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 2012  giugno 17 Domenica calendario

BABILONIA TRAFORATA DALL’OLEODOTTO

Un oleodotto che attraversa l’antica città di Babilonia. Per impedire l’ennesimo insulto al simbolo del patrimonio archeologico della Mesopotamia, Mariam Omran Musa è ricorsa a ogni mezzo. Ha mosso le sue conoscenze altolocate. Ha bussato alle porte dei potenti nella capitale Baghdad. Insieme al ministero del Turismo, ha perfino intentato un’improbabile causa contro il più potente dei Ministeri: quello del Petrolio. Invano. Gli sforzi della direttrice del sito di Babilonia per conto del Dipartimento iracheno di antichità (Sbah) sono stati inutili.
La battaglia è cominciata in gennaio, quando sulla polverosa collina di fango e sabbia che si affaccia davanti all’antica Babilonia sono arrivati gli ingegneri con i loro rilevatori. Poi è stata la volta degli eleganti uomini del ministero del Petrolio. Infine sono arrivati i bulldozer. Hanno scavato in quei dossi sabbiosi. Che ciascuno vede a modo suo. Per gli "uomini del petrolio" è solo una massa di detriti e polvere. Per gli archeologi dello Sbah un terreno stratificato che potrebbe contenere diversi reperti e mattoni di fango, difficili da individuare. La terra è stata rimossa, il tubo posato e ricoperto. E presto, forse già in giugno, sarà inaugurato l’oleodotto.
Immaginatevi di essere donna in un Paese dove la presenza femminile in posizioni dirigenziali è mal vista dai più conservatori. E di sfidare l’espansione della sola industria a cui si affida il nuovo Iraq. Donna, anche se lei puntualizza: «le donne irachene ricoprono posizioni di rilievo nelle istituzioni». E "contro il progresso" del nuovo Iraq. Mariam è tutto questo. La causa sembra dunque destinata a soccombere. Ma lei è decisa a difendere Babilonia, dove ha iniziato a lavorare 33 anni fa: «Attendiamo il verdetto – spiega al telefono –. Non è difficile accertare dove stia la verità. L’oleodotto attraversa le mura esterne entrando nel cuore di Babilonia da nord a sud per un 1,5 chilometri». Potrebbe dunque scorrere sotto i leggendari Giardini pensili, una delle Sette meraviglie del mondo antico. L’oleodotto, che parte da Bassora, fornirà ogni giorno 45mila barili di prodotti derivati alla capitale, martoriata dai blackout e dalla carenza di carburante. «In campo archeologico – continua Mariam – l’ingresso in un sito di un macchinario pesante è considerata una grave violazione. Figuriamoci quando si scava per dei tubi a una profondità e a una lunghezza di questa estensione. Visto il liquido che trasporta c’è anche il rischio di perdite o di un’esplosione».
La battaglia tra archeologi e ministero del Petrolio riflette un dilemma: cosa viene prima? La tutela del patrimonio archeologico, che tuttavia richiederà del tempo per divenire una fonte di reddito, oppure lo sviluppo, certo più rapido e remunerativo, della ricca industria degli idrocarburi?
Mariam una risposta ce l’ha. «Il petrolio e il patrimonio archeologico sono entrambi la ricchezza del nostro Paese. Ma quando il greggio si esaurirà, avremo ancora i siti archeologici». Anche il ministero del Petrolio ha le idee chiare: «È stato fatto ogni calcolo e non è stato trovato nulla durante i lavori, condotti peraltro con grande cautela. Abbiamo seguito la traccia dei progetti precedenti». Vale a dire i due oleodotti costruiti molto vicino negli anni Ottanta, di cui uno non è più in uso. «Ma se qualcuno in passato ha sbagliato bisogna per forza perseverare?», ribatte Mariam.
Al di là delle schermaglie il destino della città fondata nel 2500 avanti Cristo, conquistata da Ciro II nel 539 avanti Cristo, e ripresa da Alessandro Magno due secoli dopo, è sempre stato avverso. Anche nei tempi moderni. Saddam ci aveva già messo del suo con i restauri "correttivi", inserendo mattoncini con il suo logo, a imitazione degli antichi sovrani. D’altronde lui proclamava di essere "il discendente del Re Nabucodonosor". E così fece ricostruire la cinta di mura interne, ristrutturando integralmente il teatro greco e restaurando la fase più antica della Porta di Ishtar, di cui si conserva la fase finale a Berlino. Un restauro "creativo" che, come ci spiega Alessandra Peruzzetto, archeologa del World Monuments Fund (Wmf), rende difficile individuare le parti originali e che a suo tempo aveva contribuito a motivare il rifiuto dell’Unesco a inserire il sito tra il patrimonio dell’umanità.
"Babilonia, Autopsia di un disastro": il titolo del primo capitolo che l’archeologo Paolo Brusasco, docente di Archeologia e storia dell’arte del vicino Oriente antico all’Università di Genova, affronta nel suo libro Babilonia. All’origine del mito, descrive in modo efficace il degrado in cui versa la città. «Oltre all’urto del tempo, all’incuria, ai restauri poco ortodossi di Saddam Hussein e ai saccheggi, si sono aggiunti i danni compiuti dalle truppe americane e polacche che nel 2003 eressero a Babilonia la base Camp Alpha». In un rapporto diffuso nel 2009, l’Unesco denunciò i gravi danni commessi dai militari. «Nel cuore della città interna – precisa Brusasco, che a Babilonia ha lavorato diversi anni – dove si trovano i resti più monumentali (tra cui il palazzo di Nabucodonosor II e la Porta di Ishtar) – si è spianato con bulldozer e ricoperto con ghiaia. Le vibrazioni causate dal vicino eliporto hanno compromesso la tenuta dei fragili resti in mattoni della Porta di Ishtar e del Palazzo Reale Sud, già danneggiati dall’innalzarsi delle acque sotterranee. Le barriere protettive, riempite con terreno archeologico di Babilonia e di altri siti vicini, hanno contaminato per sempre l’integrità dell’area». «E oggi - continua - c’è una nuova minaccia: il rilancio di un turismo indiscriminato (il sito è riaperto dal 2009) da parte del Governo a maggioranza sciita e del suo ministero del Turismo, che vede nelle rovine un’occasione per aumentare gli introiti e che sta soppiantando lo Sbah, di matrice sunnita. Dentro il perimetro della zona archeologica sono state costruite aree da picnic e centri residenziali per gli impiegati della municipalità. Il turismo è una risorsa, ma i flussi devono essere regolati. Quanto all’oleodotto nessuno è in grado di sapere se ci sono stati danni, ma è molto probabile. Il sito di Babilonia è in gran parte inesplorato, soprattutto la facies più antica, quella paleobabilonese dell’età di Hammurabi (1792-1750 avanti Cristo), sepolta nella falda freatica. È questa fase che l’oleodotto potrebbe avere irrimediabilmente compromesso».
Inesplorato. Come lo è, in parte, tutto il Paese. I siti archeologici classificati sono più di 12mila, ma negli ultimi anni gli iracheni stanno verificando la presenza di moltissimi nuovi siti. «È plausibile – conclude Brusasco – che possano essere decine di migliaia. Tutti vulnerabili. I team di archeologi stranieri si contano sulla punta delle dita e il problema dei saccheggi è all’ordine del giorno». «Abbiamo bisogno di 17mila guardie a protezione dei siti e altri 750 archeologi», spiega Qais Hussein Rasheed, capo dello Sbah.
L’oro nero sta avendo la meglio sui fragili mattoni in crudo. Per troppo tempo l’Iraq è rimasto l’eterna promessa mancata. Possiede 143 miliardi di barili di riserve accertate, le terze al mondo. Ma nel suo sottosuolo ci sarebbero altri 100 miliardi di barili. Per un Paese che non è riuscito a curare la sua "petrodipendenza", la ricchezza dipende da quanto greggio uscirà dai rubinetti (il petrolio copre il 90% in valore dell’export). La produzione è tornata a 3 milioni di barili al giorno (mbg), il massimo da 22 anni. Ma le ambizioni sono ben altre: 5, anche 6 mbg nei prossimi anni.
«L’oleodotto minaccia l’integrità di Babilonia, condizione fondamentale perché sia inserita nella lista dell’Unesco (a oggi ci sono solo Hatra, Samarra e Ashur) – precisa Peruzzetto –. Come Wmf, in collaborazione con lo Sbah, siamo impegnati in un progetto mirato alla preparazione del piano di gestione e conservazione del sito. Un progetto che agevolerebbe il raggiungimento di questo importante obiettivo». In passato lo Sbah ci aveva provato due volte senza successo.
L’oleodotto è solo l’ultima delle ferite inferte al patrimonio culturale della Terra tra i due fiumi. Un Eldorado dell’archeologia, eppure, per motivi di sicurezza, una delle regioni più disertate dagli archeologi di tutto il mondo.