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 2012  giugno 17 Domenica calendario

UNIONE POLITICA O CRACK FINANZIARIO, IN 15 GIORNI IL DESTINO DELL’EURO


1Che valore hanno le elezioni in Grecia?
Angela Merkel ieri è stata chiara: che i greci votino per i partiti che vogliono onorare gli accordi con l’Europa. Tuttavia, fino a pochi giorni fa nessuno si aspettava che conservatori e socialisti del Pasok, i due partiti che hanno assunti gli impegni terribili di tagli alla spesa pubblica, stipendi e pensioni, potessero avere la maggioranza. Syriza, il partito di sinistra guidato da Aleksis Tsypra, da pochi mesi è secondo partito. Non parla più di uscita dall’euro. Ma di energica ricontrattazione con Ue e Germania delle condizioni di eccessivo rigore. La Spagna non ha dovuto sottoporsi al Fondo Monetario, dicono ad Atene. E anche Berlino ha capito nelle ultime settimane che costringere la Grecia fuori dall’euro significa esporre la Germania stessa al rischio di apparire responsabile di un disastro non solo europeo ma mondiale.
2Se la Grecia uscisse dall’euro potrebbe scatenarsi un effetto domino?
I mercati anglosassoni scommetterebbero che l’uscita greca dall’euro è come per le ciliegie, una tira l’altra. Gli spread salirebbero a livelli altissimi. Se l’euroarea dovesse credere di dare più forza all’euro mostrando che chi non si adegua esce, allora le munizioni finanziarie per proteggere gli altri eurodeboli, Spagna, Portogallo, Italia e Irlanda, dovrebbero essere incommensurabili. Difficile crederlo, ammettiamolo.
3Dopo la Grecia è la Spagna sotto attacco. Perché il prestito dell’Europa non ha avuto gli effetti sperati?
L’aiuto di 100 miliardi alle banche spagnole ha scoperto un errore grave dell’europolitica. Dopo il crac Lehman, l’euroarea doveva capire che non c’è difesa dell’euro senza una vera unione bancaria: le maggiori banche di ogni euromembro vanno sottoposte a un’unica vigilanza e analoghi criteri di salvataggio, occorrono fondi ad hoc per ristrutturare le banche e i loro attivi, salvaguardare i depositanti e gli obbligazionisti senza distinguere tra seniores e meno privilegiati. Invece, ogni Paese ha preferito fare da sé. Così, sulle casse di risparmio la Spagna ha sottovalutato i guai, come la Francia e il Belgio su Dexia, e come i tedeschi ancora fanno per le loro Landesbanken pubbliche. La BCE di Mario Draghi ha fatto un passo avanti da sola, su questa strada. E dichiara che è disposta a fornire liquidità ilimitata. Al Consiglio europeo le decisioni in materia devono essere inequivocabili. Perché è sulle banche, che si scatenerà l’ennesima ondata di ribassi del rating. Mentre sono in condizioni di grave stress di liquidità e patrimonio alcune, anche in Italia, potrebbero trovarsi a perdere l’investment grade, cioè a non poter più piazzare titoli valutati solvibili.
4Nel frattempo si assiste a una fuga di capitali esteri dai Paesi più deboli? Perché?
La fuga dei capitali esteri – ma anche domestici – dai Paesi eurodeboli si deve al timore che il ritorno per loro a valute nazionali porti a perdite di capitale nell’ordine di decine di punti, per il minor valore delle monete nazionali rispetto a dollaro, sterlina ed euro residuo. E’ una tendenza cominciata a inizio 2011, negli ultimi mesi è diventata parossistica. Dall’Italia da inizio 2011 sono usciti più di 12 punti di Pil di capitali, tramite le banche estere che operano nel nostro Paese. Per questo la Germania ha potuto rifinanziare il suo debito pubblico a tassi negativi, inferiori all’inflazione. Per spezzare la spirale, occorre un meccanismo cooperativo che abbassi gli spread. Una delle diverse strade di federalizzazione europea di una quota di debito pubblico per ogni euromembro, che però fa a pugni con la condizione esplicita posta dalla Corte costituzionale tedesca aderendo al Trattato europeo, accompagnata da interventi della BCE sui mercati per abbattere i differenziali.
5Ma in concreto l’Italia che cosa rischia?
In assenza di adeguati argini europei, dopo 8 giorni di spread sopra quota 500 rispetto al Bund decennale anche per l’Italia si spalancherebbe la porta degli “aiuti obbligati”, come per Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda. Alla Spagna sono bastati 10 giorni. Erano stati 16, per la Grecia. L’Italia non ha bolle immobiliari o bancarie, è la seconda potenza europea come prodotto manifatturiero, e la sua manifattura è in attivo nella bilancia commerciale. Ma la sua debolezza è l’immenso debito pubblico ancora in crescita, la sua altissima spesa pubblica e pressione fiscale. Non aver saputo decidere che il debito pubblico si abbatte con rilevanti cessioni patrimoniali, e aver continuato solo ad alzare la pressione fiscale invece di tagliare in profondità la spesa per far respirare lavoro e impresa, è stato un errore capitale, di tutti i governi sin qui in carica.
6C’è un piano d’emergenza delle banche centrali per evitare la tempesta perfetta?
La BCE di Mario Draghi si è mossa sin qui quasi da sola, con le aste straordinarie di liquidità di inizio anno, senza le quali ciò che sta accadendo ora sarebbe avvenuto sei mesi fa, e ora mettendo al centro dell’agenda l’unione bancaria. In due anni e mezzo purtroppo l’Europa, preferendo i salvataggi a livello nazionale, non ha saputo costruire procedure concordate con FED, Bank of England e Bank of Japan per spegnere insieme l’eurofalò. Nelle prossime settimane, serve il contrario.
7Che ruolo potrà avere la Banca centrale europea?
Convincere le altre banche centrali a cooperare, chi difende l’Europa oggi difende crescita e stabilità per il mondo intero.
8Il 19 giugno si riunisce il G20. Che significato hanno ancora questi vertici?
In Messico, all’indomani del voto greco la riunione del G20 ha un’importanza essenziale. Americani, cinesi e tutti i Brics diranno a europei e tedeschi che si assumono una responsabilità terribile, se non cambiano marcia. Obama sarebbe a un passo dal perdere le elezioni, e i cinesi dopo anni hanno dovuto abbassare i tassi, tanto è rallentata la loro crescita per colpa nostra.
9In che modo la crisi dell’euro influenza l’economia statunitense?
Fino a pochi mesi fa, in realtà l’eurocrisi faceva bene all’America. Mascherava la sua posizione debitoria netta e l’ammontare del suo debito pubblico e privato, entrambi parecchio superiori a quelli europei. Attirava capitali al finanziamento dei suoi debiti, e questo spiega l’attivismo di banche e intermediari americani sul fronte della sfiducia all’euro. Da quando l’euro rischia di rompersi per davvero, l’effetto-maschera sulla crisi americana è svanito. L’economia Usa perde colpi, e un dollaro apprezzato sull’euro non serve a Washington, perché il dollaro debole diminuisce il valore reale del suo debito.
10Al vertice di Roma si confronteranno due visioni contrapposte: chi punta all’Unione politica e chi a misure d’emergenza. Chi la spunterà?
Se al Consiglio europeo si arriva ancora con questa spaccatura frontale, si scatenerà il peggio. La via più ragionevole è accogliere la richiesta tedesca di maggior controllo accentrato sui bilanci pubblici, e attenzione che su questo sono i francesi a puntare i piedi opponendosi, alzando i margini dei meccanismi automatici di correzione per i ciclo, cioè attenuando il rigore a breve. Più la richiesta degli eurodeboli si impunta sui soli eurobond immediati, più è impossibile che i tedeschi dicano sì.
11Qual è la strategia del governo Monti?
Fare da ponte tra eurodeboli e tedeschi, grazie all’autorevolezza di cui gode con Hollande e la Merkel. Dacché Monti è in carica, Berlino ha moltiplicato gli attestati di fiducia verso l’Italia. Perché con l’Italia crollerebbe il 19% dell’euroarea, e il 43% dell’export tedesco che vi si dirige. Sono buone carte da giocare. Il problema è se Monti userà solo la ragionevolezza, o tirerà fuori anche gli artigli.
12Il Consiglio europeo del 28 e 29 giugno sarà la prima tappa verso l’Unione politica?
Purtroppo, i mercati scommettono su ciò che l’Europa per due anni e mezzo ha saputo produrre: mezze misure e rinvii. Se ancora una volta così dovesse essere, nel 2013 l’euro non riguarderà più tutti i suoi attuali membri. E su imprese e lavoratori degli eurodeboli si abbatteranno nuove ondate di disoccupazione e fallimenti, con perdite gravi di valore reale per risparmi e patrimoni. Molti confidano nella svalutazione, se tornassimo alla liretta. Ma non illudiamoci. Saremmo relegati, e con noi mezza Europa, nel girone dei declinanti una volta per tutte: a meno di un governo capace di spezzare la continuità delle politiche pubbliche nazionali che ci hanno condotto sin qui. Con molte lacrime e sofferenze però, più di quelle pur terribili già viste sinora.