Lino Terlizzi, Il Sole 24 Ore 15/6/2012, 15 giugno 2012
IL CONTAGIO ARRIVA ANCHE IN SVIZZERA
Anche la Svizzera predispone la sua trincea. Sin qui la Confederazione è andata nettamente meglio rispetto a molti altri Paesi sviluppati, sia in termini di crescita economica che di resistenza della piazza finanziaria. Ma di fronte alla possibilità che uno degli scenari sia l’aggravarsi della crisi nell’Eurozona, la Banca nazionale svizzera ieri è scesa in campo. Nell’occasione della conferenza stampa di metà anno, il presidente della Bns Thomas Jordan ed il vicepresidente Jean-Pierre Danthine hanno tracciato due percorsi precisi: più mezzi propri per le due grandi banche «sistemiche» Ubs e Credit Suisse; difesa ad oltranza contro l’apprezzamento di un franco che è già troppo forte e che rischia di danneggiare le esportazioni e l’economia elvetiche.
Il vertice Bns ha riconosciuto che Credit Suisse e Ubs hanno fatto progressi, ma ha affermato anche che i loro mezzi propri in grado di assorbire perdite restano al di sotto del livello che permette una sufficiente capacità di resistenza. La Bns ritiene che un nuovo rafforzamento della loro capacità sia necessario. Per prudenza, visto che la Bns non si attende perdite sostanziali da parte delle banche elvetiche nei prossimi 12 mesi, considerando anche la moderata esposizione verso i Paesi periferici della zona euro. A fine marzo 2012, i tassi dei capitali ponderati in funzione dei rischi ammontavano a 5,9% per Credit Suisse e a 7,5% per Ubs, secondo Bns. Questa ha rilevato che la capitalizzazione dei due istituti, soprattutto per il Credit Suisse, in base alle norme di Basilea 3 è inferiore alla media internazionale. Tenendo conto del bilancio netto, i capitali in grado di assorbire perdite raggiungevano rispettivamente circa 1,7% e 2,7%.
Ubs e Credit Suisse hanno reagito. Ubs ha espresso rispetto per il punto di vista della Bns ma ha definito «non giustificati» alcuni elementi. Ubs ha affermato di essere la banca meglio capitalizzata secondo il quadro di norme di Basilea 2,5. Credit Suisse ha detto di superare «di gran lunga» le stesse norme. A fine marzo 2012, secondo suoi dati, Ubs disponeva di fondi propri pari al 18,7%, rispetto a 15,6% per Credit Suisse, 13,4% per Deutsche Bank, 12,7% per Barclays, 11,9% per Hsbc e 11,1% per Société Générale. Credit Suisse ha ribadito di «avere già oggi capitale in eccesso rispetto ai requisiti della Finma (organismo elvetico di vigilanza, ndr) e di Basilea 2».
La Borsa svizzera ha penalizzato nella seduta di ieri i titoli delle due grandi banche. Soprattutto quello di Credit Suisse,che ha chiuso a – 10,47% a 17,01 franchi. Ubs ha invece limitato i danni ed ha chiuso a 11,12 franchi (–0,27%). Operatori ed analisti sono in effetti rimasti sorpresi in particolare dal forte richiamo a Credit Suisse.
Sul versante del franco, la Bns ha confermato la soglia di cambio con l’euro a 1,20 franchi, stabilita nel settembre scorso dopo le fiammate che avevano portato la valuta-rifugio elvetica sino ad un rapporto di 1 a 1. L’istituto ha ribadito di essere disposto ad acquistare divise in misura illimitata per far rispettare questo livello. Il tasso d’interesse di riferimento sul franco rimane invariato: la fascia di fluttuazione del Libor a tre mesi resta allo 0,0-0,25%. La Bns ha già acquistato ingenti quantità di euro per fermare il franco ed è disposta ad altri acquisti. Se questo non bastasse per tenere almeno l’1,20, Berna farà qualcos’altro. Thomas Jordan ha riaffermato che in caso di necessità l’istituto è disposto a prendere ulteriori provvedimenti. Nelle scorse settimane vi erano state voci anche su misure di freno, su tassi negativi per i capitali investiti in franchi, ma non vi è stata sin qui nessuna conferma ufficiale a questo riguardo.