Danilo Taino, Corriere dell Sera 18/6/2012, 18 giugno 2012
Non è cosa da poco, oggi, scoprire che in fondo la Grecia potrebbe essere un Paese governabile. Tutto da verificare, ma forse l’Europa non ha perso Atene
Non è cosa da poco, oggi, scoprire che in fondo la Grecia potrebbe essere un Paese governabile. Tutto da verificare, ma forse l’Europa non ha perso Atene. Almeno non ancora: da ieri sappiamo che la lunga strada verso la soluzione della crisi non è chiusa. Le elezioni potrebbero non esser l’evento devastante di cui si è parlato in continuazione nelle settimane scorse. Formare un governo non sarà facile: Antonis Samaras, il leader del partito Nuova Democrazia che ieri ha vinto, non ha una storia di impeccabile coerenza in fatto di rispetto degli impegni europei; la sinistra di Syriza, che probabilmente resterà all’opposizione, non potrà essere messa in un angolo; e un’alleanza tra i rivali di Nuova Democrazia e del socialista Pasok sarà un affare non da poco. Ciò nonostante, nei prossimi giorni l’Europa non potrà non credere nella possibilità di tenere la Grecia sulla scialuppa di salvataggio. E non solo perché, in fondo, questo sarebbe il modo più sensato di evitare il famoso contagio che potrebbe allargarsi dall’Egeo alle coste occidentali del Mediterraneo. Ma anche perché perdere un Paese, per la Ue sarebbe un dramma politico capace di mettere in crisi alle radici buona parte del progetto europeo. Nessuno ne uscirebbe indenne, per motivi economici ma soprattutto perché la sconfitta con molta probabilità provocherebbe anche un altro tipo di contagio, fatto di recriminazioni, litigi tra capitali, accuse che arriverebbero nel cuore stesso della Ue, forse persino nell’asse storico tra Berlino e Parigi. Pe questa ragione, di fronte a un governo greco che si impegna a restare sulla strada pro-euro, i governi della Ue dovranno dare un contributo, in termini di allungamento dei tempi di aggiustamento della finanza pubblica di Atene e di piani facilitati per lanciare progetti di opere pubbliche finanziati dall’Europa. La crisi in Grecia è più che mai feroce. Ma se nei prossimi giorni si formerà un governo accettabile l’Europa avrà allontanato ancora per un po’ il pericolo degli eventi incontrollabili. *** I problemi che la Grecia ha di fronte restano giganteschi. Se Nuova Democrazia riuscirà a formarlo, un nuovo governo nel breve periodo dovrà garantire a Europa e Fondo monetario di fare tagli alla spesa pubblica per altri 11,5 miliardi in due anni (ma forse i tempi verranno allungati), per garantirsi le rate periodiche che Ue e Fmi le versano (senza questi già in luglio non potrebbe pagare stipendi degli statali e pensioni). L’eventuale nuovo governo dovrà poi cercare di dare un minimo di fiducia ai cittadini per fermare l’emorragia di denaro dal Paese e i prelievi continui dagli istituti di credito. Poi, dovrà mettere mano alla ristrutturazione del sistema bancario. E quindi le riforme: per riuscire a raccogliere le imposte; per introdurre un po’ di equità al fisco che per decenni ha risparmiato i super-ricchi; per frenare la corruzione insostenibile che allontana ogni investitore serio; e per rompere il sistema burocratico-clientelare. Qui sta la sfida straordinaria che la Grecia deve vincere, se non vuole finire in una balcanizzazione rovinosa: rifare il Paese, ricostruire i rapporti di potere corrotti, ridisegnare il sistema di governance e mettersi sun una strada di finanza pubblica controllata. L’Europa aiuterà, con scadenze più lunghe per il ripagamento del debito e con il finanziamento di opere pubbliche. Ma la prova è sulle spalle dei greci. *** L’Italia verrà apprezzata al summit che si apre oggi in Messico: è tra i Paesi che meglio seguono le indicazioni del G-20 in fatto di riforme e controllo della finanza pubblica. Convincere i mercati che Roma è sulla strada giusta è diventata una priorità per i leader di tutto il mondo: tra quelli che si usava chiamare Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna) la Penisola è l’unico a non essere ricorso a interventi di salvataggio e di controllo da parte di Commissione Ue, Fondo monetario internazionale e Banca centrale europea, la cosiddetta troika (Madrid ci ha appena fatto ricorso per ricapitalizzare le banche, non il debito sovrano). È fondamentale che così resti: le risorse per intervenire in Italia se il Paese dovesse non riuscire più a finanziarsi a un costo accettabile sui mercati sarebbero enormi, circa 600 miliardi nei prossimi tre anni. Se in questi giorni Atene riuscirà dunque a formare un nuovo governo e a non creare nuovi allarmi sui mercati, l’opera di consolidamento delle finanze pubbliche e di riconquista della fiducia dei mercati condotta dal governo Monti potrebbe riprendere. In questa prima parte di 2012, l’Italia è stata uno dei pochi motivi di ottimismo (cauto) sulla scena internazionale, soprattutto grazie alla riforma delle pensioni e al controllo dei conti pubblici. Quello che chiedono l’Europa e il resto del mondo, ora che da Atene potrebbe arrivare un altro piccolo raggio di luce, è di andare avanti su quella strada. *** L’euro per ora resta la valuta dell’Europa. Ma rimane l’incertezza sul futuro, breve e lontano. Nonostante i volumi di analisi che nelle settimane scorse hanno legato le elezioni greche di ieri alla possibile uscita di Atene dall’Eurozona e a un contagio devastante anche in altri Paesi, i numeri dicono che un governo ad Atene si può fare. Non c’è però certezza e, soprattutto, la sinistra di Syriza si è molto rafforzata e del suo ruolo non si potrà non tenere conto. Dal punto di vista dell’euro, questo significa altra incertezza sulle strategie anti-crisi. Ieri, alla vigilia del G-20 che si apre oggi in Messico, i leader di tutto il mondo e i ministri delle finanze sono stati in allerta, si sono parlati, pronti a mandare messaggi per frenare nervosismi e cercare di garantire che i grandi del mondo sono pronti a fare qualcosa. A questo punto, probabilmente le capitali europee cercheranno di favorire la formazione di un governo ad Atene, attraverso un alleggerimento delle condizioni a cui la Grecia si è sottoposta quando ha ricevuto gli aiuti. Soprattutto, andrà avanti la preparazione delle proposte per avviare una strada verso una unione bancaria e una unione di bilancio. Nell’immediato, però, l’attenzione si sposterà sui rapporti tra Berlino e Parigi, nei giorni scorsi piuttosto tesi a causa delle divergenze tra Angela Merkel e François Hollande sulle strategie da seguire. Un contrasto serio sull’asse franco-tedesco potrebbe avere esiti più devastanti della crisi greca. *** Niente di nuovo sotto le nubi dei mercati: incertezza e volatilità rimarranno la caratteristica anche nei prossimi giorni. Le trattative che si aprono oggi ad Atene per la formazione del nuovo governo si divideranno le attenzioni degli investitori con quelle in arrivo dal G-20 di Los Cabos. Mentre dalla località messicana non ci si aspettano iniziative eclatanti, però, la capitale greca potrà riservare sorprese, decenti oppure pessime. Una ulteriore fase di instabilità politica terrebbe alta l’attenzione sul destino dell’intera Eurozona, a conferma dei dubbio ormai piuttosto radicato nei mercati sulla capacità dei governi del Vecchio Continente di dar risposte esaustive alla crisi. Come aveva fatto capire la settimana scorsa Mario Draghi, la Banca centrale europea già da ieri sera era mobilitata per seguire l’andamento dei titoli dello Stato e delle banche, pronta a intervenire. Dal momento che la Grecia è tagliata fuori dal mercato dei finanziamenti, il rischio più alto è che il nervosismo degli investitori si concentri su quei titoli che potrebbero soffrire di un contagio se le cose politiche si mettessero male ad Atene: in altre parole i titoli pubblici e quelli bancari di Spagna e Italia. Anche i Bund tedeschi potrebbero in una certa misura soffrire dalla situazione che si è creata ieri se l’alleggerimento delle condizioni imposte alla Grecia, fatto intendere ieri dal ministro degli Esteri Guido Westerwelle, fosse letto come un indebolimento della linea di rigore tedesca. *** La Grecia avrebbe potuto gettare nel caos la Spagna ma difficilmente avrebbe mai potuto aiutarla. I problemi di Madrid, infatti, sono stati inquadrati dagli investitori per quello che sono, in una certa misura indipendenti dai maggiori sviluppi europei. L’intervento di cento miliardi messo a disposizione dall’Europa per le banche spagnole ha creato sui mercati più paura che conforto. Il fatto che il nuovo prestito sia quasi certamente privilegiato nei confronti dei titoli già emessi e detenuti dagli investitori privati fa temere che, in caso di default, il ripagamento dei creditori pubblici europei andrebbe a decurtare quanto i privati potrebbero ricevere. Non solo. Se i tassi d’interesse sui Bonos spagnoli continueranno a salire, il Paese rischia di tagliarsi fuori dalla possibilità di raccogliere denaro sui mercati e dovrebbe raggiungere Grecia, Irlanda e Portogallo nella lista umiliante di chi deve ricorrere agli aiuti ufficiali europei e sottoporsi al controllo e alle regole degli «uomini in nero» della troika, cioè di Commissione Ue, Fmi e Bce (per ora Madrid è ricorsa agli aiuti solo per il sistema bancario). Dopo il prestito pro-banche di cento miliardi, il debito pubblico spagnolo salirà all’80% del Pil e si prevede che nel giro di un paio d’anni arrivi al 100%: soprattutto ci sono dubbi sulla capacità del governo di Mariano Rajoy di mettere sotto controllo gli elevati deficit delle regioni.