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 2012  giugno 16 Sabato calendario

TRA STATO E MAFIA TUTTI I NOMI DELL’INCHIESTA

Da Riina a Provenzano, da Mancino a Dell’Utri, da Subranni a Mori, da Massimo Ciancimino a Capriotti: ecco ruolo per ruolo i protagonisti dell’inchiesta sulla trattativa mafia-Stato che attraversa la stagione ’92-’94. Per tutti (ad esclusione di quelli che rispondono di false dichiarazioni al pm) verrà probabilmente chiesto il rinvio a giudizio per i rispettivi reati, dopo il deposito delle controdeduzioni difensive, che avverrà entro venti giorni. La parola, dopo, passerà al gip chiamato a valutare gli oltre 120 faldoni dell’inchiesta condotta dalla procura di Palermo con l’esclusione, alla fine, di due magistrati che non ne hanno condiviso le conclusioni: il procuratore Francesco Messi-neo, oggi in corsa per il posto di procuratore generale nel capoluogo siciliano, e il pm Paolo Guido.
LEOLUCA BAGARELLA Cognato di Riina, diventa il capo militare di Cosa Nostra dopo l’arresto del congiunto. Fondatore del movimento di ispirazione separatista Sicilia Libera, poi assorbito dalla nascente Forza Italia, risponde di associazione mafiosa e dell’art. 338 per avere prospettato a Berlusconi, già capo del Governo, attraverso Vittorio Mangano, le richieste mafiose. Lo accusano alcuni pentiti, tra cui Giovanni Brusca.
GIOVANNI BRUSCA Il killer della collinetta di Capaci è una delle fonti principali dell’inchiesta e risponde di associazione mafiosa e dell’art. 338: spedisce Vittorio Mangano da Dell’Utri per prospettare a Berlusconi le richieste mafiose. E lo avverte che la “sinistra sapeva”. Anch’egli fautore in primo tempo del progetto separatista, indica in Forza Italia il partito che ha accolto le istanze di Cosa Nostra.
ADALBERTO CAPRIOTTI A capo del Dap per volere di Scalfaro, che raccoglie un’indicazione dei cappellani militari, insieme con il vice Francesco Di Maggio gestisce l’applicazione del 41 bis durante la stagione stragista del ’93. Deve rispondere di false dichiarazioni al pm: le sue risposte sui motivi delle proroghe e delle revoche del carcere duro adottate in quei mesi non hanno convinto i magistrati.
MASSIMO CIANCIMINO Controverso figlio di don Vito, ex sindaco mafioso di Palermo, l’inchiesta sulla trattativa è partita dalle sue rivelazioni che hanno stimolato la memoria di tanti uomini politici ed esponenti istituzionali. È indagato per concorso esterno alla mafia, per l’art. 338 con l’aggravante mafiosa (è un protagonista della consegna del papello) e per calunnia nei confronti di Gianni De Gennaro, da lui indicato come il misterioso “signor Franco”.
ANTONINO CINÀ È l’uomo del “papello”, il medico di fiducia di Riina chiamato in causa da Massimo Ciancimino come il “postino” delle richieste di Cosa Nostra. Risponde anch’egli di associazione mafiosa dell’art.338 in concorso con Mannino e Dell’Utri.
GIOVANNI CONSO Nel ’93 è ministro della Giustizia. È indagato per false informazioni al pm, procedimento sospeso in attesa che si definisca con sentenza di primo grado o archiviazione l’inchiesta sulla trattativa. Avrebbe mentito sulla mancata proroga di oltre 300 provvedimenti di 41 bis per detenuti mafiosi, sostenendo di averla decisa in “solitudine”, con l’obiettivo di coprire altre responsabilità istituzionali.
GIUSEPPE DE DONNO Nel ’92 è capitano nel Ros dei carabinieri, alle dipendenze di Mori. È indagato per violenza o minaccia al corpo politico dello Stato, con l’aggravante dell’articolo 7, per aver avvantaggiato Cosa nostra. Avrebbe agevolato “l’instaurazione di un canale di comunicazione” con i boss mafiosi, “finalizzato a sollecitare eventuali richieste di Cosa nostra per far cessare la strategia stragista”.
MARCELLO DELL’UTRI Condannato a nove anni per mafia, ridotti a sette in appello e in attesa di un nuovo verdetto di Appello, è il “politico-cerniera” per eccellenza. Braccio destro di Berlusconi, dopo l’omicidio Lima capisce che una stagione del rapporto mafia-politica è finita e si attiva per creare un nuovo partito. Fondatore di Forza Italia, è protagonista di tutte le fasi dell’interlocuzione con Cosa Nostra fino alla discesa in campo di Berlusconi. È indagato per violenza o minaccia al corpo politico dello Stato, con l’aggravante dell’articolo 7, per aver favorito Cosa Nostra. GIUSEPPE GARGANI Ex esponente Dc, già presidente della commissione Giustizia della Camera. È indagato per false informazioni al pm, procedimento sospeso in attesa che si definisca l’inchiesta sulla trattativa. Avrebbe mentito sulle ragioni della sostituzione Scotti-Mancino al Viminale, nel giugno ’92. Secondo quanto ha affermato l’ex guardasigilli Claudio Martelli, Gargani gli disse che Scotti fu liquidato perché inviso alla Dc per le sue iniziative antimafia.
NICOLA MANCINO Sostituisce Scotti al vertice del Viminale il 28 giugno del ’92 e il pentito Brusca lo indica come il referente ultimo della trattativa a cavallo tra le due stragi. Deve rispondere di falsa testimonianza: le sue risposte sui motivi dell’avvicendamento al ministero dell’Interno non hanno convinto i magistrati.
CALOGERO MANNINO Nel ’92 è ministro per il Mezzogiorno. È indagato per violenza o minaccia al corpo politico dello Stato, con l’aggravante dell’art. 7, per aver favorito Cosa Nostra. Avrebbe “contattato esponenti degli apparati investigativi” per aprire la trattativa con l’obiettivo di far cessare le stragi. Avrebbe esercitato pressioni per orientare l’applicazione del 41 bis in senso favorevole ai detenuti.
MARIO MORI Nel ’92 è un ufficiale del Ros dei carabinieri, a lui si deve la cattura di Totò Riina. È indagato per violenza o minaccia al corpo politico dello Stato, con l’aggravante dell’articolo 7, per aver avvantaggiato Cosa nostra. Avrebbe contattato, su incarico di esponenti politici, uomini collegati a Cosa Nostra, “favorendo lo sviluppo della trattativa”, rinunciando all’esercizio “dei poteri repressivi dello Stato”, in cambio della fine delle stragi.
BERNARDO PROVENZANO È il garante dell’inabissamento mafioso, è il capo che ha guidato il nuovo corso di Cosa Nostra, affari miliardari nel silenzio delle armi. Interviene in modo ambiguo nella prima parte della trattativa e ne governa la seconda: risponde anch’egli di associazione mafiosa dell’art. 338 in concorso con Mannino e Dell’Utri. Lo accusano numerosi pentiti e le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, che racconta di averlo incontrato più volte.
ANTONIO SUBRANNI Nel ’92 è il capo dei carabinieri del Ros, con il grado di generale. È indagato per violenza o minaccia al corpo politico dello Stato, con l’aggravante dell’articolo 7, per aver favorito Cosa Nostra. Avrebbe, con abuso dei suoi poteri e violando i doveri inerenti alla pubblica funzione, turbato “l’attività di corpi politici dello stato italiano” ed in particolare del governo della Repubblica.
TOTÒ RIINA Il capo dei capi è il massimo referente mafioso nella prima fase della trattativa. Risponde di associazione mafiosa e dell’art. 338 in concorso con Mannino e Dell’Utri. Lo accusano numerosi pentiti e le dichiarazioni di Massimo Ciancimino. Viene arrestato all’inizio del ’93 ed il suo posto, dopo un breve interregno del cognato, è preso dall’anziano coetaneo, Provenzano.