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 2012  giugno 16 Sabato calendario

Con eleganza zen l’uomo può battere l’oceano - «Nelle civiltà senza imbarcazioni i sogni si prosciugano»

Con eleganza zen l’uomo può battere l’oceano - «Nelle civiltà senza imbarcazioni i sogni si prosciugano». Così, con toni un po’ tribunizi, Michel Foucault. Senza navigazioni, con i sogni si prosciuga ben altro: il concetto di sfida avventurosa che è il vero motore dell’evoluzione umana e di cui è campione l’Ulisse dantesco; il fitto intreccio di scambi e incroci su cui prosperano le civiltà; la stessa storia dell’Europa; il romanzo delle esplorazioni e delle scoperte dai Vichinghi a Colombo, da Vasco de Gama al capitano Cook; il formidabile catalogo di metafore e allegorie che il mare offre agli uomini, da Omero a Chatwin. Senza il mare, la grande letteratura sarebbe assai più povera. Per Baudelaire, l’uomo libero contempla la sua anima «nel volgersi infinito dell’onda che rotola». Per Melville, «la meditazione e l’acqua sono unite in matrimonio per sempre». Per Hugo il mare «è l’appagamento dell’ anima attraverso la meraviglia». Per Céline i vascelli a vela sono l’emblema stesso della libertà e del riscatto. Per Auden «il mare è quello stato di vaghezza e di disordine barbarici da cui è emersa la civiltà». In realtà le civiltà trovano il loro fondamento in una osservazione del mare tutt’altro che disordinata, cioè in una sia pure rudimentale semiologia degli elementi naturali e della conformazione geografica delle terre emerse: lo studio dei venti e delle correnti, la dislocazione delle coste che consente di navigare il Mediterraneo con la pratica prudente del cabotaggio. Sono stati scritti sul mare capitoli cruciali della storia delle tecniche, dalla bussola al vapore e all’uso del ferro nelle costruzioni navali. Gli incontri-scontri tra etnie diverse affacciate sulle stesse acque spiegano guerre e commerci, svelano mentalità collettive, culture materiali e stili di vita, strategie e visioni del mondo (Cina e Giappone che rinunciano scientemente ad espandersi sugli oceani per meglio tutelare la propria identità). L’arte della navigazione ha numerose ricadute lessicali in ogni lingua. L’equipaggio di una nave è, da sempre, un microcosmo assai composito (i quattro ramponieri del Pequod sono di razze tutte diver- se) che ha molto da dire all’antropologo. Per il comandante Conrad esiste un’estetica dell’ agire di gruppo (la fiducia che deve legare capitano ed equipaggio) che è anche una questione morale, una faccenda di etica applicata… In un pianeta occupato per larga parte dalle acque, fare storia del mare significa fare storia degli uomini, all’incrocio tra discipline diverse, tutte rilevanti. Significa comparare dei punti di vista: quello degli occidentali, che raccontando le loro esplorazioni parlano soprattutto di sé dedicando all’altro un’attenzione tutto sommato marginale; o quello di certe popolazioni indigene come i Maori che, affidando alla tradizione orale i loro miti di fondazione, finiscono per ritrovarsi in una condizione di minorità, di marginalità storiografica. John Mack, professore di storia dell’arte comparata all’ Università di East Anglia, già direttore del Museo dell’Uomo al British Museum, sceglie di non scegliere troppo. Ha una predilezione dichiarata per l’approccio antropologico, ma si concede incursioni flemmatiche nelle lettere, nelle arti e nelle tecniche. Affronta l’immensa materia con gradevoli divagazioni rapsodiche che stimolano l’approfondimento. Le pagine più suggestive e partecipate sono quelle in cui racconta come i navigatori del Pacifico sulle loro esili piroghe riescano a orientarsi senza il sussidio di strumenti tecnici, «sentendo» il mare con la specialissima sensibilità di tutto il corpo, decifrando la forza e la direzione delle onde, la tonalità che la luce assume in prossimità della terra, il volo degli uccelli, i movimenti delle stelle. Una raffinatissima, rarefatta arte interpretativa di eleganza zen, con cui i piccoli uomini qualche volta riescono a battere persino gli oceani. In fondo anche Ulisse era uno di loro.