Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  giugno 16 Sabato calendario

«IL FATTO NON SARA’ MAI L’ORGANO DI BEPPE GRILLO» —

L’intervista di Marco Travaglio a Beppe Grillo apparsa su Il Fatto ha scatenato un diluvio di polemiche. Filippo Facci su Libero ha scritto: «Travaglio, lo zerbino di Grillo». Cosa ne pensa Cinzia Monteverdi, amministratore delegato del quotidiano diretto da Antonio Padellaro?
«No, davvero non l’ho trovata un’intervista-zerbino...»
Veramente anche la base si è ribellata. Qualche lettore ha cominciato a scrivere che Grillo è il vostro padrone...
«No. Non siamo e non saremo l’organo di Grillo. Se mai l’avessi scritta io, quell’intervista, forse avrei pubblicato qualcosa di diverso. Magari ho qualche punto interrogativo in più».
Lei dice: non siamo l’organo di Grillo. Ma due pagine di intervista su «Il Fatto».
«Primo: se Mario Monti o Silvio Berlusconi ci concedessero un’intervista, metteremmo a disposizione lo stesso spazio. Secondo. Non siamo noi ad essere l’organo di Grillo, ripeto, ma sono molti grillini che ci scelgono e ci comprano perché non abbiamo finanziamenti pubblici e siamo fuori dalla solita, tradizionale politica».
Allora sarà Marco Travaglio a subire il fascino di Grillo...
«Travaglio non subisce il fascino di nessuno se non del suo archivio e dei fatti che racconta. È colpito dal fenomeno di un movimento autonomo che sta crescendo a vista d’occhio. Non da Grillo in sé».
In quell’intervista mancherebbero domande vere e incalzanti...
«Penso che le domande incalzanti vadano dirette in primo luogo a chi ha gestito e gestisce ancora il potere. Grillo è un fenomeno da analizzare. Verrà il tempo dei quesiti perfidi, se e quando saranno al potere».
Le brucia molto la scissione provocata da Luca Telese?
«Quale scissione? È solo un giornalista, molto bravo, che se n’è andato. E mi dispiace che abbia abbandonato Il Fatto lasciando una scia di veleno. Non credo si costruisca così la strada di un possibile successo».
Luca Telese vi accusava da tempo, appunto, di filo-grillismo...
«Sul nostro giornale appaiono, e continueranno ad apparire, anche opinioni molto diverse tra loro. Ancora una volta: non siamo l’organo di nessuno. Nemmeno di Grillo!».
Sempre Telese accusa: a dettare la linea politica in realtà non è più il direttore, Antonio Padellaro, ma Travaglio.
«Altra cosa falsa. Padellaro dirige il giornale con grande equilibrio e sa gestire la particolare natura de Il Fatto. È lui il direttore, sue ovviamente le scelte finali».
Vi accusano di aver silurato l’ex amministratore delegato Giorgio Poidomani. Infatti lei è al suo posto, ormai.
«Poidomani è stato fondamentale nella nascita e nella crescita del progetto. Gli dobbiamo, e personalmente gli debbo, molto. Ma caratterialmente, lui stesso lo ammette, non era uomo da distribuire deleghe, aveva l’abitudine di controllare tutto. Quando gli abbiamo chiesto di decentrare, ha preferito non accettare di restare con noi proprio perché non ama condividere una parte del suo ruolo. Carattere, appunto».
Cosa pensa, per finire, del progetto di Telese?
«Telese mi sembra puntare sul fenomeno dell’anti-travaglismo. Guardandola con un’ottica positiva, vedo un esperimento che si richiama al nostro. Un modello di business editoriale che evidentemente funziona. Significa che abbiamo fatto centro. Che siamo stati bravi».
Paolo Conti