Paolo Migliavacca, Il Sole 24 Ore 18/6/2012, 18 giugno 2012
UNA CORSA A TUTTO GAS TRA LE ROCCE - È
iniziata una nuova "età dell’oro" mondiale per il gas? La conferma più convincente viene dal boom statunitense (con incrementi medi del 45% l’anno tra il 2005 e il 2010) nell’estrazione di gas cosiddetti "non convenzionali" (soprattutto lo shale gas, ma anche il tight gas e il coalbed methane), sempre più competitivi come costi di produzione rispetto al gas convenzionale, così da consentire di raggiungere in un decennio il 25% della produzione totale Usa. Ma il fenomeno è destinato a estendersi a livello globale. Tanto che l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) il 29 maggio scorso ha pubblicato un ponderoso studio ("Golden rules for a golden age of gas") che analizza il probabile, rapido "contagio" di questa febbre in molti altri Paesi dotati di grandi riserve e il "prezzo" ambientale da pagare.
Le stime Iea parlano di un balzo di oltre il 55% della domanda mondiale di gas tra il 2010 e il 2035, che sarà soddisfatto per due terzi da questi tipi di gas, la cui quota balzerà dall’attuale 14% al 32% dei consumi totali. E con investimenti complessivi, in questo quarto di secolo, stimati in ben 2.750 miliardi di dollari (il 40% del totale del comparto, valutato in 6.900 miliardi), dovuti anche all’altissimo numero di pozzi (addirittura un milione, tra esplorativi e produttivi) che occorrerà scavare.
Il sogno di questo Eldorado si fonda su due formidabili fattori favorevoli. Da un lato, sulle enormi quantità di gas disponibili. Secondo i dati dell’americana Energy information administration (Eia), si tratta di 456mila miliardi di metri cubi di riserve accertate per il solo shale gas, il 40% circa dei quali economicamente estraibili, pari a 187mila miliardi (218mila secondo i dati Iea), un ammontare equivalente a quello delle risorse convenzionali accertate in base al BP Statistical Review of World Energy 2011, cui vanno aggiunti 47mila miliardi di metri cubi effettivi ottenibili dal coalbed methane e 76mila dal tight gas. Dall’altro lato, prezzi del gas sempre più concorrenziali. Il continuo miglioramento delle tecniche estrattive, basate soprattutto sul "fracking" (la rottura delle rocce che imprigionano i gas mediante acqua "sparata" ad altissima pressione), ha permesso di abbattere i costi di produzione. L’Europa e molti Paesi asiatici ora pagano, in media, da quattro a sei volte di più i loro approvvigionamenti di gas rispetto agli Stati Uniti.
Chi vincerà la corsa per il controllo di queste enormi risorse? Oltre agli Usa - all’avanguardia anche perché dispongono di risorse per 24.500 miliardi di metri cubi - sono molti i Paesi pronti a disputarsi questi gas non convenzionali. Al primo posto assoluto, la Cina, con oltre 36mila miliardi di metri cubi di riserve, e, dopo gli Usa, seguono Argentina (22mila), Messico (19.300), Sudafrica (13.700), Australia (11.200) e Canada (11mila).
Una massa di risorse che fa gola ormai ovunque. La rinazionalizzazione di Ypf, la grande azienda energetica argentina controllata fino al 5 maggio scorso dalla spagnola Repsol, ufficialmente giustificata con la mancanza d’investimenti adeguati, può infatti essere interpretata come la volontà di rimettere le mani sul formidabile tesoro di shale gas contenuto nella Patagonia. Il nuovo amministratore delegato di Ypf, Miguel Galluccio, ha subito annunciato l’avvio di massicce perforazioni: secondo Repsol, serviranno 25 miliardi di dollari l’anno per lo sfruttamento adeguato di tali risorse.
Due tra i più forti consumatori di gas attuali (Usa, con 683 miliardi di metri cubi nel 2010) e futuri (Cina, con 390 miliardi nel 2030) sono anche i maggiori detentori di riserve non convenzionali. E anche quelle di Messico, Canada e Argentina, quando saranno sviluppate, verranno facilmente consumate in loco o in regioni limitrofe. Gli scambi su lunghe distanze saranno quindi ridotti, limitando la necessità di pipeline, metaniere, gassificatori e rigassificatori, con l’effetto di limitare a fondo il mercato, ma di contenere nel contempo i costi.
La vera preoccupazione dell’Iea sono però i possibili effetti all’eco-sistema che le tecniche estrattive possono produrre. Lo studio sottolinea la necessità d’informare sempre e comunque chi vive nei territori coinvolti nelle attività estrattive, di controllare costantemente l’enorme volume di acque utilizzate secondo indicatori concordati, di minimizzare la quantità di terreno sottratta agli usi civili e di monitorare con attenzione gli effetti del "fracking" su eventuali faglie sismiche. In sintesi, la Iea propone di creare una "licenza sociale" per operare in modo corretto nel settore, che dovrebbe creare un aggravio di costi del 7% appena rispetto alle attività finora condotte negli Usa. Un prezzo certamente sopportabile.