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 2012  giugno 15 Venerdì calendario

Ecco chi andremmo ad aiutare in Siria - Una foto vale mille parole. La frase sarà anche abusata,ma basta un’occhiata a que­st’immagine per capire come uno scatto possa spiegare la realtà meglio di tanti arti­coli

Ecco chi andremmo ad aiutare in Siria - Una foto vale mille parole. La frase sarà anche abusata,ma basta un’occhiata a que­st’immagine per capire come uno scatto possa spiegare la realtà meglio di tanti arti­coli. Guardate questi manifestanti, parago­nateli a quelli di un anno fa in piazza Tahrir al Cairo. C’erano ragazzini, padri di fami­glia, donne, studenti. Gli abiti erano quelli d’ogni giorno, i volti erano arrabbiati, ma non trasudavano odio. Nelle loro movenze non percepivi violenza e fanatismo. Guar­date quest’istantanea. I volti sono tutti co­perti. I tamburi, percossi con foga, danno l’impressione di una marcia militare più che di un corteo. Il mosso delle braccia, il vi­gore delle mani strette intorno ai battagli re­galano l’impressione di un ritmo ipnotico, trascinante studiato per ipnotizzare una fol­la travisata ed eccitata. Anche il travisamen­to regala sensazioni inquietanti. Non è la ke­fi­a tenuta un po’più avvolta e serrata per co­prire il volto, non è il foulard tirato fin sotto gli occhi. Il travisamento, giustificato dalla necessità di sfuggire agli sgherri del regime, è più studiato, più organizzato. I passamontagna, tutti uguali nella fog­gia, suggeriscono un’organizzazione mol­to più militarizzata di quella di Piazza Tahrir. Poi c’è la simbologia, più o meno su­bliminale. Le fascette intorno alla fronte esi­biscono solo i colori della bandiera siriana antecedente alla presa di potere del partito Baath e del clan degli Assad. Ma quella fa­scia alla fronte richiama anche le bandane con i versetti del Corano esibiti dai kamika­ze del terrore fondamentalista. Certo la simbologia fa la differenza, ma non dimentichiamo che anche i jihadisti li­bici rinunciarono, all’inizio della rivolta an­ti Gheddafi, alle proprie insegne per dissi­mularsi sotto i colori della vecchia bandie­ra libica di re Idris. Quel ritorno al passato, serviva per far scordare all’Occidente qual­siasi suggestione religiosa. A studiarlo era­no stati i vertici dei Fratelli Musulmani in esilio nel Qatar, l’emirato che attraverso Al Jazeera, i propri soldi, le proprie armi e le proprie forze speciali determinò la caduta del rais libico. Qui la regia non cambia. I vertici e i gangli del Syrian National Council, l’organizzazione che guida la rivol­ta e adotta come simbolo la bandiera pre baathista, sono control­lati dai Fratelli Musulma­ni. L’appoggio interna­zionale è invece equa­mente ripartito tra Qa­tar, Arabia Saudita e Tur­chia. Da questi tre Paesi arrivano i soldi e le armi che hanno trasformato i rivoltosi in un esercito in­surrezionale capace og­gi di sferrare attacchi an­che nel cuore di Dama­sco. Il simbolo sublimi­nale più inquietante di questa manifestazione è però quella sciabola sguainata agitata da un manifestante in terza fila. Quella scimitar­ra inutile nell’economia di una rivolta com­battuta a colpi di bombe, kalashnikov e ar­mi anti-carro ha un ruolo fondamentale nell’ideologia jihadista. La scimitarra, saif, in arabo, disegnata nella bandiera saudita sotto la shahada, la dichiarazione di fede in Allah, simboleggia la necessità di usarla per difendere l’Islam. E la doppia «saif» incrociata compare in tut­te le bandiere jihadiste. Ma sayfo, il termine assiro da cui deriva la parola araba saif, ri­chiama anche il massacro delle popolazio­ni cristiano assire perpetrato in Siria e Me­dio Oriente dall’impero turco ottomano du­rante la prima guerra mondiale. Ecco perché quella scimitarra sguainata fa paura.Ecco perché quell’immagine di di­mostranti mascherati non evoca Piazza Tahrir, ma le sfilate clandestine di Al Qaida nell’Iraq del dopo Saddam.