MARCO BARDAZZI, La Stampa 16/6/2012, 16 giugno 2012
“Con Twitter e Wikileaks il presidente sarebbe caduto in appena quindici giorni” - Twitter è più efficace di Gola Profonda, Google è imbattibile per «seguire i soldi» e con Wikileaks i segreti dei nastri registrati di Nixon avrebbero avuto vita brevissima
“Con Twitter e Wikileaks il presidente sarebbe caduto in appena quindici giorni” - Twitter è più efficace di Gola Profonda, Google è imbattibile per «seguire i soldi» e con Wikileaks i segreti dei nastri registrati di Nixon avrebbero avuto vita brevissima. Nell’era digitale, la Casa Bianca potrebbe reggere a uno scandalo Watergate 2.0 al massimo due settimane, non certo i due anni che furono necessari a far dimettere il presidente. Almeno, questo è quello che pensano le nuove leve del giornalismo americano, la prima generazione di aspiranti reporter dagli anni ’70 a oggi a non mostrare timore reverenziale per Bob Woodward e Carl Bernstein. E a scoprirlo sono stati proprio i due ex cronisti del «Washington Post». Agli studenti di giornalismo di Yale, l’università dove si è laureato lo stesso Woodward, questo semestre è stato chiesto di ricostruire l’inchiesta Watergate. A fine corso, ognuno di loro ha redatto un breve saggio indicando come avrebbe svolto con gli strumenti del 2012 il lavoro fatto dalla coppia Bob&Carl. «Quando ho letto quello che hanno scritto, sono stato a un passo da un aneurisma», ha confessato Woodward, raccontando l’aneddoto seduto a fianco di Bernstein (che annuiva gravemente) sul palco di una conferenza nostalgica a Washington dedicata al giornalismo nell’era del Watergate. «Uno degli studenti - ha spiegato il veterano degli scoop - ha affermato una cosa del tipo: “Mah, vediamo, sarei andato su Internet, avrei digitato le parole ‘fondi segreti di Nixon’ e avrei trovato quello che serviva”. C’è questa idea che il web sia una lanterna magica che illumina tutto. Si sta dimenticando un dato di fatto fondamentale: Internet può aiutare, ma la verità di ciò che accade non sta di casa sul web. La verità appartiene alle persone, alle fonti umane». Gli elementi per lo scontro generazionale ci sono tutti. Gli studenti hanno ribattuto, sul sito del campus, che quella di Woodward/Bernstein è la visione di chi non capisce le potenzialità della Rete. «Non si rendono conto che oggi saremmo in grado di svelare in un attimo anche l’identità di Gola Profonda», hanno ironizzato, mettendo di nuovo a dura prova le arterie del settantenne Woodward, che ha protetto per tre decenni il nome di Mark Felt. Per i ragazzi di Yale il giornalismo è sempre più un’esperienza collettiva basata sulla Rete. Lo scenario in cui si vedono immersi è quello dipinto dai guru del momento nel dibattito negli Usa sul futuro delle news: da Clay Shirky a Jeff Jarvis, da Jay Rosen a Dan Gillmor. Sono le voci che spingono perché si affermi l’idea che i network sono più importanti di qualsiasi «istituzione» come Washington Post o New York Times. Sono i teorici dell’esigenza di aver fede nella saggezza della folla e nel lavoro condiviso di caccia alle notizie (crowdsourcing). É il modello che privilegia il «citizen journalism» su quello professionale, il giornalismo come costante «conversazione». Per loro, non c’è niente di mitico nella misteriosa Gola Profonda che in un garage di Washington sussurrava a Woodward: «Segui i soldi». Ma altri guru come Ken Doctor o Dean Starkman, pur mantenendo l’entusiasmo per l’era digitale, esortano alla cautela: «Attenti, stiamo creando un modello di giornalismo che non ha né il metodo, né i mezzi economici per permettersi i livelli di qualità e verifica delle fonti che hanno portato al Watergate». Dall’altra parte della barricata, la vecchia guardia lancia allarmi. L’ex direttore del «Washington Post» Leonard Downie Jr. ritiene che il giornalismo investigativo sia gravemente a rischio. Iniziative nonprofit o alimentate dal filantropismo, come ProPublica o Voice of San Diego, stentano a decollare e non sembrano avere le capacità di reggere un confronto con i poteri del governo nel caso di scoop come il Watergate. E non appare semplice trasferire all’autogestione della Rete quel ruolo di guardiano della democrazia che l’America ha sempre assegnato ai suoi giornali. I futuri reporter di Yale però non se ne preoccupano. Sanno che il Watergate del XXI secolo non sarà in ogni caso una storia di scassinatori di serrature: stavolta è più probabile si tratti di un’irruzione di hackers.