Paolo Mereghetti, la Lettura (Corriere della Sera) 17/06/2012, 17 giugno 2012
CINEFILI SPEGNETE YOUTUBE
Nei sogni (ri)cominciano le responsabilità? Il racconto di Delmore Schwartz, cavallo di battaglia di tutta una generazione di cinefili appassionati che trovavano nelle pagine folgoranti di quel testo la messa in opera del loro amore con il cinema (e non solo), sembra tornato d’attualità: la cinefilia è nuovamente un fenomeno diffuso (dopo l’eclisse dei Novanta e dei primi anni del Duemila), i festival che si occupano del patrimonio cinematografico hanno finalmente il riconoscimento che si meritano (a Lione, a Pordenone — secondo Marco Müller «la più importante manifestazione italiana di cinema dopo Venezia» — a Bologna, a La Rochelle), mentre le riedizioni dei classici del passato conquistano pubblico e incassi anche nelle sale commerciali: Il conformista di Bertolucci in Italia, La grande illusione in Francia e negli Stati Uniti, aspettando il ritorno di C’era una volta in America, accolto trionfalmente all’ultimo festival di Cannes nella sua versione «d’autore» (con 24 minuti in più) e a breve messo a disposizione del pubblico.
È una sensibilità, quella cinefila, che si sta diffondendo a macchia d’olio, in modi insolitamente rapidi, favorita dalla facilità d’accesso alle nuove tecnologie (il proliferare di blog e piattaforme online dedicate al cinema ha sorpreso molti), dal moltiplicarsi delle etichette di dvd e blu-ray specializzate in pellicole del passato e da un certo trionfalismo digitale, lo stesso che vede la rete esaltata da molti come baluardo di democrazia e partecipazione. E che sta innescando una serie di pubblicazioni, manifestazioni e iniziative varie, a cominciare, la prossima settimana, da una serie di incontri all’interno del festival «Il cinema ritrovato» di Bologna (www.cinetecadibologna/ilcinemaritrovato2012.it) dove i protagonisti di questa «rinascita cinefila», da Jonathan Rosenbaum a David Bordwell, da Ian Christie a Col Needham (fondatore di IMDb, grande banca dati online di film) si confronteranno col pubblico guidati da Roy Menarini, professore al Dams di Bologna e gran sostenitore delle magnifiche sorti e progressive del connubio web-cinefilia.
Cinefilia orizzontale di YouTube
Mai smorzare l’entusiasmo, soprattutto dopo anni di deprimente grigiore e con le tentazioni del neo-populismo in agguato (affrontato dalla «Lettura» del 29 marzo scorso, con l’analisi del Nuovo cinema populista). Però qualche riflessione in più su questa «rinascita» merita di essere fatta, soprattutto per non rischiare nuove (e allora sì, più deludenti) partenze false. Magari cominciando proprio dalla «cinefilia orizzontale all’epoca di YouTube» che sembra diventata la nuova parola d’ordine nelle nostre università, dove gli studenti riempiono i loro buchi di conoscenza cliccando nel mare magnum delle immagini in rete.
C’è tutto su YouTube, si sente dire spesso, e forse è vero ma nessuno sembra preoccuparsi di come è quel benedetto «tutto»: a bocconi, a francobolli, a mosaico, secondo la logica (mortifera) del pezzo d’antologia, della battuta da ricordare, della classifica. Che fine ha fatto l’atto della visione, quel processo totale e totalizzante che mette lo spettatore di fronte all’interezza di un’opera, al suo ritmo, al suo andamento altalenante, a volte lento a volte concitato a volte rilassante e altre ancora adrenalinico? Anche in Pulp Fiction ci sono i tempi morti, i momenti di raccordo, le «deviazioni» dalla retta via narrativa, ma su YouTube (e nel vissuto di questi web-cinefili) spariscono. Come se uno della Cappella Sistina guardasse solo la mano di Dio che crea Adamo o pensasse di conoscere la Divina Commedia perché sa a memoria l’episodio del Conte Ugolino. Come se — e questa potrebbe essere la considerazione che fa più paura — la logica parcellizzata della televisione, con i suoi arresti pubblicitari e i suoi momenti di stanca, avesse vinto su tutto. Imponendo nuovi modi di visione ma anche un nuovo modo di guardare e di pensare alle immagini. Un modo migliore? Lasciatemi qualche dubbio.
Una vera rivoluzione globale
I confronti col passato sono sempre pericolosi ma «quella» cinefilia, quella che aveva contagiato mezz’Europa e forse mezzo mondo a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, era prima di tutto un nuovo modo di guardare i film. L’amore — la filìa — nasceva come conseguenza di un modo di porsi nei confronti del cinema (e non solo dei film). Era una specie di rivoluzione globale, che buttava a mare vecchi diktat critici (troppo «ideologici» per accendere una qualsivoglia passione), vecchie gerarchie (i luoghi deputati di questa passione non erano per forza i più rispettabili) e vecchie consuetudini (anche «logistiche»: tutti nelle prime file, per entrare nello schermo). Certo, c’erano spesso pignolerie risibili e curiosi snobismi (si dice che Rivette uscisse dalla Cinémathèque se trovava la «sua» poltrona occupata da un altro spettatore) ma c’era anche un’idea di cinema e una visione del mondo che prendevano forma film dopo film, che accompagnavano la crescita dello spettatore e incendiavano le sue discussioni. Non era un amore indifferente o conciliante: il cinema e il mondo si dividevano in «amici» e «nemici», ogni giorno si popolavano con nomi nuovi personalissimi inferni e paradisi (il purgatorio non esisteva: le passioni erano assolute!), ci si accapigliava per far andare di pari passo cinema e morale (ricordate l’«abiezione» di Kapò?), passione e politica, estetica e critica, vita e sogni.
Le ritroviamo oggi queste caratteristiche nella cinefilia del web? Rarissimamente e quasi esclusivamente nei siti di «vecchi» critici che non hanno dimenticato le battaglie del passato (www.jonathanrosembaum.com, www.davidbordwell.net, blog.slate.fr/projection-public, www.tavernier.blog.sacd.fr). Nei giovani rischia di prevalere un enciclopedismo di grana abbastanza grossa oppure una iper-specializzazione che rischia di trasformarsi in incomunicabilità. Ognuno coltiva un privato orticello, preoccupato più di approfondire verticalmente le proprie competenze (o la propria mono-maniacalità) piuttosto che di allargarsi orizzontalmente al confronto con gli altri. La relativa diffusione del patrimonio cinematografico in Rete permette iper-specializzazioni appena un po’ meno goliardiche di quelle operate in Italia dai fautori del trash negli anni Ottanta/Novanta (paladini di un cinema dove sesso, violenza e umorismo grossolano diventano elementi di apprezzamento e marche identitarie) ma che sostanzialmente ne ripropongono i medesimi elementi fondanti: solipsismo critico (quante volte ci si parla addosso, non per spiegare ma per autolodarsi), spirito settario e impermeabilità totale al confronto. Non interessa più «riscrivere» la storia del cinema o difendere un autore (come in fondo aveva cercato di fare, spesso riuscendovi, la cinefilia di ieri) ma piuttosto innalzare dei muri intorno al proprio oggetto di competenza per difenderlo non si sa bene da cosa. Magari senza accorgersi che dietro alle nuove possibilità offerte dal web e dall’evoluzione della tecnologia ci sono spesso precise strategie di marketing e lotte di mercato. Come era successo ieri per la diffusione del dvd (all’interno di una campagna per aumentare le possibilità di sfruttamento del prodotto cinematografico), oggi per quella del blu-ray o del 3D (che rendono obsoleti hardware di pochi anni) o ancora per il modo in cui quel mercato rifornisce di prodotti le community cinefile, «indirizzandone e orientandone i gusti» (su questo argomento ha scritto pagine illuminanti Alberto Pezzotta nel saggio contenuto in Le nuove forme della cultura cinematografica a cura di Roy Menarini, appena uscito da Mimesis).
Sono lontani i tempi in cui ci si accapigliava non solo per difendere le proprie idee ma per convincere chi ancora non lo era, per diffondere un’idea di cinema che diventava spesso un’idea di mondo e ricordare a tutti che nei sogni nascevano le responsabilità. Dove sono oggi gli entusiasmi e le provocazioni di «Cinema&Film» o di «Ombre rosse», due pubblicazioni con gusti diversi ma con la stessa passione per un cinema innovativo? La prima era «una rivista di cinema che qualche volta parlava di politica», la seconda «una rivista di politica che spesso parlava di cinema», ma in un celebre editoriale si dicevano entrambe pronte a collaborare perché il nuovo (la cinefilia? La rivoluzione? Una rivoluzione cinefila?) potesse finalmente nascere e crescere, disposte a stare al fianco della bistrattata Dallas per aiutare la neo-mamma Lucy Mallory (ogni riferimento al celebre film di John Ford era evidentemente voluto).
Febbre da cineteca
Riflettendo sulle ragioni di questo ritorno d’interesse dei più giovani per i grandi classici del passato, Gianluca Farinelli, instancabile animatore della Cineteca di Bologna e di alcune delle manifestazioni più significative nella riscoperta del patrimonio cinematografico (dal Cinema ritrovato alle proiezioni in piazza Grande: seimila persone incollate allo schermo per i corti dei Lumière o i muti di Kulešov) sottolineava due elementi: il fascino di un nuovo giacimento di immagini («vedono cose che non hanno mai visto, scoprono modi di inquadrare e di raccontare di cui ignoravano l’esistenza: il "vecchio" può diventare "nuovo"») ma soprattutto svelano un mal celato bisogno di storia, di memoria, di radici. «Mi sembra questo il fattore davvero dirimente — spiega Farinelli —. Quei vecchi film, che ieri si restauravano per la passione di qualche ricercatore o conservatore, oggi diventano oggetti di culto di massa perché riempiono un vuoto di storie e di cultura che altri hanno dimenticato di colmare. Non ci pensa la scuola, né la televisione, ci pensano pochissimo i giornali e le riviste, ci pensa il cinema. In fondo era nato per questo, fissare sulla pellicola il tempo che passa e la realtà che svanisce: dopo quasi centovent’anni ci stiamo ritornando».
Ecco, questo senso di «far parte» di una storia più grande, che è fatta di avvenimenti storici ma anche di culture e di passioni, questo sentirsi parte di un unico flusso che supera frontiere e lingue e gusti per difendere una centralità del cinema che è anche senso di responsabilità verso gli altri (la lezione di Ford, di Rossellini, di Chaplin, di Kurosawa...) e insieme scelte di coraggio e di moralità (la lezione di Bresson, di Hawks, di Bergman, di Tarkovskij, di Lang, di Buñuel...) oltre che, naturalmente, di rigore estetico (la lezione di Ophuls, di Antonioni, di Mizoguchi, di Welles, di Fellini...) ecco, tutto questo è probabilmente la più autentica anima della cinefilia, la sua forza vera e profonda. Ieri come, speriamo, domani.
Una forza che non passa certo dal gusto delle gerarchie o degli orticelli ma piuttosto da una pratica critica che deve per forza confrontarsi con l’altro, con chi non la pensa come noi. Una cinefilia che non sia fatta di punti esclamativi o sottolineature ma piuttosto di analisi vere, profonde, rispettose più di chi legge che di chi scrive, che può passare attraverso la carta stampata, il video, i blog, le chat purché aiuti a capire e non solo a contare gli adepti, che serva per spiegare e non per ferire o scherzare, che non dimentichi mai di mettere in primo piano le opere e che dimentichi il protagonismo a favore del senso vero di un film. La cinefilia è nata negli anni Venti per testimoniare il ruolo centrale del cinema nel flusso delle arti, è cresciuta per rivendicare la centralità dei film nella storia culturale e politica del Dopoguerra e potrà sopravvivere solo se sarà capace di rimettere le opere al di sopra dei loro autori o dei loro cantori. Non abbiamo bisogno di nuovi profeti ma di nuove profezie!
Paolo Mereghetti