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 2012  giugno 14 Giovedì calendario

Il piccolo benefattore che con le sue paghette aiuta l’ospedale somalo - Se un giorno a qualcuno capi­tasse mai di passare per Galkayo, Somalia, dove l’Africa è profondamente Africa, nelle sue bellezze e nelle sue po­vertà, proprio in questo remoto angolo di terzo mondo potrebbe sentir parlare di un ragazzino ita­liano, lì venerato come anima grande e cuore generoso

Il piccolo benefattore che con le sue paghette aiuta l’ospedale somalo - Se un giorno a qualcuno capi­tasse mai di passare per Galkayo, Somalia, dove l’Africa è profondamente Africa, nelle sue bellezze e nelle sue po­vertà, proprio in questo remoto angolo di terzo mondo potrebbe sentir parlare di un ragazzino ita­liano, lì venerato come anima grande e cuore generoso. Il suo no­me, con foto, sta scritto in bei ca­ratteri all’entrata dell’ospedale, reparto pediatria: Andrea Raviz­za, Ambassador of good will, Am­basciatore della buona volontà. A dodici anni è già un benemerito. Quel reparto, oggi un modello di ordi­ne e di efficienza, con i suoi letti e i suoi serramenti e i suoi infissi nuovi, gliel’hanno intito­lato i valorosi me­dici del posto, co­me gesto minimo di eterna ricono­scenza. Forse sarà pure vero che la gratitudine non è di questo mondo, ma in quello im­menso e disastra­to degli ultimi, do­ve un­euro è tantis­simo e la sensibili­tà è tutto, il prover­bio salta, diventa cretino, non regge più: laggiù, nel cuore della Soma­lia, tanti bambini malati, le loro fa­miglie, i loro medi­ci, tutti sanno benissimo a chi dire grazie. Nessuno dimenticherà mai quel nome, scritto all’entrata dell’ospedale, il nome dello sco­nosciuto ragazzino italiano, che da sei anni rinuncia a tutto il suo superfluo per regalare a loro il ne­cessario. Questa vicenda merita di uscire dall’anonimato delle piccole co­se di provincia perché è una gran­de storia di rottura. Di rottura e di ribellione. Andrea ha solo dodici anni e vive a Stezzano, paesone ap­poggiato a Bergamo, ma con le sue scelte è già uno splendido anti­conformista della vita: all’età dei vizi e dei videogiochi, lui pensa ad altro. Agli altri. Da quando ha co­minciato a capirci qualcosa, ave­va più o meno sei anni, non c’è ver­so di dargli paghette e mance, o di fargli regali per il Natale e per il compleanno. Attraverso i raccon­ti del papà, viaggiatore in Soma­lia, rimbalzava in casa il richiamo assordante di quella realtà sventu­rata: così piccolo, ma già capace di certe domande, Andrea ha subi­to risposto, dimostrando che l’idea di grande uomo non è mai le­gata all’età. Deciso come un misti­co, generoso come un fratello, ha sempre chiesto al papà Vinicio e alla mamma Luciana di converti­re i bonus personali in versamenti internazionali, destinazione So­malia, regione di Puntland, città di Galkayo, reparto pediatria. Nell’arco di questi sei anni, il giovane mecenate di Stezzano ha mandato seimila euro. Molti san­no, tutti possono immaginare, che razza di potere d’acquisto si porti dietro questa somma in cer­te regioni del pianeta Terra. Oggi l’ospedale di Galkayo può orgo­gliosamente vantare un reparto modello di pediatria: letti moder­ni, infissi in alluminio, tutte le por­te e tutte le finestre hanno persino i vetri, pregio che quasi nessun ospedale della zona riesce a per­mettersi. Ovviamente non è finita qui. An­drea sta crescendo, ma non cam­bia i sogni. Di professione fre­quenta la prima media, ma nel tempo che resta si batte per i suoi amici sconosciuti di Somalia. Ci mette di tasca sua e cerca di smuo­vere anche le coscienze di chi gli sta vicino, magari con sguardo ca­tatonico davanti a Facebook. Ha parecchi progetti in testa, questo piccolo grande ribelle, che si bat­te contro le miserie dei più disgra­ziati e contro gli stereotipi della sua età. Laggiù tutti lo sanno. La gratitudine non è di questo mon­do, ma è di quello. Giorni fa sono pure saliti di persona, proprio a Stezzano, per manifestargliela in pubblica cerimonia. C’era anche il sindaco, quella mattina, nella scuola media. E i professori, e i compagni, e i parenti. Tutti lì ad ascoltare le parole commoventi di Mohamed Jama Salad, neuro­chirurgo dell’ospedale adottato da Andrea, nonché il discorso uffi­ciale di Ali Abdullahi Warsame, ministro regionale della Salute. Non tutto è risultato chiarissimo, ma molto chiare, come scolpite su pietra eterna, sono suonate le parole «Mahadasanid Andrea». Sono le parole più semplici e più vere di sempre, le uniche impor­tanti ed essenziali, le sole capaci di dire tutto: «Grazie Andrea». È partito qualche applauso ed è caduta qualche giusta lacrima. Poi il medico e il ministro hanno conferito al benefattore la solen­ne onorificenza, a nome dei picco­li amici che non lo conoscono, se non per il nome inciso sulla targa, all’ingresso dell’ospedale: «Am­bassador of good will », ambascia­tore della buona volontà. Con il suo sorriso buono e pacioccone, Andrea ha ringraziato, emozio­nandosi un po’. Ma il giusto, sen­za esagerare. Tutti quanti gli han­no letto negli occhi la solita idea, ben precisa: questo è solo l’inizio, c’è ancora molto da lavorare.