Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  giugno 18 Lunedì calendario

Così la Germania è diventata ricca con le crisi degli altri - A In principio fu Maastricht. Con le sue luci e le sue om­bre

Così la Germania è diventata ricca con le crisi degli altri - A In principio fu Maastricht. Con le sue luci e le sue om­bre. Si fissarono 4 obiettivi per un ideale alto: la moneta unica. Per re­alizzarlo era previsto, per gli Stati, un limite massimo di deficit al 3%; un rapporto debito/Pil del 60%; convergenza dei tassi di interesse (tanto sul debito pubblico quanto sull’indebitamento privato) ver­so il limite massimo del 2% della media del tasso di interesse dei 3 Paesi più virtuosi; convergenza dei tassi di inflazione verso il limi­te massimo dell’1,5% della media dei 3 Paesi a inflazione più bassa. Per rispettare questi parametri, gli Stati arrivano (pur se con qual­che trucco) alla moneta unica stre­mati dal rigore e si crea subito un divario tra Stati «formica», come la Germania, che avvia un percor­so di riforme che si r­iveleranno de­cisive per la sua crescita nel decen­nio successivo, e Stati «cicala», co­me Portogallo, Irlanda, Italia e Spagna, che non sfruttano il perio­do precedente all’entrata nell’eu­ro, in particolar modo la fine degli anni ’90, per fare le riforme. B Il decennio dell’euro è sta­to caratterizzato da una vio­lenta crisi scatenata dalle Twin Towers e dalle numerose bolle speculative Usa, da internet a quella immobiliare, dalle materie prime ai debiti sovrani. Con un rapporto euro/dollaro che dal­l’ 1,07 medio annuo del 1999, sci­vola fino al minimo storico di 0,89 nel 2001 per poi salire fino a 1,24 nel 2004, rimanere mediamente stabile fino al 2006 e infine ripren­dere la corsa al rialzo fino a 1,39 nel 2011, con picco massimo (1,47) registrato nel 2008. C I mercati accolgono bene il trattato di Maastricht e la moneta unica funziona anche sen­za strumenti forti di controllo. Maastricht si basava su due ipocri­sie: il doppio egoismo opportuni­stico di Stati «cicala» e di Stati «for­mica ». La moneta unica ha porta­to vantaggi per entrambi, con mo­dalità diverse. Gli Stati «cicala» non hanno goduto dei vantaggi le­gati alla rigidità del tasso di cam­bio, ma hanno tratto beneficio dal­la riduzione dei tassi di interesse; mentre gli Stati «formica» e ad alta competitività hanno beneficiato di un tasso di cambio favorevole, che ha rilanciato il commercio e le esportazioni, nella totale assenza di politiche redistributive. È il ca­so della Germania. Impressionan­te l’evoluzione della bilancia dei pagamenti nel decennio in cui un’economia tedesca, certamen­te competitiva per propri meriti, lucra su un cambio strutturalmen­te «sottovalutato»e sul conseguen­te aumento esplosivo delle sue esportazioni nel resto dell’area eu­ro, a scapito di tutti gli altri Paesi. D Ma questo lo si sapeva già perché l’eurozona non può essere considerata un’area mone­taria ottimale­e conduce le econo­mie nazionali a divergere se non si attivano uno o più di 3 strumenti a disposizione: mobilità del lavoro, politiche fiscali compensative e flessibilità dei cambi. Questi ulti­mi, per esempio, hanno consenti­to, fino all’introduzione dell’eu­ro, di compensare gli squilibri di bilancia dei pagamenti degli Stati che quando raggiungevano avan­zi­o disavanzi eccessivi erano tenu­ti rispettivamente a rivalutare o svalutare la propria moneta. E L’insieme di questi due van­taggi (tasso di interesse più basso del dovuto per Paesi che non lo merita­no e tasso di cambio più vantaggioso, senza alcuna redistribuzio­ne, per i Paesi in surplus ) può essere de­finito come il dividendo av­velenato di Maastricht, che gli Stati «formica» hanno utilizzato per capitalizza­re, anche oltre il dovuto e contro gli altri Paesi dell’euro, i risultati conseguiti con le riforme ma che, invece, non è stato utilizzato dagli Stati«cicala»per consolidare i con­ti e avviare riforme strutturali. Di questo,però,in sede europea,nes­suno si è preoccupato più di tanto, essendo, momentaneamente, un gioco a somma positiva per tutti. F Si è creata in tal modo una sorta di bolla dal dividendo egoistico di Maastricht, in cui tutti lucravano sulla moneta unica. Il bengodi è durato dall’introduzio­ne dell’euro nel 1999 fino a otto­bre 2009, quando la Grecia ha fat­to scoppiare la bolla. La reattività dell’area euro alle crisi delle finan­ze pubbliche di singoli Stati nazio­nali è stata insufficiente e, come vedremo, si caratterizza come il vero punto debole dell’intero si­stema euro: rispondere troppo po­co e troppo tardi alle ondate spe­culative. G Si palesa il dividendo di Maastricht malamente uti­lizzato e inizia il gioco al massacro con banche e agenzie di rating , nella vorticosa sequenza bassi tas­si di interesse- speculazione-titoli tossici. Le banche, in particolare quelle tedesche e francesi, gioca­no con i Paesi «cicala», come con la Grecia, senza preoccuparsi troppo della solidità delle finanze dello Stato. E ce n’è per tutti. H A questo l’Europa ha rispo­sto in maniera insufficiente e miope. Nessuna reazione intelli­gente alla crisi ma ricette sbaglia­te: punizioni oltre misura per gli Stati «cicala», che generano gua­dagni, anch’essi oltre misura, per gli Stati «formica», in particolare per la Germania. Come? I S ulla scia del­la combina­zione di spe­culazione in­ternazionale e reazione ina­deguata del­l’Europa, i tas­si di interesse che gli Stati «cicala» si tro­vano a dover pagare sui titoli del debito pubblico aumentano vorti­cosamente, più di quanto non sia giustificato dallo stato dei conti. E a guadagnare sono gli Stati «formi­ca », prima fra tutti la Germania. In­fatti, il Bund tedesco diventa tito­lo «rifugio» e il rendimento dimi­nuisce. Con lo scoppio della crisi sono le «cicale» a pagare il servizio del debito alle «formiche». Come sempre, prima fra tutti la Germa­nia. J Per l’economia tedesca, quindi, doppio guadagno: all’aumento delle esportazioni,ri­petiamo, a scapito degli altri Paesi europei, di cui avevano beneficia­to al momento del passaggio alla moneta unica, grazie al tasso di cambio strutturalmente favorevo­le e sottovalutato nel tempo, si ag­giunge la riduzione dei tassi di in­teresse sul debito pubblico conse­guente alla crisi. K Da qui deriva anche la tenta­zione egemonica della Ger­mania, assecondata dalla debolez­za della Commissione europea, bu­rocratica, impotente, piatta. Piutto­sto che chiedere alla Germania di aumentare i consumi, gli investi­menti, i salari, le importazioni e, di conseguenza, la crescita per gli al­tri Paesi, ha ceduto di fatto la pro­pria sovranità allo Stato tedesco, al­lin­eandosipassivamenteallericet­te sangue sudore e lacrime da que­sto imposte a tutta l’Unione. L La dabbenaggine masochi­stica dei parametri previsti da Basilea 3 e dall’Eba porta gli isti­tuti di credito a dover svalutare i propri asset e, di conseguenza, a ri­durre proporzionalmente la liqui­dità ai clienti. L’esplosione è assi­curata e porta alla tempesta perfet­ta e al collasso dell’intero sistema euro. Con le conseguenti tensioni democratiche, cambi di governo e inevitabili derive populistiche. M In questa tragicommedia dell’euro non ci sono né an­geli né demoni. Semplicemente Stati, con le loro storie, i loro equili­bri geopolitici, i loro equilibri so­ciali, i loro comportamenti oppor­tunistici. Allora mai più guerre, mai più egoismi nazionalistici, mai più egemonismi. N A ben vedere, a guadagnare da tanti errori, da tanta mio­pia e da tanta inadeguatezza delle regole, in tutti questi anni, è stata soprattutto la Germania, a livelli insopportabili. Ne prenda atto, Angela Merkel, quando dirà i suoi no e, sperabilmente, i suoi sì. O Professor Monti, porti all’at­tenzione dell’Europa il dos­sier dei guadagni dell’economia tedesca degli ultimi dieci anni sul­l’export e quelli dell’ultimo anno grazie ai titoli di Stato tedeschi. Chieda conto dello stato comato­so delle sue Casse di Risparmio e il ruolo della finanza pubblica nei lo­ro confronti; chieda conto dei truc­chi della Cassa Depositi e Prestiti per aggirare le statistiche sul debi­to pubblico tedesco; chieda per­ché all’inizio della crisi Deutsche Bank ha venduto titoli del debito sovrano greco e italiano, buttan­do benzina sul fuoco; chieda con­to dei comportamenti delle ban­che tedesche nei confronti della Grecia e dei titoli tossici che han­no in portafoglio; chieda perché nel fiscal compact l’indicatore de­gli squilibri connessi alle esporta­zioni sia stato fissato al 6% quan­do la Germania arriva giusto al 5,9%. Senza alcun timore reveren­ziale, senza subalternità. La posta in gioco non lo consente. E smet­tiamola una volta per tutte col dire che la Germania paga per tutti. P Contemporaneamente al­l’operazione verità occorre rilanciare lo spirito europeista che fu alla base della costruzione comunitaria dopo la Seconda guerra mondiale. Con la necessi­tà di correggere gli errori già cono­sciuti fin dai tempi di Maastricht. Q Occorre introdurre in Euro­paqueimeccanismiredistri­butivi che Maastricht non aveva considerato. Prima regola: nessu­no può guadagnare troppo, così co­me nessuno può pagare troppo per le tensioni conseguenti alla mone­ta unica. Seconda regola: soli­darietà per gli Stati che vengo­no attaccati dalla speculazio­ne. Terza regola: basta con le ci­cale irresponsabili, ma basta anche con le insopportabili moraliste formiche. D’altra parte, le regole di Maastricht non erano sufficienti, ma non lo sono neanche quelle del re­cente fiscal compact , pur volu­te dalla occhiuta Germania (a suo uso e consumo egoistico). R Per uscire dallo stallo l’Europa (se vuole!) ha tutti gli strumenti. Si parta subi­to con l’annuncio di una road map di riforme da realizzare si­multaneamente: 1 ) unione bancaria, vale a dire un sistema bancario unico europeo con un fondo comune di garanzia sui depositi; un sistema centra­li­zzato di sorveglianza sugli isti­tuti di credito; una regolamen­tazione uniforme dei fallimen­ti bancari; l’istituzione di un’agenzia europea di rating delcredito; 2) unioneeconomi­ca, attraverso l’attivazione im­mediata di Euro Bond , Project Bond e Stability Bond e l’istituzione di un fondo speciale comunitario che as­sume i debiti dei Paesi che eccedo­no il limite del 60% del Pil; 3) unione fiscale, vale a dire previsione di un’autorità centrale di controllo delle politiche di bilancio dei singo­li Stati e­armonizzazione delle politi­che economiche, ma anche di sicu­rezza, mercato del lavoro, welfare e politica estera; 4) unione politica e relativo rafforzamento del quadro istituzionale attuale, con eventuale elezione diretta del presidente del­la Commissione europea. S Il tutto nell’ambito di un pro­cessor­iformatorevoltoadat­tribuire alla Banca centrale euro­pea, attraverso opportune modifi­che dei Trattati, un nuovo manda­to che preveda il ruolo di prestatore di ultima istanza, al pari delle altre banche centrali (inglese, svizzera, giapponese) e in particolare della Federal Reserve americana. T E se il Consiglio europeo del 28 -29 giugno si risolverà, per responsabilità della Germa­nia e secondo i peggiori istinti che hanno caratterizzato la storia del ’900 nel continente europeo, nel­l’ennesimo nulla di fatto, saranno la Germania e la sua classe dirigen­te a mettersi fuori dall’euro e fuori dalla storia. Che questo accada non è nell’interesse di nessuno: né degli Stati Uniti, che, come ab­biamo visto, sono all’origine delle ondate di crisi e non possono fare solo da spettatore preoccupato, né dei Paesi «formica», in primis la Germania,che da un collasso del­l’euro avrebbero tutto da rimetter­ci, né tanto meno dai Paesi «cica­la », che ancora molto devono fare per la loro disciplina finanziaria e per la loro modernizzazione. Si sal­vi, dunque, con generosità la Gre­cia nell’euro e si usi la stessa gene­rosità e la stessa lungimiranza per salvare l’Unione europea.