Chiara Lalli, la Lettura (Corriere della Sera) 17/06/2012, 17 giugno 2012
QUESTO BENE NON E’ IN VENDITA
«Pensi davvero che sarò dannato?», domanda Faust. «Per forza, se questo è l’atto con cui hai venduto l’anima», lo rassicura Mefistofele nella versione di Christopher Marlowe. Sebbene sia più un baratto che una vendita, la decisione di Faust è uno degli esempi più noti di un contratto moralmente controverso, se non addirittura ripugnante: come è possibile cedere qualcosa di così prezioso e inalienabile?
Gli esempi recenti non mancano e chi non crede che l’anima esista può scegliere altri beni da vendere. Come ha fatto Rosie Reid, studentessa di Scienze politiche dell’ateneo di Bristol, che qualche anno fa ha messo in vendita la sua verginità per pagare le tasse universitarie. Su eBay, oltre a qualche imitatrice di Rosie, sono comparsi anche annunci di vendita per il proprio nome, la propria moglie, la propria stessa vita.
Nel 2005 Kari Smith si fa tatuare in fronte il sito di un casinò online: i 10 mila dollari di compenso servono per iscrivere il figlio a una scuola privata. Proprio come Enrico e Laura, protagonisti di In fronte scritto di Primo Levi. «Un lavoro facile e ben retribuito» e in fondo «lei ci vende o ci affitta la sua fronte, e non la sua anima», sottolinea il funzionario premuroso. Interessante che in quel racconto distopico e anticipatorio fosse descritta anche una ferrea regola di mercato: all’aumentare delle persone disponibili a farsi tatuare in fronte un messaggio pubblicitario corrisponde la polverizzazione del compenso.
Michael Sandel, filosofo di Harvard, parte da alcuni casi controversi di vendita nel suo ultimo libro, What Money Can’t Buy («Ciò che il denaro non può comprare», Allen Lane), per addentrarsi nelle pieghe delle società democratiche, sempre più connotate da regole di mercato. E per indagare che cosa sta cambiando in un mondo in cui il valore morale sembra essere identificato e rimpiazzato dal valore economico attributo a una prestazione. Ci disturba che una scuola paghi i bambini per far leggere loro un libro? O che una persona con una dipendenza prenda soldi per essere sterilizzata?
È difficile stabilire dove tracciare i confini al mercato e quei confini sono cangianti e labili. L’iniziale feroce condanna verso le assicurazioni sulla vita, per esempio, è stata stemperata dall’abitudine. La nuda proprietà è un modo per vendere un immobile, non ci giriamo nemmeno più a guardare gli uomini sandwich ben compressi tra due cartelloni pubblicitari e ci appare invece bizzarro il rituale del pianto funebre e del dolore a pagamento.
D’altra parte in Italia è stato abolito l’istituto della dote e condannata, almeno giuridicamente, l’idea che la donna fosse analoga a una madia o a un set di lenzuola, che il marito acquistava dalla famiglia d’origine.
Il tempo e le tradizioni non sono però giudici morali affidabili. Ci raccontano che cosa è cambiato o com’era prima, ma non perché una scelta è moralmente ammissibile o riprovevole. C’è qualcosa che i soldi non dovrebbero poter comprare? C’è un dominio morale nel quale il mercato non dovrebbe entrare? Nel rispondere non ci dovremmo limitare a stilare un’eventuale lista di beni considerati indisponibili, ma chiederci quale sia il volto di una società in cui la domanda principale diventa: «Posso permettermelo?».
Uno degli alleati per tracciare linee di confine è la riflessione sulla gerarchia dei nostri diritti. La disparità di condizioni e l’ineguaglianza economica sono forse ineliminabili, e sappiamo quanto il mondo dei ricchi sia diverso da quello dei poveri e quanto questa voragine rischi di diventare sempre più profonda. Altrettanto ineliminabile è la domanda sul come dovrebbe comportarsi una società: ovvero se e con quali mezzi dovrebbe contrastare quella disparità e non limitarsi a rendere i soldi l’unico mezzo per accedere ai beni primari, accettando che le regole di mercato scalzino quelle morali. Non tutte le disuguaglianze sono discriminazioni in senso forte: non diremmo che è ingiusto non potersi permettere un elicottero o una esplorazione spaziale. Lo diremmo — lo dovremmo dire — su beni primari come la salute e l’educazione.
Le difficoltà del welfare sono però davanti ai nostri occhi, non solo a causa della crisi economica, ma anche a causa della difficoltà di stabilire una convincente classificazione di beni e valori. Esistono poi differenze tra sistemi politici e morali, anche molto rilevanti. Nel nostro Paese non si possono vendere i diritti civili o parti del proprio corpo come organi, sangue, cellule. La ragione del divieto sta nel considerarli beni primari inalienabili, che dovrebbero essere fuori dalle regole del mercato.
C’è un’ulteriore difficoltà: giustificare questo divieto e la conseguente limitazione della libertà di disporre del proprio corpo e delle proprie convinzioni. Ovviamente la valutazione della libertà non può prescindere dal contesto e non è affatto semplice capire se si è davvero liberi di fare una scelta: nel compiere la stessa azione — vendere un rene — si può essere più o meno costretti. C’è una bussola semantica che possiamo usare: anche la libertà ha a che fare con i confini, e dunque paradossalmente non limitarla potrebbe essere la sua negazione, la sua trasfigurazione in nome di un mercato sregolato e illimitato. In fondo il mercato se la vede con l’antitrust. Abbiamo bisogno di tracciare confini e gerarchie, anche se è difficile e se possono cambiare a seconda dell’influsso di molteplici circostanze. Secondo Sandel non è certo il caso di demonizzare il mercato, né è semplice indicare la strada per invertire la rotta. Ma è sensato fare attenzione al dilagare degli imperativi economici perché l’effetto è una graduale riscrittura delle regole stesse del welfare, riscrittura che può diventare feroce. Come nel caso del piccolo imprenditore interpretato da Alberto Sordi nel film Il boom. Nell’Italia degli anni Sessanta, pieno di debiti e abituato a una vita di agi, Sordi non trova altro rimedio alla sua sfortuna che vendere un occhio a un ricco costruttore. Con quei soldi riconquista la moglie, il figlio e i colleghi che lo avevano abbandonato.
Chiara Lalli