Maurizio Stefanini, Libero 16/6/2012, 16 giugno 2012
I BABBEI SIAMO NOI: IL GIAPPONE TORNA AL NUCLEARE
Dopo il disastro giapponese di Fukushima, l’Italia ha di nuovo rinunciato al nucleare, legandosi sostanzialmente le mani su possibili ripensamenti con il referendum del giugno 2011. Ma adesso il Giappone ritorna sui suoi passi. Per la seconda volta in una settimana. il primo ministro Yoshiniko Noda lo ha ripetuto: bisogna tornare al nucleare. A rischio, se no, un’ondata di «disoccupazione e fuga di capitali all’estero»; ma prima ancora i ventilatori e l’aria condizionata per l’estate. Nulla di nuovo sotto il sole, in realtà. Già dopo l’incidente di Chernobyl del 1986 l’Italia, già all’avanguardia mondiale del nucleare civile, aveva fatto la sua rinuncia ai reattori. In compenso, Russia e Ucraina ce l’hanno ancora. In Giappone, il Paese che per primo (unico finora) ha visto usare contro di sé il nucleare militare, quello civile, prima dell’incidente di Fukushima dell’11 marzo 2011, forniva almeno un terzo del fabbisogno energetico, contro l’appena 9% delle cosiddette fonti rinnovabili. Ma quattro delle sei turbine che costituivano quell’impianto sono andate distrutte quando lo tsunami ha danneggiato il sistema di raffreddamento, altri impianti sono stati arrestati per precauzione e altri ancora hanno dovuto essere arrestati per operazioni di manutenzione, obbligatori ogni 13 mesi. Finché il 5 maggio, appunto per manutenzione, non è stato spento dalla Hokkaido Electric Power anche il reattore 3 di Tomari, l’ultimo dei 54 reattori nipponici ancora attivo. Così, per la prima volta in quarant’anni, il Giappone è diventato un Paese a energia nucleare zero. Non come l’Italia, che malgrado i referendum continua a fare uso e abuso dell’atomo francese... Proprio perché l’insularità impedisce di queste soluzioni posticce, però, l’aumento dell’import di carburante fossile potrebbe non bastare a compensare il deficit. Costi a parte, potrebbe inoltre saltare quell’obiettivo di riduzione delle immissioni inquinanti del 20% entro il 2020 cui il Giappone si era impegnato a Copenaghen. Lo scorso anno, il taglio del 15% ai consumi deciso dall’esecutivo aveva spinto le fabbriche a restare aperte anche di notte e nei fine settimana per compensare. E sebbene un sondaggio del giornale Asahi riveli che la maggior parte dei cittadini chiede di tenere spenti gli impianti e perfino due pastori protestanti abbiano pubblicato un pamphlet per sostenere addirittura che il nucleare è contrario alle Sacre Scritture, in compenso le industria manifatturiere avvertono che se continuano gli attuali problemi di approvvigionamento energetico potrebbero anche decidere in massa di spostare la produzione all’estero, in Paesi meno schizzinosi. In Asia Orientale, non è che manchino. Adesso, poi, il picco dei consumi estivi, stimato in almeno un10% in più, rischia di dare il colpo di grazia. In realtà, la chiusura dell’ultimo reattore essendo tecnica avrebbe in teoria dovuto essere limitata alla settantina di giorni necessari a completare le operazioni di controllo. Ma era subito sembrata evidente una volontà politica di approfittare della situazione per chiudere lo spinoso dossier alla chetichella. Solo che il crescente deficit energetico non lo consente. «Il Giappone deve far ripartire due reattori per salvaguardare la sussistenza e l’economia del Paese», aveva già detto il premier Yoshiniko Noda venerdì scorso. «Si tratta di una posizione che è nell’interesse della vita delle persone, dopo che sono state messe a punto tutte le misure di sicurezza necessarie per la riattivazione degli impianti 3 e 4 della centrale di Oi». «Un’elettricità economica e sicura è vitale. Se restano spenti tutti i reattori, che prima fornivano il 30% del fabbisogno energetico, la società giapponese non potrà sopravvivere». A questo punto Noda avrebbe deciso di dare il fatidico ordine. È vero che la sua posizione non è condivisa neanche all’in - terno dello stesso Partito Democratico al potere. L‘ex-ministro Satoshi Arai si è messo infatti alla testa di un folto gruppo di parlamentari, per chiedere alle autorità di accertare «con la massima prudenza possibile» lo stato dei reattori prima di procedere alla loro riaccensione. Ma è stato osservato che potrebbe bastare l’autorizzazione del governatore di quella prefettura di Fukui dove si trovano i due impianti per by-passare il problema.