcerto nell’opinione pubblica. Nella nostra consueta difficoltà di equazione di soluzioni a problemi reali i umani in condizioni finanziarie disumane, lo affronteremo sollecitamente».
È vero che il ministro Fornero ha offerto le dimissioni e che lei le ha respinte?
«Non mi ha offerto dimissioni e comunque le avrei respinte».
Perché avete rinunciato alla riforma degli ammortizzatori
sociali?
«È nel ddl sul lavoro in dirittura d’arrivo alla Camera. Anzi, vorrei dire quello che ho rappresentato al Capo dello Stato e ai responsabili dei partiti.
Come segno dello scrutinio che i mercati e la comunità internazionale fanno su ciascun Paese, da più di un organismo internazionale mi è stato detto in vista del G20 e del Consiglio europeo che abbiamo fatto bene ma la riforma del lavoro non è legge. Ho chiesto la collaborazione delle forze politiche: io devo arrivare al Consiglio europeo con la riforma del lavoro altrimenti l’Italia perde punti ».
Secondo lei quanto la corruzione dilagante ostacola gli investimenti stranieri. I dati sono sconvolgenti. Come è possibile che una convenzione dell’Onu del 2003 faccia fatica ad essere approvata in Parlamento e che una forza politica leghi l’approvazione di questa legge alla responsabilità civile dei magistrati?
«Il fenomeno della corruzione penalizza l’attrattività di un Paese. Quel provvedimento è nel programma di governo. Alcune forze politiche fanno quel collegamento, ma il mio ruolo è prendere atto del fatto che in Parlamento sono presenti forze diverse. Il torto e la ragione non sono separabili e se avessi una convinzione sui meriti e demeriti di qualcuno, non la esprimerei. Io ho detto ai ministri: dimenticatevi di avere dei muscoli facciali. Dobbiamo essere totalmente insensibili anche con il body language. Io devo capire
entro quali margini queste forze possono cooperare per il bene del Paese più che approfondire i torti e le ragioni».
Ma diventerà legge?
«I ddl vengono presentati perché diventino legge. Diventerà legge».
Quali sono i punti chiave del decreto Sviluppo?
«La crescita non è figlia dei soldi. Una volta si faceva con l’offerta di soldi dalle banche centrali. Ma non crede più nessuno che irrorando liquidità nasca crescita sostenibile, neppure con i soldi del bilancio pubblico. Il nostro tasso di crescita sarebbe dovuto essere stratosferico».
Colpa dell’Italia da bere di Craxi. Per far bere l’Italia craxiana.
«Si torna al concetto della liquidità. Ma nella mia esasperata e odiosa abitudine di ripartire i meriti e le colpe, il periodo craxiano non è durato 30 o 40 anni».
E lo sviluppo?
«L’Italia per crescere ha bisogno di cose che non sono state fatte in passato come le infrastrutture. Nel decreto ci sono varie cose strutturali, alcune finanziate e altre che non hanno bisogno di essere finanziate. L’Italia ha bisogno di una crescita che nasce dalle riforme strutturali perché di soldi non ce ne sono tanti. Ai cittadini non possiamo promettere una riduzione dei carichi fiscali ma la riduzione dei gravami di cui usufruivano i percettori di rendite».
Gli italiani parlano molto della Germania. Come spiega alla Merkel la necessità di affiancare la crescita al rigore. Si accorge che una spirale recessiva rischia di danneggiare tutta l’Europa? Cosa le dice?
Per qualche secondo il presidente del Consiglio resta in silenzio. Silenzio.
È difficile?
«No, è una questione di privacy».
In passato si andava più per le spicce nei rapporti con la Merkel.
«Si, me lo dicono... Vorrei correggere la percezione che Merkel non sia sensibile allo sviluppo. Più recentemente è pronta a riconoscere che l’Europa deve andare verso lo sviluppo. Una volta ho detto al presidente americano Obama: bisogna tener presente che per i tedeschi l’economia è ancora un ramo della filosofia morale. La crescita non è il risultato della domanda aggregata keynesiana, è il premio a comportamenti virtuosi. Dopo la crisi finanziaria ogni tedesco è ancora più convinto che il suo modello sia giusto e quello anglosassone
sbagliato».