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 2012  giugno 18 Lunedì calendario

Tony Bennett, l’ultimo crooner «Il segreto? Nervi sempre saldi» - «Sono tanti gli artisti che sono finiti con i nervi a pezzi»

Tony Bennett, l’ultimo crooner «Il segreto? Nervi sempre saldi» - «Sono tanti gli artisti che sono finiti con i nervi a pezzi». A dirlo è uno il cui sistema nervoso non fa una grinza, anche dopo 60 anni di carriera. È Tony Bennett, l’ultimo crooner vivente (a parte Michael Bublé), cantante jazz melodico, tanto per intenderci un po’ stile Frank Sinatra (anche se lui s’è ben guardato dall’imitarlo).A 85 anni, fa un concerto ogni due giorni, si regala un paio di cd duettando con i big di ieri (Streisand, Stevie Wonder, Sting, Bono) e di ultima generazione: Lady Gaga, per dire. Amy Winehouse incise proprio con lui la sua ultima canzone: Bo­dy and Soul . Mancava giusto un film-documentario. È arrivato pu­re quello. S’intitola The Zen of Ben­nett , girato da Unjoo Moon e il fi­glio Danny Bennett. È stato pre­sentato sabato, in prima europea, al Festival Tribeca di Firenze, nel­la città dove il cantante si esibisce lunedì, per il Tuscan Sun Festival. L’artista sarà di nuovo in Italia,Ro­ma e Lucca, in luglio. Tanta Italia, dunque. Del resto, dietrol’ameri­cano Mr Bennett si nasconde un cognome italico, Benedetto: quando dalla Calabria, i genitori migrarono negli Usa,l’origine ita­liana era solo un intralcio, si deci­se che era meglio americanizzar­si. Che poi, basta lo sguardo, quel sorriso latino, per scovare le radi­ci. Italiano anche per come veste, impeccabile. «Andy Warhol mi disse che ormai ero l’unico a man­tenere vivo il glamour. Tanti mi chiedono perché indosso sempre la cravatta. Ma è perché voglio es­sere diverso», dice. Gente ambi­ziosa questi Benedetto. Il cantan­te racconta che il nonno materno, una volta arrivato a New York, «non voleva vivere nel quartiere con gli italiani, scelse Astoria per­ché lì c’erano insegnanti, medi­ci », insomma la middle class. In compenso, «morto papà, la mam­ma lavorava come una schiava, per un penny. Ricordo quando per il giorno del Ringraziamento la sentii, di là, in cucina, dire che non c’era nulla da mangiare».Ben­nett ha visitato Podargoni, il paesi­no di papà, e in cima alla valle ha pure cantato O Sole mio , «ora è una città fantasma, tetra, è rima­sto giusto qualche vecchio». Lui scansa la vecchiaia. A Firenze s’è infilato nei musei per tutto il gior­no, sicuramente anche per trarre ispirazione per i suoi dipinti. Per­ché è pure un abile pittore, Ben­nett, con quadri esposti in galle­rie. «Dipingo quasi tutti i giorni. Ho scelto di vivere a New York per­ché lì sei di fronte alla natura, pas­so parecchio tempo in Central Park a dipingere». Il pittore prefe­rito? «Rembrandt, è bello, perfet­to, nessuno ha mai dipinto così». Fra i cantanti l’affetto va a Amy Winehouse, «era una grande mu­sicista, diversa da tutti, viveva il momento musicale con sincerità. Volevo aiutarla ad uscire dal tun­nel della droga. Quando mio figlio mi diede la notizia della scompar­sa, iniziai a piangere. Che trage­dia, che peccato. È un piccolo an­gelo », dice con rammarico. Malin­conico quando racconta degli amici che non ci sono più, quando fruga nel passato, ma poi prende il sopravvento la tempra dell’uomo solido, positivo. Che per sedare le tensioni della Winehouse prima dell’incisione, inizia a raccontare alla giovane e fragile collega aned­doti sulla cantante blues Dinah Washington. E ottiene quel che aveva in testa, senza forzare la ma­no, con la Winehouse che dà il me­glio di sé. «Ho avuto sempre tanta fortuna nella vita. Anche nei mo­menti bui sapevo che tutto sareb­be passato. Si impara dai fallimen­ti. L’esistenza è un dono. Molti guardano alla vita con rabbia, ma­linconia e bigotteria: questa è solo perdita di tempo. Sento di aver rag­giunto un appagamento interio­re, ormai. Avverto la mia solita pas­sione per ciò che faccio. Mi piace intrattenere il pubblico, la fama passa ma non la qualità e l’affetto di chi ti segue. Duke Ellington di­ceva: “ Spiego al numero uno: non mollare mai. E al numero due: fai quello che ha fatto il numero uno”. Mi piace questa massima».