Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 06/06/2012, 6 giugno 2012
GLI ANNI D’ORO
Per festeggiare il trasloco a Roma della casa editrice Gran Vía, (nata sei anni fa a Milano), Annalisa Proietti e Adele Polenta hanno scelto di pubblicare «Gioventù dorata. Tre vite nella Francia della Belle Époque», della storica americana Kate Cambor. «Fin dal primo momento che lo lessi in inglese - racconta Proietti - mi colpirono i raffronti del periodo compreso tra l’ ultimo ventennio dell’ Ottocento e il primo del Novecento con quello che stiamo vivendo oggi. La stessa follia, la stessa crisi profonda, il venir meno delle speranze maturate dalle generazioni precedenti, certi aspetti della vita culturale, l’ uso quasi criminoso di certo giornalismo». Il volume racconta la storia e il costume di un’ epoca attraverso le vite intrecciate di Jeanne (nipote prediletta di Victor Hugo), di Léon (figlio di Alphonse Daudet), di Jean-Baptiste (figlio del neurologo Jean-Martin Charcot, celebre per i suoi studi sull’ isteria e per aver condotto Freud alla scoperta della psicoanalisi). Mentre «Gioventù dorata» arriva sugli scaffali delle librerie, a palazzo Tritone si inaugura domani la mostra «Un angolo di Art Nouveau a Roma», allestita nei nuovi spazi espositivi di Fondazione Sorgente Group (via del Tritone 134). Belle Époque e Art Nouveau sono termini quasi sinonimi. Il primo fu coniato per definire l’ epoca bella a cavallo tra l’ Ottocento e il Novecento, quando appaiono l’ illuminazione elettrica e le automobili, la radio e i vaccini contro le epidemie, le Esposizioni universali che esibiscono le strabilianti invenzioni della scienza e della tecnica, le esplorazioni nei punti più impervi del pianeta, i grandi magazzini con oggetti costruiti in serie e in abbondanza dalle nuove macchine industriali, gli spettacoli di cabaret, il ballo del can-can. L’ Art Nouveau (chiamata così in Francia, ma diffusa con nomi diversi in tutta Europa), trasferì nelle arti figurative, nell’ architettura e nell’ artigianato quella ventata di leggerezza che aveva reso frizzante la società dell’ epoca e che si spense con lo scoppio della prima guerra mondiale. Su mobili e decorazioni, dipinti e sculture, gioielli e tessuti, apparvero i segni tipici del nuovo stile (chiamato in Italia all’ inizio Stile Floreale e poi Liberty). Ispirato alla natura, diffuse a profusione linee curve e motivi vegetali, libellule e farfalle, leggiadre figure femminili che sembravano fiori appena sbocciati e invece rappresentavano l’ immagine della «donna fatale», che conduce al piacere e alla morte. Leggerezza che si riversa anche nei materiali, di preferenza vetro e ferro battuto in eleganti volute. I circa cinquanta pezzi della mostra a palazzo Tritone sono gli stessi che facevano da sfondo alle folleggianti serate della gioventù dorata di un secolo fa: i vasi di Emile Gallé, i mobili di Michael Thonet e di Victor Hort, le sculturine aggraziate di Edouard Drouot, le lampade di Maurice Bouval e Louis Chalon, gli argenti di Paul Follot. Nel percorso espositivo si incontrano inoltre pitture come il pannello decorativo di Aristide Sartorio intitolato «Miracolo di scienza e d’ ardimento», lungo oltre quattro metri; l’ originale del manifesto creato nel 1902 da Leonardo Bistolfi per la prima esposizione internazionale d’ arte decorativa moderna a Torino; la tela con il «Convegno mistico» di Vittorio Zecchin. Lo stesso palazzo Tritone è un esempio significativo del Liberty romano, come molti degli edifici tra piazza Barberini e via del Corso: dalla Galleria Colonna progettata ai primi del Novecento da Dario Carbone a quello che fino poco tempo fa era il palazzo de La Rinascente, disegnato da Giulio De Angelis e Sante Bucciarelli, e inaugurato nel 1887. Lo stesso De Angelis aveva progettato nel 1880 la Galleria Sciarra in Via Minghetti, con il ciclo pittorico di figure femminili realizzato da Giuseppe Cellini e ispirato all’ estetica della rivista «Cronaca Bizantina», che sotto la direzione di Gabriele D’ Annunzio propugnava il culto della bella forma.
Lauretta Colonnelli