Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 23/05/2012, 23 maggio 2012
AMMANITI E LE STORIE - A
cercare la casa di Niccolò Ammaniti in campagna si rischia di finire dentro uno dei suoi racconti. Quelli raccolti nel libro «Il momento è delicato», appena uscito da Einaudi Stile Libero Big. Racconti che hanno un avvio tranquillo, con personaggi ingenui e un po’ sfigati. E che precipitano in una scena molto pulp, dopo un crescendo di avventure paradossali, sospese tra il comico e l’ horror. Come nel racconto che apre la serie, dove Fabietto legge favole alla nonna ricoverata in ospedale, poi ruba le chiavi di casa alla sua vicina di letto con l’ intenzione di rapinarla, ma nell’ appartamento ai Parioli cade nelle grinfie di Flavione, un orco che ha già divorato viva la colf peruviana. Ammaniti vive per gran parte dell’ anno nella zona più selvaggia della Toscana. Questa, fino a cent’ anni fa, era terra di briganti. Finalmente lo scrittore arriva in soccorso con la sua jeep e di colpo appare sopra un poggio la casa in pietra dalle imposte color pervinca. Panorama mozzafiato di pianure e colline tutt’ intorno. In questo rifugio Ammaniti scrive storie quasi sempre ambientate a Roma. Nella capitale torna spesso. «La campagna in un certo senso è sterile, non ti offre relazioni umane». A Roma lo si potrà incontrare domani alle 20,15, all’ Auditorium del Maxxi, dove sarà intervistato da Marino Sinibaldi per la seconda edizione di Contemporaneamente, la rassegna in cui cinque protagonisti della cultura e dell’ arte svelano la loro contemporaneità. «Faccio fatica a raccontare luoghi che non mi sono familiari. A Roma ci sono nato. Ho trascorso l’ infanzia in un appartamento vicino a Villa Ada. Conosco gli angoli più segreti del parco, certi punti che sembrano inaccessibili e poi scopri strappi nella recinzione e rifugi dove vivono i senzatetto». Vi ha ambientato il romanzo «Che la festa cominci», uscito tre anni fa. Dice che ha cominciato a scrivere ispirato dai giri in motorino, compiuti tra i 14 e i 25 anni. «A scuola andavo malissimo in italiano, mi hanno rimandato tre volte. Il massimo che riuscivo a prendere era un sei meno meno, anche se avevo una passione per la letteratura. Divoravo romanzi in maniera ossessiva, classici inglesi soprattutto. Ma non avevo capito che quella roba fosse collegata alla scrittura. Ci chiedevano di fare temi sul Risorgimento e io non sapevo da dove cominciare. A me interessavano le trame. Le storie le ho sempre avute in testa, fin da bambino, ma non sapevo a che cosa servissero. Un giorno ci venne assegnato un argomento libero. Presi un nove per la prima volta, raccontando come avevo fatto le modifiche al motorino per arrivare nei posti più lontani dal centro. Mi piacevano soprattutto i luoghi abbandonati: una ex fabbrica di paracadute sulla Tiburtina, un palazzo che era imploso su se stesso, dove si entrava scavalcando tre metri d’ acqua con pezzi enormi di polistirolo galleggianti. Oppure le scarpate lungo le ferrovie. O i paesaggi che si vedevano dal Tevere, scendendo in gommone fino a Fiumicino. Fu un lungo periodo in cui osservavo tutto, ma non sapevo come raccontarlo, se in prima o terza persona, se al passato o al presente. Come succede a qualcuno che ha la passione per i mobili: li compra ma non sa come costruirli, come farli stare in piedi e rinforzarli. L’ illuminazione è avvenuta intorno ai 25 anni, quando ho scoperto che poteva esserci una fusione tra le cose che vedevo e quelle che avevo letto. Avevo visto un film sugli zombi e ho pensato che si poteva riscrivere "I promessi sposi" con un’ infezione di zombi a Milano, invece della peste». Se dovesse dare un consiglio a qualcuno che vuole scrivere, gli direbbe: «Prova a scrivere il libro che vorresti leggere tu, non quello che pensi che gli altri vorrebbero leggere». Alcuni dei racconti contenuti in questo volume appena uscito sono stati composti su commissione. «Le gabbie in realtà aprono nuovi mondi. Più lo spazio è chiuso e più aumenta la tua possibilità di immaginazione, la sfida è stimolante». Non prende mai appunti. «Le idee o restano, o se vanno via vuol dire che non erano buone». Non è disciplinato. «Mi metto a tavolino solo quando ho voglia». Non naviga su Facebook. «Devo conservare la scrittura per il mio lavoro, tutto il resto significa sprecare colpi, anche le mail mi costano fatica».
Lauretta Colonnelli