Frediano Sessi, la Lettura (Corriere della Sera) 17/06/2012, 17 giugno 2012
ITALIANI, BALTICI E SLAVI IN DIVISA DA SS: LE RECLUTE DELL’’«INTERNAZIONALE ARIANA»
Lo sterminio degli ebrei d’Europa fu veramente una conseguenza di quello che lo storico statunitense Daniel Goldhagen definì «l’antisemitismo eliminazionista» dei tedeschi? Già al tempo della pubblicazione del suo libro (I volenterosi carnefici di Hitler, Mondadori), molti storici, tra i quali Raul Hilberg, sottolinearono il fatto, dimostrato da documentazioni inoppugnabili, che allo sterminio degli ebrei e ai massacri razziali di molta parte della popolazione d’Europa contribuirono attivamente anche decine di migliaia di «carnefici» non tedeschi.
Ciò avvenne in particolare a partire dal giugno del 1941, data dell’invasione dell’Unione Sovietica da parte delle armate hitleriane e dell’inizio delle uccisioni di massa all’aperto, compiute dalle «Unità mobili di massacro» (Einsatzgruppen) naziste, cui si deve l’eliminazione mediante fucilazione di oltre un milione e 500 mila civili, in prevalenza ebrei. In quella fase centinaia di migliaia di giovani non tedeschi (lettoni, estoni, ucraini, uniti ad altri provenienti da Olanda, Francia, Belgio, Italia, Croazia, Ungheria ecc.) si arruolarono nelle forze armate tedesche, e in particolare nelle Waffen SS, per collaborare al disegno nazista di «riscrivere» la carta demografica d’Europa, eliminando dalla faccia della terra tutte le razze inferiori (le cosiddette «schegge di popoli», secondo una definizione di Heinrich Himmler) e dare il definitivo predominio agli «ariani».
Christopher Hale, con il nuovo saggio I carnefici stranieri di Hitler (Garzanti), utilizzando fonti e studi in gran parte già noti, ma dispersi in pubblicazioni dedicate a singoli aspetti regionalistici del problema, ci consegna una sintesi storica del fenomeno, che accende una luce inquietante su quella parte d’Europa complice delle SS nelle procedure di sterminio degli ebrei e nell’accanimento contro partigiani, prigionieri di guerra e popolazioni civili. La sua ipotesi di lavoro, molto suggestiva, si sofferma ad analizzare lo scontro sotterraneo tra la visione della guerra di annientamento e conquista di Hitler e i progetti di Himmler, capo supremo delle SS. Secondo Hale, Himmler osservò e promosse con grande interesse i movimenti nazionalisti dei Paesi conquistati; a partire dal 1941, immaginò «una futura Europa delle SS che avrebbe fatto a meno del Partito nazionalsocialista e del suo leader Adolf Hitler, e sarebbe stata suddivisa in tante province governate dalle SS». Per eliminare gli ebrei, liquidare gli indesiderabili e gli oppositori, «germanizzare» ogni angolo d’Europa, arrivare con il tempo a estendere il predominio del Reich sul mondo intero, occorreva, secondo Himmler, reclutare gruppi etnici non tedeschi e, attraverso di loro, anche mediante un percorso di formazione militare e fidelizzazione alla causa, riprodurre «sangue germanico». Questa forma di nuovo reclutamento poteva essere realizzata solo dalle sue SS.
L’attuazione del piano ebbe inizio, dapprima, con i popoli nordici della Scandinavia e dell’Olanda, per estendersi in seguito ad altre etnie, anche in ragione dell’avanzamento delle conquiste nell’ambito della «scienza razziale» nazista. Fu così la volta degli estoni, dei lettoni e dei lituani. Un arruolamento nei battaglioni di polizia delle SS e nelle divisioni militari delle Waffen SS, secondo i tecnocrati della razza, avrebbe accelerato il processo, portando in breve tempo una parte di popoli non tedeschi a essere al livello dell’uomo ariano germanico.
Gli italiani coinvolti, per la maggior parte volontari, furono non meno di diecimila e il loro reclutamento, affidato al Generalmajor delle Waffen SS Peter Hansen (che diresse il centro di addestramento per italiani a Münsingen), ebbe inizio già dall’ottobre del 1943 (a solo un mese dall’occupazione dell’Italia). Non tutti i volontari italiani passarono per il centro di addestramento di Münsingen, o furono impiegati con compiti di polizia (rastrellamenti, fucilazioni, rappresaglie, arresti di ebrei e partigiani); una parte fu inviata sul fronte orientale, già in via di disgregazione. Almeno duemila finirono a difendere Budapest, a fianco delle croci frecciate (i fascisti ungheresi), di fronte alle armate sovietiche che avanzavano verso ovest. Per molti di loro, scrive Hale, «entrare nelle SS tedesche era la reazione a un’umiliazione nazionale, e una scelta conseguente a dei valori ideologici condivisi».
Il saggio, che contiene una sintetica ricostruzione del contesto storico e di tutti i fronti di guerra che videro impegnate queste SS non tedesche, rappresenta oggi un ulteriore strumento per comprendere come lo sterminio più efferato del nostro Novecento sia stato possibile, in realtà, perché tanti europei collaborarono con i criminali nazisti.
Frediano Sessi