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 2012  giugno 17 Domenica calendario

VIRTÙ DEL DEBITO

«Fallirono quelli della compagnia de’ Bardi ... ella cagione fu ch’ellino avieno messo, come feciono i Peruzzi, il loro e l’altrui nel re Aduardo d’Inghilterra». Così Giovanni Villani nella Nuova Cronica riferisce il default, nel 1345, del debito sovrano di Edoardo III. Giovanni aveva informazioni dirette: socio dei Peruzzi e dei Bonaccorsi, ne pagò il fallimento con la prigione. Bardi e Peruzzi, «le due colonne della cristianità», non erano vittime innocenti. Consapevoli del rischio, avevano prestato ai re d’Inghilterra al tasso annuo del 40 per cento. Anche il collaterale non era male: miniere d’argento e la riscossione di tasse in Irlanda e di diritti doganali nei porti inglesi. Il fallimento dei banchieri precipitò nella miseria un gran numero di fiorentini ma i Bardi se la cavarono a buon mercato, se si tiene conto di come Filippo IV di Francia aveva sistemato, una quarantina d’anni prima, il proprio debito con il ricchissimo ordine dei Templari: esproprio, torture, esecuzioni.
I grandi debiti generano fortune e sventure enormi, passioni e violenze estreme: quelle di Edoardo III e Filippo IV sono solo due delle moltissime storie che si potrebbero raccontare. Eppure il debito è connaturato alla vita sociale, secondo l’antropologo David Graeber ne costituisce addirittura l’essenza. La filosofia del "debito primordiale", nata forse nella Valle del Gange durante l’età del ferro ma a più riprese rinnovata in varie forme, sostiene che «un uomo, per il solo fatto di nascere, è in debito», non solo con gli dei ma anche con chi ha creato le condizioni materiali e spirituali delle quali gode. Di qui l’obbligo che ciascuno ha di ripagare alla società i benefici ricevuti. In quest’ottica, chiunque abbia messo al mondo dei figli è allo stesso tempo debitore e creditore: si comprende così, secondo Graeber, la ragione che fa del debito il coagulo imprescindibile della vita sociale. Per quanto densi di contraddizioni e fonte di conflitti, i rapporti di debito-credito creano intrecci ai quali nessuno si sottrae.
Anche senza aderire alla filosofia estrema del "debito primordiale", è facile capire quanto le relazioni di debito influiscano sui rapporti sociali. Nell’economia del dono, cara agli antropologi, al dono di maggior valore del superiore rispetto a quello dell’inferiore corrisponde, da parte di quest’ultimo, un impegno di sottomissione, di lealtà. Impegno sul quale si fonda l’ordine sociale. Al debito tra uguali, nella società vetero testamentaria così come in quella islamica, non si applica l’interesse, in nome di una solidarietà, di un’assicurazione sociale, sulla quale tutti possono contare. E, perché non si accumulino posizioni debitorie troppo squilibrate a danno della pace sociale, si proclamano periodici anni giubilari nei quali tutto il debito viene azzerato, per ricominciare daccapo. Con lo sbocciare del grande capitalismo, nell’Europa Occidentale del due-trecento, il debito diviene chiave di volta delle imprese commerciali, delle manifatture e, naturalmente, delle guerre, che si sperano sempre di conquista, come quella dei cent’anni che portò alla rovina i Bardi e i Peruzzi. Sparisce, se non sotto un velo di sottilissima finzione, il credito senza interesse. Ma il debito oneroso crea inquietudine, individuale e sociale. All’inquietudine individuale, al rimorso per gli interessi incassati, si risponde cercando di "restituire" qualcosa alla società: senza questo bisogno di restituzione non avremmo ereditato molti dei capolavori nati nel fiorire culturale che accompagnò quello economico. All’inquietudine sociale prodotta dall’estendersi dell’indebitamento oneroso cercano di dare risposta i francescani con i Monti di Pietà, intesi a combattere l’usura che strangola soprattutto i contadini. Più tardi nasceranno i Monti Frumentari per il prestito in natura del grano da semina.
Dopo la rivoluzione industriale, i debiti privati crescono a dismisura: impianti produttivi giganteschi, ferrovie, canali e istmi da tagliare fanno lievitare il debito. Con lo sviluppo delle Borse, che trattano enormi quantità di "obbligazioni", i "mercati" diventano anonimi. Le crisi finanziarie, antiche quanto il debito, aumentano di frequenza e gravità e coinvolgono l’intera società, avvolta nella ragnatela dei rapporti debito-credito. Accanto ai grandi mercati dei capitali convivono i piccoli usurai delle campagne, le banche dei "gatti selvaggi" nelle praterie dell’ovest, nate e finite nello spazio di un mattino, i fantasiosi imbroglioni che approfittano dell’ingenuità di chi poco capisce, ma anche i negozianti che vendono a credito sino al giorno di paga, i Monti di pietà e poi le casse di risparmio impegnati contro l’usura, la solidarietà della famiglia, della parrocchia, del villaggio. Davvero, e in questo Graeber ha ragione da vendere, il debito definisce una parte importante dei rapporti umani, della storia non solo economica.
Lo Stato democratico trasforma il debito del sovrano in "debito sovrano", dove la sovranità è del popolo. La trasformazione è radicale: sia la scelta di accendere debiti sia quella di ripagarli o meno, con le conseguenze del caso, spettano al popolo sovrano. È ancora la guerra la madre dei grandi debiti. Le riparazioni imposte al vinto riecheggiano l’ idea del debito come "restituzione", ripristino di una condizione "giusta". Ma la giustizia appare diversa ai due lati di uno stesso confine, prepara nuove ingiustizie. La catena del debito è anche questo.
Non va dimenticata un’altra "restituzione": quella con la quale le classi abbienti ripagarono l’impegno del popolo nella Seconda guerra mondiale. Insieme a "lacrime e sangue", fu allora promesso lo stato sociale: un trasferimento di risorse dai più ai meno economicamente favoriti. Un programma enorme che ridisegnava i rapporti sociali come mai era successo prima nella storia dell’umanità. Un programma che si resse sin tanto che fu pagato, anno dopo anno, con la progressività della tassazione ma che mostra la corda da quando, per sostenerlo, si è fatto ricorso al debito. Poiché il debito è pagato in proporzione maggiore da chi ha redditi bassi, la "restituzione" si affievolisce e con essa si affievoliscono i legami di solidarietà sociale che aveva stabilito. Se poi il debito rischia di implodere, i legami sociali possono diventare perversi, ridursi al clan, alla corporazione, alla famiglia.