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 2012  giugno 18 Lunedì calendario

Una squadra contro gli sprechi [sotto box su le food bank americane]– Valorizzare l’eccedenza per prevenire lo spreco

Una squadra contro gli sprechi [sotto box su le food bank americane]– Valorizzare l’eccedenza per prevenire lo spreco. Attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori della filiera agroalimentare italiana. A partire dai produttori e i distributori fino alle food banks e agli enti caritativi. La strada verso la riduzione della dispersione degli alimenti passa da un insieme di pratiche virtuose, che per essere messe a regime necessitano tanto dell’impegno dei singoli quanto dell’appoggio delle istituzioni. Il Politecnico di Milano e la Fondazione per la sussidiarietà, in collaborazione con Nielsen Italia, dopo aver quantificato lo stock di beni alimentari che viene prodotto nel paese ma che per diverse ragioni rimane escluso dal circolo del consumo finendo così per essere buttato, hanno individuato le principali criticità del sistema e i punti su cui è possibile intervenire. Cibo sprecato ed eccedenza alimentare. Come testimoniano i dati raccolti dall’indagine, ogni anno in Italia vengono buttati 5,5 milioni di tonnellate di cibo, per un importo pari a 12,3 miliardi di euro. I soli consumatori ne sprecano oltre 2,5 milioni di tonnellate (il 45% del totale), per un valore economico di 6,9 miliardi di euro. Significa che ogni singolo consumatore in un anno sciupa 42 kg di alimenti, pari a una spesa di 117 euro; un importo che sale a 300 euro per una famiglia di medie dimensioni (tre componenti), pari circa all’8% della spesa. Il calcolo dello spreco alimentare è semplice. Viene considerato come spreco l’eccedenza alimentare non recuperata, in primo luogo, per il consumo umano e, in secondo, per l’alimentazione animale e la produzione di beni ed energia, come le biomasse. Per eccedenza alimentare si intendono i prodotti commestibili e sicuri che, per varie ragioni, non vengono acquistati o consumati dai soggetti per i quali sono stati prodotti. Sono esclusi dal computo gli scarti di produzione. L’eccedenza alimentare annua complessiva in Italia ammonta a 6 milioni di tonnellate (il 17,4% dei consumi), pari a 13 miliardi di euro. Ciò significa che lo spreco alimentare è il 92,5% dell’eccedenza totale. L’eccedenza recuperata e quella recuperabile. Ad oggi l’eccedenza effettivamente recuperata a consumo umano tramite donazioni a food banks ed enti caritatevoli è solo il 6,4% del totale: si tratta di circa 400 mila tonnellate che, moltiplicate per un valore medio di 2 euro/kg, corrispondono a circa 800 milioni di euro. Ma secondo Alessandro Perego, docente di logistica al Politecnico di Milano e uno dei curatori della ricerca, «quasi il 50% delle eccedenze generate nella filiera agroalimentare è recuperabile per l’alimentazione umana con relativa facilità. Certo, occorre un gioco di squadra in cui le aziende della filiera (cooperative di agricoltori, produttori, grande distribuzione, catene di ristoratori) collaborino con intermediari qualificati in un contesto normativo che tenda a garantire la qualità senza però creare inutile burocrazia». Ciò significa un potenziale incremento del recuperato fino a quasi 3 milioni di tonnellate di cibo, per un valore economico di almeno 6 miliardi di euro, da riportare sulle tavole dei poveri. Per il restante 50% invece si tratta di prodotti estremamente difficili da valorizzare. Dove si genera lo spreco e quali sono le cause. La percentuale di spreco tra i consumatori è pari al 100% dell’eccedenza alimentare. Ciò significa che le 2,5 tonnellate di cibo in eccedenza vengono interamente buttate via. Si tratta di alimenti acquistati da famiglie e persone ma non consumati perché scaduti o avariati (42%) o semplicemente avanzati (58%) e comunque non destinabili in alcun modo ad altro uso. Più articolata è invece la geografia degli sprechi nella filiera della produzione agroalimentare. Qui l’eccedenza raggiunge un quantitativo di oltre 3 milioni di tonnellate all’anno, per un importo pari a 6 miliardi di euro così suddiviso: 2,3 milioni di tonnellate (1,1 miliardi di euro) nel settore primario (ortofrutticolo, cerealicolo, allevamento e pesca), 200 mila tonnellate (0,5 miliardi) nei processi di trasformazione dei cibi (a temperatura ambiente, freschi e surgelati), 143 mila tonnellate (1,9 miliardi) nella distribuzione (centri distributivi e punti vendita) e 208 mila tonnellate (2,5 miliardi) nella ristorazione (collettiva e commerciale). Nella filiera la percentuale di spreco è pari o superiore al 90% per il primario cerealicolo (99%), la pesca (90%), la trasformazione dei surgelati (97%), la distribuzione nei punti vendita (95%) e nella ristorazione commerciale (95%). È superiore all’80% nell’ortofrutticolo (89%) e nella ristorazione collettiva (85%). Superiore al 60% nella trasformazione dei cibi freschi (65%) e nei centri distributivi ai punti vendita (65%). Più basso lo spreco nell’allevamento (39%) e nella trasformazione dei cibi a temperatura ambiente (30%). Nella maggior parte dei casi la generazione dell’eccedenza è riconducibile, per il settore trasformazione e distribuzione, al raggiungimento della sell-by date interna (la data oltre la quale non si può più vendere) nel 66,9% dei casi, alla non conformità del prodotto agli standard estetici richiesti (12%), alla non conformità del packaging agli standard (5,7%), ai resi contestuali alla consegna (9,1%) e ai casi di invenduto (6,1%). La principale causa all’origine della creazione di eccedenze nel settore primario, dell’agricoltura in particolare, è la sovrapproduzione. Per la ristorazione, invece, è la preparazione di pasti in misura superiore a quanto consumato. All’origine di tutte vi è la fisiologica sovrapproduzione delle aziende dettata dalla intrinseca difficoltà a stabilire correttamente il livello della produzione relativamente alla effettiva domanda del mercato, che è sempre difficile da prevedere. Dove avviene il recupero delle eccedenze: i donatori. Il quadro che emerge dall’analisi di Fondazione e Politecnico dimostra la presenza di tentativi più strutturati di riduzione dello spreco nelle aziende di trasformazione e nella distribuzione. I settori dove è più semplice recuperare l’eccedenza. Nelle aziende di trasformazione il 35% dell’eccedenza è donato a food banks o enti caritativi sparsi sul territorio. Anche se il 32% dei prodotti alimentari in eccedenza che ancora conservano gli standard per la donazione sono smaltiti in discarica, dove è destinato l’81% delle eccedenze totali (si veda seconda tabella in pagina). L’altro grande soggetto donatore sono i distributori, le catene dei supermercati. I 3/4 delle donazioni a food banks e enti caritatevoli (300 mila tonnellate) sono donazioni dirette dei soggetti della filiera agroalimentare ed è difficile ricostruire il quadro a livello nazionale. Si tratta infatti di fenomeni spesso estemporanei e comunque localmente connotati. Il restante quarto delle donazioni (100 mila tonnellate) avviene grazie a fondi Ue destinati alle aziende per il recupero delle eccedenze alimentari tramite trasformazione in prodotti finiti. «I donatori», spiega Perego a ItaliaOggi Sette, «devono saper gestire l’eccedenza con un processo strutturato che li renda capaci di riconoscere il prima possibile l’andamento della domanda di mercato. Solo così è possibile stabilire una gerarchia dell’uso delle eccedenze. Inoltre è importante che questo processo sia condiviso dalle persone e dai direttori dei singoli punti vendita». Un altro comparto che potrebbe dare un notevole contributo è quello degli operatori logistici, che si occupano dello stockaggio dei prodotti. «La loro capacità logistica», continua Perego, «potrebbe essere proficuamente messa a disposizione per coordinare le donazioni, soprattutto quando vi è capacità in eccesso, possibile in certi momenti dell’anno o su certe tratte di trasporto». Il compito delle istituzioni. Secondo Perego è giusto che le istituzioni tengano un approccio «prudente», attento a certificare la qualità dei processi di gestione delle eccedenze. Occorre però che il sistema di regole e procedure non sia eccessivamente burocratico e oneroso per i donatori. Sarebbe importante che ci fosse un adeguato sistema di incentivi a sostegno di coloro che «donano» l’eccedenza alimentare piuttosto che «buttarla in discarica». Un esempio è la nuova norma del decreto crescita per la creazione di un fondo per pagare le spese di trasporto alle aziende che intendono donare parte di cibo alle food banks. Dall’America un modello: le food banks Le food banks sono realtà che operano come intermediari tra i donatori e i numerosi banchi di solidarietà, enti caritatevoli e di volontariato che si preoccupano di far fronte alle esigenze dei più poveri nei loro territori. Il modello è quello americano ideato da John Van Hengel. Si tratta di soggetti che devono operare in un contesto di dinamiche produttive e distributive in costante evoluzione. Devono essere dotati di un minimo di struttura organizzativa con standard adatti alla conservazione e alla rapida distribuzione del cibo. Alcune delle più conosciute food banks in Italia sono la Federazione nazionale dei banchi di solidarietà, le Caritas, il Banco Alimentare e le reti di San Vincenzo de Paoli e del Cardinal Ferrari.