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 2012  giugno 16 Sabato calendario

FENOMENO DINKLAGE: «RIFIUTO QUEI RUOLI CHE UMILIANO I NANI»

Il successo non ha cambiato poi molto la quotidianità di Peter Dinklage. Perché fin dall’inizio della sua carriera, all’attore — a differenza degli altri suoi colleghi — non è mai bastato indossare un cappellino e un paio di occhiali da sole per passare inosservato. Centotrentacinque centimetri d’altezza non aiutano l’anonimato. Eppure Dinklage ha da sempre considerato la sua statura — bloccata dall’acondroplasia — come un elemento che gli ha dato qualcosa nella vita piuttosto che tolto. Probabilmente se fosse stato più alto oggi non avrebbe l’ironia e la battuta sempre pronta che chiunque parli di lui non esita ad esaltare, non avrebbe vinto il titolo di «Uomo dell’anno» attribuitogli da GQ nel 2011, e forse non sarebbe nemmeno finito sull’ultima copertina della rivista musicale più famosa del mondo, Rolling Stone, con il titolo: «Il trionfo di Peter Dinklage».
Probabilmente, come ha lui stesso ammesso, se fosse stato più alto dei suoi 135 centimetri «non so nemmeno se sarei diventato un attore. Con un’altra altezza la mia vita sarebbe stata differente». E si dà il caso che invece, la sua di vita gli piaccia moltissimo così com’è. Specie adesso, che a 43 anni è un marito felice (della regista teatrale Erica Schmidt) e un papà innamoratissimo della sua prima figlia di cinque mesi: «È bellissima. Mi domando chi sia il padre», ha scherzato su Rolling Stone. E alle gioie personali vanno aggiunte quelle professionali: il suo ruolo nell’ultima serie tv entrata nei cuori del pubblico e dei critici, «Il trono di spade», gli ha consegnato (tra gli altri premi) prima un Emmy (nel 2011) e poi un Golden Globe (nel 2012) come «miglior attore non protagonista in una serie tv drammatica». In Italia, Sky ha previsto una maratona (dal 21 al 24 giugno su Sky Cinema Hits, dalle 21.10) con le repliche delle due stagioni già trasmesse della serie prodotta e trasmessa in America dalla HBO (più di quattro milioni di spettatori a settimana: è prevista la terza serie), tratta dai romanzi di George R. R. Martin. E proprio lo scrittore — che ha supervisionato ogni episodio, confessando di essere entusiasta del risultato finale: «La prima volta che sono andato sul set, mi è sembrato di essere finito in uno dei miei sogni» — ha rivelato che per il personaggio di Tyrion Lannister, Dinklage non è stato solo il primo attore ad essere chiamato ma sarebbe stato l’unico. Lo scrittore, insomma, voleva lui e nessun altro.
E non è un caso che fra tutti, quello di Dinklage sia forse il personaggio più amato. Ironico, cinico, arrivista, furbo. L’altezza di Tyrion Lannister è un dettaglio. Ma non lo è invece per l’attore, che da sempre si impegna per non scivolare nei cliché che accompagnano la sua condizione (e quella di molti assieme a lui). «Sono un nano — ha detto al Corriere — e sono convinto di poter aiutare cause come la mia solamente recitando in ruoli non da nani. Da sempre cerco copioni che vadano oltre. Tutti gli ultimi film che ho girato, come questo, non erano scritti per nani: ne sono fiero».
Per scegliere gli oltre 30 titoli in cui ha recitato — tra cui Prova ad incastrarmi di Lumet e Funeral Party di Frank Oz — ha dovuto fare affidamento su «una parola potente e sottovalutata: no». Ma il fatto che non accetti di essere scelto solo per impersonare folletti o freak non gli impedisce di scherzare spesso sulla sua malattia, come suggerisce anche un retroscena dell’intervista a Rolling Stone: mentre era con il giornalista nel paesino fuori New York dove si è trasferito da poco, una signora si è avvicinata per complimentarsi. E alla domanda se abitasse da quelle parti, Dinklage ha risposto: «Qui vicino, subito dopo il ponte. In una grotta. Ma al momento non può attraversarlo. Deve risolvere un indovinello. Devo farle un indovinello e poi potrà passare».
Aver raggiunto la consapevolezza che la sua condizione è «qualcosa con cui convivo da sempre, non è qualcosa che capita: fa parte di me, della mia fisionomia», gli permette di parlarne serenamente. Ma non significa che lui — che è anche animalista convinto e vegetariano — non abbia a cuore chi vive la sua stessa situazione e ne soffre. Ne ha dato prova anche quando ha ritirato il suo primo Golden Globe: schivando la retorica che di solito non risparmia nessuno su quei palchi, alla fine del suo breve discorso ha semplicemente detto che in quel momento stava pensando «a un signore che si chiama Martin Henderson...cercatelo su Google». Martin Henderson è un uomo di 37 anni affetto da nanismo che a gennaio è stato aggredito da un gruppo di delinquenti: gettato per terra, è rimasto semi-paralizzato.
Da allora Dinklage è stato invitato in centinaia di talk show per parlare di nanismo e discriminazioni. Non ha mai accettato: «Ho fatto quello che volevo fare e detto quello che volevo dire. Forse un tempo sarei andato in tutti quegli show, ma ora sono un po’ più in pace riguardo queste cose». Del resto, la morale l’aveva detta lui stesso: «Non credo faccia bene alla salute pensare a quello che saremmo voluti diventare e invece non siamo. È una cosa che distrae e fa perdere tempo. Ognuno nella vita ha le sue pene e le sue sfide». E lui le sue le ha già vinte.
Chiara Maffioletti