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 2012  giugno 18 Lunedì calendario

Il super ego della Fornero: ministro che si crede profeta e sgrida chi osa contraddirla - Certo, vedendo l’agita­zione scomposta di To­tò Di Pietro contro Elsa Fornero, di cui chiede la sfiducia individuale, viene vo­glia di difendere il ministro del La­voro dalla furia dell’ossesso

Il super ego della Fornero: ministro che si crede profeta e sgrida chi osa contraddirla - Certo, vedendo l’agita­zione scomposta di To­tò Di Pietro contro Elsa Fornero, di cui chiede la sfiducia individuale, viene vo­glia di difendere il ministro del La­voro dalla furia dell’ossesso.Di di­re che è una donna coraggiosa che si assume una parte scomoda, che si batte per il Paese e che sotto sotto ha un cuore, poiché piange. Ma appena ci rifletti, vedi che è impossibile stare dalla parte di El­sa che ha più spocchia che chili di peso. Inalbera una perenne faccia da dea egizia disgustata dall’altrui idiozia e ha un paio di tic rivelatori: se ascolta, mette due dita sotto il mento per farti capire che le tocca puntellarlo, se no, muore di noia; quando invece è lei che parla, alza al cielo l’indice della destra nel ge­sto del profeta che indica la via. Ha un evidente problema di super ego. Con la storia degli esodati ha fat­to davvero traboccare il vaso. Elsa insiste che i poveri cristi messi sul lastrico dalla sua riforma delle pen­sioni - fatta con la mannaia della presunzione anziché col bisturi della razionalità- sono 65mila. Ma quando l’Inps dice che invece so­no la bellezza di 390mila, lei grida al complotto.Se l’è presa col presi­dente dell’ente, Antonio Mastrapa­squa, e il direttore generale, Mau­ro Nori, trattandoli da quinta co­lonna della reazione in agguato: «Chi gioca al massacro andrebbe sfiduciato... chi ha passato i nume­ri lo ha fatto con dolo, per danneg­giare il governo». Il ministro non ha smentito le cifre, ma si è inviperi­to che siano state divulgate quan­do non faceva comodo a lei. Nean­che sfiorata dall’idea che l’Inps ha l’obbligo istituzionale di dire co­me stanno le cose e che la gente lo esige. Dunque, i vuoti sdegni di Fornero vanno annoverati tra le neuropatie del potere. Elsa è una donna che si è fatta da sé. Una specie di Cenerentola di San Carlo Canavese, qualche mi­gliaio di anime, dove l’inverno spi­rano i venti boreali della vicina Val d’Aosta. Figurarsi il gelo all’alba, quando Elsina usciva dalla sua mo­desta abi­tazione per andare a Tori­no e frequentare prima ragioneria e in seguito la facoltà di Economia, vincendo borse di studio a iosa. Poi, dopo tanti sacrifici, un muc­chio di successi. Professore nel­l’ateneo torinese, cariche banca­rie, onorificenze e medaglie. E, a coronamento, un eccellente matri­monio con Mario Deaglio, anche lui docente di Economia, e rampol­lo della borghesia torinese, laica e liberal,dotata di quell’etica sabau­da, detta «azionista», ossia severa e cipigliosa che distingue, sotto la Mole, l’acculturato di sinistra dal­le masse pitecantrope. Fornero ha sposato, con Dea­glio, anche queste pose. Di qui, la sua corrugata indignazione,la con­vinzione dell’infallibilità, una tota­le mancanza di sfumature, aggra­vate dall’alterigia del cattedratico tradizionalmente maldisposto al­l’ascolto degli altri). Ilmastodonticoguaiocombina­to con gli esodati, è tipico della mentalità. Per dimostrarsi più vir­tuosa dei predecessori, Elsa ha spazzato via ogni gradualità nella riforma pensionistica. Ricordate con Maroni, Sacconi e altri titolari del Welfare,gli scaloni,scalini,sca­lette con cui si regolavano le transi­zioni tra un sistema e l’altro? Bè, via questa robaccia:dall’oggi al do­mani tutti in pensione a 67 anni. Così, le mezze età che avevano la­sciato con qualche anticipo pen­sando di andarci di lì a poco in base alla legge vigente se ne trovano un’altra che li condanna a restare lustri senza lavoro né reddito. E Fornero anziché cospargere di ce­nere il suo capino, sparge insulti su chi la mette di fronte ai suoi incapo­nimenti. Al momento della formazione del governo Monti, Elsa non era nella rosa. Al Lavoro doveva anda­re Carlo Dell’Aringa, un pd vicino alla Cisl, coautore con Marco Bia­gi, vittima delle Br, del Libro bian­co sull’abolizione dell’articolo 18. Su Dell’Aringa, però, fu lo stesso Pd a opporsi perché troppo «liberi­sta ».Così si passò a Fornero,amica personale del premier e vicina al Pds torinese dagli anni ’90 quando fu consigliere comunale di maggio­ra­nza col sindaco Valentino Castel­lani. Nonostante il Pd alle spalle, Elsa - come peraltro Monti- era davve­ro intenzionata ad abolire l’artico­lo 18, per favorire i licenziamenti necessari, sostituendo all’attuale reintegro un congruo indennizzo. È stato Napolitano a mettersi di mezzo. Sapendo che il Pd- in tutto dipendente dalla Cgil - non avreb­be retto alla botta, il presidente ha ordinato a Monti,che l’ha imposto a Fornero, di annacquare il provve­dimento. Quello che ha visto la lu­ce, e che Monti e Fornero fingono di considerare una stratosferica conquista, è scritto a quattro mani - dicono- dalla Cgil e dal capo gabi­netto di Elsa, Francesco Tomaso­ne, cigiellino onorario. Cedimen­to fatale foriero di danni. Infatti, an­ziché snellire il mercato del lavoro lo ha irrigidito, ha dimezzato l’au­ra d­i Monti di fronte all’Ue e ha sve­lato che Fornero ringhia con i debo­li e bela con i forti. Sconfitta e ridimensionamento non hanno però attenuato nel mi­nistro l’arroganza, che molti chia­mano piemontese, e che invece è propria della cerchia torinese di giacobini inflessibili cui ho accen­nato. Di qui, le continue liti con i colleghi per le ragioni più scioc­che. Ha fatto un liscio e busso al sot­tosegretario Polillo, reo di avere detto cose sensate sugli esodati, da un’ebdomada battibecca con Pa­troni Griffi sui licenziamenti degli statali, mentre il ministro Giarda, per reconditi motivi, rifiuta di se­derle accanto. Elsa, tuttavia, si era a lungo aste­nuta dal passatempo dei ministri tecnici di sfrugugliare a turno il po­polo bue: «Il posto fisso è monoto­no ( Monti); chi non è laureato a 28 anni è uno sfigato (Martone); gli ita­liani sono per il posto fisso, nella stessa città, a fianco di mamma e papà (Cancellieri)». Finché, un giorno,c’è cascata anche lei:«Il po­sto fisso è un’illusione». Così, si è scoperta la storia della figlia. Silvia Deaglio,37 anni,è il proto­tipo dell’ideale italiano sbeffeggia­to dai tecnici al governo: posto fis­so, nella città dove vive, accanto ai genitori e sotto la loro ala premuro­sa. Valente oncologa, abitante al­l’ombra del Valentino, Silvia è prof. associato (con anticipo sulla media) a Medicina, nello stesso ateneo torinese dove sono ordina­ri mamma e papà. È inoltre respon­sabile della ricerca alla HuGeF, isti­tuto che si occupa di genetica, fon­dato dalla Compagnia San Paolo di cui la mamma era vicepresiden­te e cofondato dall’-Università di To­rino di cui mamma e papà sono ba­roni. La Compagnia San Paolo, quella della mamma vicepresiden­te, è anche finanziatrice delle ricer­che HuGeF, introiti che sarebbero aumentati da quando Silvia ne è re­sponsabile, con ricadute positive pure sul versante accademico. Nel verbale del concorso ad associato, tra i motivi della promozione uni­versitaria c’è infatti questo: «La can­didat­a dimostra un’ottima capaci­tà di attrarre fondi di finanziamen­to per la ricerca...». Un tempo si chiamava familismo, oggi non so.