Dario Di Vico, Corriere della Sera 17/06/2012, 17 giugno 2012
SI AZZOPPA ANCHE L’EXPORT DEI DISTRETTI
La notizia non è delle migliori. L’export dei distretti che in tutto il 2011 aveva corso come una lepre, e aveva dato la paga ai tedeschi, ora invece è fermo. Al massimo si può dire che cammina come una tartaruga. Secondo i dati elaborati in questi giorni dal Monitor dei distretti di Intesa Sanpaolo nel primo trimestre del 2012 l’incremento delle vendite all’estero dei principali 143 distretti industriali italiani è stato dell’1,4% tendenziale a prezzi correnti. Per chi se lo fosse dimenticato anche nel 2011, in piena crisi, i distretti avevano aumentato le loro esportazioni al ritmo delle due cifre. Spiega Fabrizio Guelpa del Servizio studi della banca: «Il rallentamento è stato quasi generalizzato, ha interessato gran parte dei settori ad alta specializzazione dei distretti e in particolare il sistema moda e la meccanica che hanno avuto addirittura performance sotto lo zero».
È un risultato deludente per i Piccoli, specie se confrontato con il dato medio del manifatturiero italiano che nello stesso periodo ha messo a segno una crescita tendenziale delle esportazioni pari al 5,5%. Infatti su un totale di 143 distretti, ben 56 nei primi tre mesi dell’anno in corso sono costretti a esibire il segno «meno». I cali maggiori hanno colpito l’occhialeria di Belluno, la termomeccanica friulana, l’oreficeria di Valenza e di Arezzo e le macchine per il tessile e la plastica di Brescia.
Un contributo negativo alle esportazioni italiane l’ha dato la crisi della domanda interna nei paesi mediterranei. Spagna, Grecia e Portogallo capeggiano, accanto alla Turchia, la classifica dei mercati in cui per noi è andata peggio. In Germania e in Francia e Stati Uniti le esportazioni distrettuali hanno continuato a crescere seppure a ritmi contenuti. Nel Paese di Angela Merkel le macchine per l’imballaggio di Bologna e la metalmeccanica del basso mantovano hanno toccato il massimo storico e risultati lusinghieri sono stati ottenuti anche dai vini e dalle carni veronesi, dall’alimentare di Parma, dalle piastrelle di Sassuolo e dall’arredamento brianzolo. In Francia a tener su la bandiera del made in Italy è stato il sistema fiorentino della pelletteria e delle calzature, ormai strettamente legato alle griffe della moda francese. Benissimo il Brasile dove continuiamo a vendere macchinari di ogni tipo e la Russia che ha premiato l’intraprendenza dei piccoli imprenditori di abbigliamento del distretto di Rimini e quelli delle calzature di Fermo. Stiamo invece rallentando in Cina e arretrando addirittura in India. Un caso su tutti: segna il passo la concia di Arzignano che aveva guidato la nostra presenza a Pechino.
Meglio dei distretti tradizionali del made in Italy sono andati i poli tecnologici, in particolare farmaceutici e biomedicali che si confermano un business anticiclico in virtù sia della maggiore attenzione alla prevenzione, sia dell’invecchiamento della popolazione. Il guaio però è che il terremoto in Emilia ha colpito proprio una di queste eccellenze (il distretto di Mirandola), alle prese in questi giorni con la necessità di ripartire e i rischi di delocalizzazione da parte delle multinazionali presenti in zona.
Se questi sono i dati che cosa ci prepara l’immediato futuro? Guelpa vede nubi all’orizzonte e pensa che anche il secondo trimestre 2012 segnalerà un ulteriore rallentamento dell’export manifatturiero italiano, causato anche da qualche problema che si comincia a manifestare sui mercati francese e tedesco. Il peggioramento dei mercati sui quali da sempre siamo presenti ci dovrebbe, dunque, indurre a qualche considerazione autocritica. Nei trimestri delle vacche grasse abbiamo perso troppo tempo almeno su due versanti: l’aggregazione delle imprese e la promozione commerciale all’estero. E’ chiaro che per insediarsi sui mercati stranieri la dimensione di impresa conta e i distretti non si sono riorganizzati in tempo. Sono nate le reti di impresa con filiere lunghe ma il loro numero è ancora troppo ridotto per pesare sui grandi numeri dell’export. Quanto alla promozione l’aver smontato l’Ice sotto il governo Berlusconi e averlo rimontato con il governo Monti è un esercizio che ci ha fatto perdere tempo prezioso e che visto da uno straniero produce un giudizio su di noi che può sintetizzare così: «Siete dei masochisti».
Dario Di Vico