Bianca Carretto, CorrierEconomia 18/06/2012, 18 giugno 2012
MARCHIONNE. GLI OTTO ANNI CHE HANNO CAMBIATO FIAT
Sergio Marchionne è entrato in Fiat il 1° giugno 2004, con il ruolo di amministratore delegato. Indossava giacca e cravatta ed era sconosciuto ai più.
Scelto da Umberto Agnelli poco prima di morire, era stato accolto dai manager del gruppo torinese — che vestivano, da sempre, rigorosamente, completi blu — come un’altra meteora; uno dei tanti amministratori che si erano succeduti dalla scomparsa di Gianni Agnelli, destinato ad uscire, rapidamente, di scena. Al Lingotto era «uno straniero» che parlava più in inglese o in francese che in italiano, quando tra le righe dei quadri torinesi la lingua «ufficiale» era il dialetto piemontese, imposto, per diverso tempo, da Paolo Cantarella, l’amministratore delegato succeduto a Cesare Romiti.
La Fiat vendeva poco più di 1,7 milioni di auto, di cui nessuna in America, viveva uno dei suoi momenti più drammatici, il bilancio registrava un profondo rosso. Marchionne prese le redini della situazione, eliminò chi non era in grado di seguirlo, chiese ed ottenne fiducia e credito, vinse la battaglia con General Motors, ottenendo non solo una fonte di denaro fresco, ma una vittoria che significava la conquista della leadership. Gli analisti iniziarono a capire che non era uno come gli altri, partirono progetti di auto, si ricominciava a tifare per la Fiat e quando la nuova 500 vinse il premio «auto dell’anno», i dipendenti dimostrarono il ritrovato orgoglio di appartenere a un simbolo dell’Italia, una standing ovation fermò, per qualche minuto, la produzione in tutti gli impianti.
I maglioni
Marchionne cessò di essere un «forestiero», si tolse la giacca, iniziò a indossare maglioni — blu o neri, comperati su Internet a pacchi di sei — con un piccolo tricolore ricamato su una manica. Guardava oltre, una società non poteva affrontare sfide internazionali rimanendo nei confini ristretti di un solo continente. La sua formazione americana lo avvicinava a quel mercato che, tre anni fa, era in bancarotta. Costrinse i suoi manager di primo livello a viaggiare in classe economy. Iniziarono le lunghe trattative con i sindacati e il governo Usa, per acquisire la Chrysler. Scambiò il valore della storia dell’automobile italiana con il 20% delle azioni della società americana: la firma avvenne a Washington, alle cinque di mattina, ora locale, del 30 aprile 2009.
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama dichiarò che Fiat era stata scelta perché nessun’altra società garantiva un apporto tecnologico così determinante e risolutivo. Iniziò il processo di fusione per costruire il settimo gruppo mondiale.
L’aereo
La vera casa di Marchionne è l’aereo. Sfrutta i fusi orari per i trasferimenti, per poter essere presente, di prima mattina, agli incontri con il management italiano o americano. Non si capisce se trova spazio per una vita personale, l’unica zona d’ombra, in cui nessuno ha il coraggio di interferire. I suoi scatti di umore sono leggendari, è ruvido tanto da apparire sgarbato, ma quando intuisce che i suoi stretti collaboratori sono stremati, concede una pausa di vacanza premio, da concordare solo con lui.
Afferma che le sue «querelle» sindacali esprimono la volontà di difendere stabilimenti e posti di lavoro, chiede all’Italia di modificarsi di fronte ad un mondo che si è trasformato. Si esprime sempre in modo diretto, non conosce la diplomazia, il suo ufficio stampa cerca di «imprigionarlo» per evitargli dichiarazioni che possono essere fraintese, ma non sempre ci riesce. Apprezza chi gli tiene testa, chi vuole bene ed è fedele alla Fiat; ritorna, a volte, sulle sue decisioni, senza logicamente ammettere l’errore. Ha detrattori e ammiratori.
Il compleanno
Ieri Sergio Marchionne ha compiuto 60 anni (senza torte e brindisi). La Fiat è divenuta, in questi otto anni, una multinazionale, ha raddoppiato le dimensioni, vende oltre 4 milioni di auto, di cui la metà in Nord America e vanta un bilancio in attivo (nel 2011) di 1,7 miliardi di euro. Chrysler è ormai acquisita (prima della fine dell’anno il 61,8 per cento sarà nelle mani di Fiat), gli utili vengono realizzati per il 52% nel mercato statunitense, solo per il 6% in Europa.
Il manager ha dichiarato la scorsa settimana di essere costretto a ridimensionare, nel 2012, gli investimenti in Europa di 500 milioni di euro, perché persiste uno stallo nella domanda di auto nuove: gli stabilimenti sono in grado di produrne 18 milioni ma il mercato ne assorbirà solo 12 milioni. Un problema di tutti i costruttori europei; in Italia, quest’anno, verranno prodotte meno di 500 mila macchine, ma la Fiat ha acquistato una connotazione internazionale, depurata del suo provincialismo. Marchionne è accusato proprio di questo, dimenticando che la Fiat era praticamente fallita nel 2004, soffocata da una esasperata italianità. La sfida del momento, per non chiudere gli stabilimenti italiani, prevede la produzione anche per altri marchi.
Bianca Carretto