Arianna Finos, la Repubblica 16/6/2012, 16 giugno 2012
LA VERSIONE DI PAUL GIAMATTI “LA MIA VITA DA UOMO MEDIO” L’ATTORE RACCONTA LA SUA STORIA DA ANTIDIVO “COSÌ MI SENTO LIBERO”
LA VERSIONE DI PAUL GIAMATTI “LA MIA VITA DA UOMO MEDIO” L’ATTORE RACCONTA LA SUA STORIA DA ANTIDIVO “COSÌ MI SENTO LIBERO” –
«Questa faccia da uomo qualunque mi fa sentire libero». Paul Giamatti, una carriera da mediano ad Holywood, ha conquistato il successo a quarant’anni. Tanto c’è voluto perché il pubblico memorizzasse, finalmente, il nome di un attore che pure ha incarnato formidabili personaggi minori in film, quelli sì, indimenticati.
Salvate il soldato Ryan, Cinderella Men, The Truman show.
«Non ho una faccia da copertina come Tom Cruise » sospira consapevole Giamatti, elegante in camicia bianca, completo a giacca nocciola e occhiali da vista modaioli stile professore universitario. Barba e capelli rossi curatissimi. Battuta pronta, doppia laurea a Yale, conversazione raffinata, sembra il perfetto compagno per una serata a cena. Ma al cinema quel suo aspetto né brutto né bello l’ha condannato a ruoli di supporto al divo di turno.
«Si sono accorti che ero pronto a fare il protagonista solo nel 2004, con un piccolo film che si chiama
Sideways - In viaggio con Jack.
Da lì è nata l’idea che potevo essere impegnato perfino in una commedia romantica, cosa che è poi successa con
La versione di Barney
». Il film tratto dal romanzo culto di Mordecai Richtler gli ha regalato un ruolo memorabile, recitato indossando una pancia finta. La bellezza per Giamatti non è mai stata mito né problema. «Mi sono sempre perfettamente sentito a mio agio con il mio corpo, non sono un tipo da complessi. Sono cresciuto negli anni 80. Da adolescente per farmi notare dalle ragazze avevo adottato un look vagamente punk. Maglietta nera e snickers, capelli dritti in e testa e mi sentivo molto cool». Non è mai stato un conquistatore seriale, ma felicemente sposato dal 1997 e ha una figlia di 10 anni, Giamatti è la dimostrazione vivente che bisogna credere in se stessi. Anche se non alto né bello né muscoloso, «mi sono sempre sentito un atleta, pieno di energia. Uno dei motivi per cui amo tanto il teatro è che è un lavoro molto fisico. E ti fa giocare molto di più che il cinema. E io spingo fino all’estremo le trovate, il grottesco, divento un clown, mi butto. Mi sono ferito spesso. In gioventù mi sono rotto dita, ginocchia, polsi. Ancora adesso oso, ma sto invecchiando e le riparazioni sono sempre più difficili».
Figlio del rettore dell’università di Yale, patito di Dante e insegnante di letteratura italiana, Giamatti è cresciuto tra i libri. «La mia famiglia di origine napoletana, mio padre mi ha fatto leggere i classici italiani e conoscere tutto il cinema italiano, dai maestri del neorealismo ai film di quel fantastico interprete che si chiama Totò». Come Totò
l’approccio alla recitazione dell’americano è partito dal corpo, dalla gestualità. «Ho iniziato a frequentare lezioni di teatro al college. Ero concentrato sulla letteratura, ma il palcoscenico era un passatempo e non avrei mai immaginato che sarebbe diventato una professione. Poi, quando mi sono trasferito a Seattle, ero in difficoltà economica e per sbarcare il lunario mi sono affidato a un agente che ha cominciato a farmi lavorare. Ma non ho mai preso sul serio la televisione, il cinema. Accettavo ogni ruolo, poliziotto, medico, italoamericano. Usavo quei soldi per finanziare i miei spettacoli teatrali a New York».
«Il problema del fisico a teatro non esiste. Il viso non si vede più di tanto e tu sei libero di interpretare quel che vuoi. Già allora amavo gli antagonisti, i cattivi. Facendo il cinema ho scoperto che la mia faccia era considerata troppo buona per i perfidi». Quella faccia è diventata il simbolo dell’uomo qualunque che affianca il solito eroe: «Dietro lo stereotipo dell’uomo medio c’è un’umanità ricca di sfumature e segreti che mi piace rappresentare. Una teoria di individui dall’aspetto comune e dal temperamento bizzarro, insolito, speciale. Se Hollywood e il pubblico mi scelgono per questi ruoli sono contento».
Nel film
Rock of Ages
interpreta il losco manager che sfrutta e controlla la carriera della rockstar
Stacey Jaxx, Tom Cruise. «Lo stereotipo stavolta è dell’uomo senza qualità che sfrutta, privo di scrupoli, il talento degli altri. Per costruirlo sono partito dall’aspetto fisico. Ho indossato decine di parrucche, alla fine abbiamo scelto il codino, con il quale mi sento molto fico, ci abbiamo aggiunto i baffoni e un gigantesco cellulare anni 80». In
Cosmopolis,
il film di Don DeLillo appena presentato al Festival di Cannes e che vedremo in autunno, «sono la nemesi di Robert Pattinson, miliardario potentissimo, bello giovane carismatico. Ho amato questo mio uomo anonimo, invisibile, reietto, cacciato fuori dai giochi di potere, asociale, senza speranza. In quel film ogni personaggio è un simbolo e io sono il simbolo di quelli che non ce la fanno. Dei perdenti. In America sono una categoria odiata, in Europa li guardate con più simpatia».
Giamatti dimostra più dei suoi 45 anni. Ma anche questo, per lui, è una risorsa: «Al cinema se sei l’eroe buono devi restare giovane e bello per sempre. Lo impongono pubblico e produttori. È un problema per divi come Tom Cruise o Brad Pitt. Ma io non sono chiamato a fare tutto questo. Posso perdere capelli, mettere su pancia. E invecchiando miglioro: per anni sono stato troppo giovane per i ruoli che mi interessavano veramente. Il meglio, per me, deve ancora venire».