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 2012  giugno 16 Sabato calendario

“APOCALYPSE MURDOCH” DI GLAUCO BENIGNI, 18° PUNTATA - DA PAPERONE A PAPERINO: IL 1990 È L’ANNO PIÙ NERO DI MURDOCH - 150 CREDITORI, E IL DEBITO DI “SKY TV” TOCCA I 150 MLD DI LIRE - DOPO IL FALLIMENTO DI ALAN BOND, ROBERT CAMPEAU E DONALD TRUMP, CHE ERANO RIUSCITI A NAVIGARE MAGISTRALMENTE NEI DEBITI, PER LO SQUALO (E PER LE BANCHE SUE CREDITRICI) È ALLARME ROSSO…


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RUPERT MURDOCH CON IL SUN A TRENTATRE ANNI DI DISTANZARUPERT MURDOCH CON IL SUN A TRENTATRE ANNI DI DISTANZA


NEL LABIRINTO DI CONTI E DEBITI...
L’annus horribilis di Rupert Keith Murdoch comincia nel febbraio del 1990 e si conclude nel febbraio del 1991. Alla Casa Bianca c’è George Bush sr., a Downing Street la Thatcher passa il testimone a John Major. È senza dubbio il periodo più nero di tutta la vita del nostro tycoon, il cuore del suo nono settennato di vita: la fase cruciale in cui la sua radiosa immagine di Paperon de’ Paperoni trasmuta in quella di Paperino.

È un anno in cui il Padrone dei media si arrocca nel labirinto dei suoi conti, all’interno del castello di carta dei suoi bilanci annuali, mentre alle porte lo assediano i creditori: 150 tra banche e società d’assicurazioni. Povero Murdoch ! Le prime rughe, sul suo volto di cinquantanovenne ben tenuto, appaiono alla vista dei bilanci di Sky Tv.

Il bouquet di canali, guanto di sfida gettato alla televisione analogica terrestre nel Regno Unito, chiude il secondo semestre del 1989 con un deficit di 150 miliardi di vecchie lire. «Se le perdite dovessero continuare a questo ritmo la situazione diventerebbe presto insostenibile», gli dicono i suoi direttori delle finanze. E Murdoch annuisce. Lo sa bene.
RUPERT MURDOCHRUPERT MURDOCH

La primavera e gli inizi dell’estate, nelle varie sedi della News Corp. sparse nel mondo, passano tra tumultuose comunicazioni e batticuori. I nuovi apparati telefax aiutano, ma non più di tanto. In agosto non ci sono più dubbi: il rapporto tra indebitamento totale e valore complessivo del capitale di Murdoch è 110/100, il massimo consentito dagli accordi con i creditori.

Suona l’allarme rosso. In quel periodo sono già saltati per aria alcuni grandissimi genii del debito: gli Houdini, che erano stati in grado di districarsi da qualsiasi stretto groviglio di impegni a pagare, cominciano ad affogare nel fiume di cifre in cui si erano spettacolarmente gettati. Tra questi figurano alcuni "principi del vivere in rosso": Alan Bond, Robert Campeau e Donald Trump. Potrebbe accadere anche a Murdoch ? Perche’ no?

IL MERCATO DEI DEBITI
I decenni Settanta e Ottanta avevano generato una quantità di cambiamenti fondamentali - sia nella finanza sia nel settore degli investimenti - maggiori di qualsiasi altro periodo, inclusa la Grande Depressione. Tali mutamenti avevano introdotto riforme strutturali nell’economia e nelle Borse. La deregulation, la revisione del sistema fiscale, la globalizzazione dei mercati e, soprattutto, il largo uso dei computer e delle tecnologie di comunicazione, avevano alterato il mondo del denaro in modi che coinvolgevano chiunque.

Con la simultaneità delle trattative si generava sia maggiore semplicità sia maggiore complessità nell’universo finanziario e ciò aveva reso possibili forme di transazione e metodi di rischio senza precedenti. Il cosidetto «May Day» del mercato azionistico (1 maggio 1975) e il Depository Institutions Deregulation and Monetary Control Act (1980), avevano iniziato un’era di deregulation e diversificazione per le industrie bancarie e del brokeraggio che era sfociata nella grande offerta di nuovi prestiti e strumenti finanziari.
RUPERT E WENDI DENG MURDOCHRUPERT E WENDI DENG MURDOCH

Quattro tappe fondamentali - il Tax Reform Act (1976), l’Economic Recovery Tax Act (1981), il Tax Equity and Fiscal Responsibility Act (1982) e il nuovo Tax Reform Act (1984) - avevano sostanzialmente modificato il modo in cui sia gli individui che le società gestivano le loro risorse finanziarie. Su scala mondiale, dopo gli eventi traumatici dell’aumento del prezzo del petrolio e dell’inflazione a due cifre, l’economia mondiale si era scoperta più interdipendente che mai.

Il risultato era stato una vasta opportunità di investimenti creata dalle società che agivano nel mercato del debito e delle azioni ordinarie. Si era inoltre costruito un mercato molto «creativo» costituito dagli acquisti e fusioni delle corporations, nel quale si rinvenivano veloci e facili guadagni.

Tutti gli Houdini del debito/investimento avevano vissuto gli anni Ottanta come gli anni della cornucopia finanziaria. La locomotiva economica occidentale, mossa dall’instancabile tandem Reagan-Thatcher, sbuffava ma tirava. Le banche concedevano prestiti in allegria, era il loro lavoro. I grandi alfieri del libero mercato utilizzavano il denaro altrui per acquisizioni e spericolati investimenti, era il loro lavoro.
RUPERT E WENDI MURDOCH CON LE FIGLIERUPERT E WENDI MURDOCH CON LE FIGLIE

La formula era per tutti la stessa: rivalutare i propri assetts dopo abili make-up di bilancio, darli in garanzia, ottenere denaro e linee di credito per nuovi acquisti, pompare investimenti nei nuovi progetti e soprattutto tralasciare di aumentare i dividendi nelle vecchie imprese. Gli affari andavano bene, la bandiera dei profitti garriva al vento della Storia, i debitori restituivano più o meno puntualmente, le banche erano soddisfatte e tutto filava per il meglio. Ma ora l’incertezza è alle porte e si fanno i conti in tasca a tutti.

Per Murdoch l’appuntamento con la verità è il 23 agosto 1990. In quella data annuncia i risultati dell’anno (conclusosi il 30 giugno): gli utili dopo le tasse sono la metà di quello precedente e il debito totale è aumentato di 1 miliardo di dollari australiani, fino a raggiungere i 10,4 (equivalenti a circa 10.000 miliardi di vecchie lire). Una situazione paragonabile all’indebitamento di una nazione come l’Ecuador, peggiore se si considera che i debiti «a breve», cioè in scadenza nei futuri dodici mesi, sono aumentati di quasi sei volte e ammontano a circa 3 miliardi di dollari australiani.

Un tremito corre lungo la spina dorsale dei banchieri di tutto il mondo. Già nel giugno del 1989, la News Corp. doveva 5,8 miliardi di dollari australiani alle banche, 1,8 ai detentori di bond e un altro 1,8 ai detentori di azioni privilegiate. In tutto 9,4 miliardi di dollari australiani. Da quel momento Murdoch ha cercato di correre ai ripari: ha venduto circa 1,2 miliardi di dollari australiani di assett, ma l’incasso è andato a sanare un debito equivalente contratto dalla sua casa editrice HarperCollins. Tutta colpa della «cultura», si dira’.
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Gli analisti della Anz McCaughan - che impastano e rimpastano i bilanci della News Corp. - rammentano che la Corporation ha generato più di 1,5 miliardi di dollari australiani nel periodo giugno 1989-giugno 1990, ma dopo aver pagato banche, tasse, dividendi, e aver investito in innovazioni tecnologiche nei giornali australiani e inglesi, è risultato un rosso di 450 milioni di dollari australiani. Quindi, alla fine, controvoglia, si ammette : il debito netto totale è di 10,4 miliardi di dollari australiani, vale a dire 9,4 miliardi di dollari americani. Tale debito sarà fatale se risulterà maggiore dell’assett totale della News Corp. o se genererà interessi tali da eroderlo in breve tempo.

La prima ipotesi comunque non è verosimile e la seconda appare attualmente improbabile: «Niente è impossibile , pero’», dicono gli analisti delle maggiori piazze d’affari, «visto lo sterminato puzzle di conti che riguardano la News Corp. e le sue consociate e possedute». Inoltre, a causa del fatto che la News Corp. è quotata in diverse Borse, si individua un contrasto latente tra le competenti Autorità americane e australiane: le prime sono più dure, mentre le seconde, che seguono le regole del Commonwealth, lo sono molto meno. Fortunatamente per Murdoch le convenzioni che regolano i suoi debiti fanno riferimento alle regole australiane.
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18/ Continua...“APOCALYPSE MURDOCH” DI GLAUCO BENIGNI, 19° PUNTATA - È L’ORA DI FARE I CONTI: MA QUANTO VALE DAVVERO L’IMPERO DI MURDOCH? È IN GRADO DI SALDARE I DEBITI? - IL FUTURO DELLO SQUALO È LEGATO ALL’UMORE DEI BANCHIERI: SE SOLO UNO DI LORO PERDE LA CALMA, È LA FINE - LUI CERCA DI RASSICURARLI: “NON COMPRO PIÙ NIENTE” - COMPRIME I COSTI, MA “SKY” È LA VERA SPINA NEL FIANCO - IL COLPO IN AUSTRALIA...

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RUPERT MURDOCH CON IL SUN A TRENTATRE ANNI DI DISTANZARUPERT MURDOCH CON IL SUN A TRENTATRE ANNI DI DISTANZA


"OK MURDOCH ... ORA FAI VEDERE I CONTI"...
Nell’autunno 1990 cominciano a circolare i primi dati pubblici sul valore delle proprietà News Corp., ed è la prima effettiva occasione in cui Murdoch è costretto a ad aprire i suoi cassetti più segreti. Lo fa a denti stretti, ma lo fa. Lo deve fare. Innanzitutto sventola sotto il naso dei suoi creditori la sua library di diritti: libri, programmi tv, film, ai quali vanno aggiunte tutte le licenze Tv che possiede.

Sono circa 9 miliardi di dollari australiani, che dovrebbero generare una rivalutazione di un altro miliardo e mezzo nel prossimo anno. Negli ambienti finanziari lo osservano un po’ freddini: OK i diritti sono ‘beni’, ma un po’ «virtuali». Alla Fox allora fanno i conti velocemente: gli Studios, piu’ i canali Tv, piu’ le emittenti possedute... sono altri 6 miliardi di dollari australiani. O no?
RUPERT E WENDI DENG MURDOCHRUPERT E WENDI DENG MURDOCH

Qualcuno fa notare che, a fronte di un calo dei profitti del 50%, segno di una profonda crisi del mercato, queste valutazioni valgono poco, sono just accounting gimmickry (‘trucchetti di contabilità’), li definisce l’«Economist». Il problema resta. Quanto vale la News Corp.?
Anche lo scenario di riferimento è molto nebbioso: la recente flessione della pubblicità sta ridisegnando i valori dell’industria mediatica. Due anni prima Murdoch ha pagato 2,8 miliardi di dollari per la Triangle Publications ed è entrato in possesso della «Tv Guide», il maggiore settimanale di informazione sui programmi Tv in Usa, che tira milioni e milioni di copie a ogni uscita. Ma attualmente non vale più di 2 miliardi di dollari. E se continua così?
RUPERT MURDOCHRUPERT MURDOCH

In ogni caso, nella provincia britannica figurano un paio di gioielli: «The Sun» e «The Times». Se Murdoch vendesse i giornali inglesi porterebbe a casa probabilmente 5 miliardi di dollari australiani. Quindi? Quindi OK, l’assett copre l’indebitamento, ma...
Murdoch ha un altro fortissimo mal di pancia. Gli è provocato dai debiti a breve termine. Ai ‘cagnacci’ della Securities and Exchange Commission americana risulta che in meno di un anno deve restituire 2 miliardi di dollari australiani (l’anno precedente erano solo 500 milioni).

La gran parte di questo debito può essere rinegoziato, ma qualche banchiere più nervoso di altri potrebbe chiedere l’estinzione nei tempi stabiliti, innescando un effetto domino catastrofico. In sostanza, fin quando tutti mantengono la calma va bene, ma se qualcuno rivuole i soldi, costringe tutti gli altri a saltare alla giugulare di Murdoch.

Che guaio. Eppure RKM ha sempre avuto un buon rapporto con i suoi banchieri: li incontra regolarmente e ha convinto quasi ognuno di loro a nominare un responsabile dedicato alle relazioni con la News Corp. «Va bene, fratelli, non compro più niente», sembra abbia detto in molti di questi incontri, «anzi, comincio a vendere dei pezzi». E promette che nel prossimo anno raddoppierà i profitti. «Abbiamo la pentola», dice in quei giorni ai giornalisti, «adesso ci dobbiamo mettere dentro un po’ di ciccia».
RUPERT E WENDI MURDOCH CON LE FIGLIERUPERT E WENDI MURDOCH CON LE FIGLIE

Lo sostiene anche un piccolo colpo di fortuna: la Mgm/Ua Communications rifiuta la sua offerta da 1,3 miliardi di dollari. «State tranquilli, state tranquilli, non compro più niente. Lo shopping è finito». È il mondo però che non è tranquillo in queste settimane. Saddam ha invaso il Kuwait, Bush sr. si prepara ad attaccarlo e se le cose vanno per le lunghe gli interessi andranno alle stelle.

Agli inizi di ottobre Murdoch comincia a dare i primi segnali del nuovo corso. Non vende ma «comprime» i costi, iniziando dall’Australia. Quattro quotidiani del mattino e della sera vengono fusi in due: a Melbourne il «The Sun News Pictorial» confluisce nell’«Herald» per dar vita al «The Herald Sun», mentre a Sydney il «The Daily Telegraph» e il «Daily Mirror» si uniscono e nasce il «The Daily Telegraph Mirror». Sembrano solo manovre di piccolo cabotaggio, segnali di inversione di rotta in attesa delle rivelazioni che tutti aspettano il mese prossimo, quando ci sarà l’assemblea annuale della News Corp. ad Adelaide.

«È tempo di grandi decisioni», rassicura Murdoch in un’intervista Tv, «bisogna fronteggiare i cambiamenti quando avvengono. Se non si fa ci possono essere problemi più seri». Nel frattempo la situazione si sta aggravando in Inghilterra, dove un emendamento al Broadcasting Bill potrebbe costringere Murdoch a ridurre la sua quota in Sky al 20% entro la fine del 1992, e ciò significherebbe la chiusura. Con l’andar del tempo Sky appare essere la vera spina nel fianco. I suoi costi di lancio, quasi 100 milioni di sterline, hanno dissanguato l’intero gruppo, ma sono soprattutto le sue perdite settimanali, 2 milioni di sterline, che terrorizzano gli investitori e i creditori.
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Dall’annuncio dei risultati di bilancio si è alzata un’ondata di vendite delle azioni del gruppo, soprattutto sul mercato australiano. A Sydney il titolo ha toccato il livello più basso degli ultimi quattordici anni, bruciando 2 miliardi di sterline. Nel giro di due settimane ha perso un quarto del proprio valore e in meno di un anno si è dimezzato. A preoccupare il mercato australiano è anche il progetto di Murdoch di emettere azioni speciali senza diritto di voto.

Tali azioni servirebbero a raccogliere capitale in una data futura, senza modificare pero’ il controllo della famiglia, che possiede ( a quel tempo) il 44%. Ciò non piace e oltretutto esiste un veto della Borsa australiana a simili operazioni. Ma Murdoch insiste e minaccia di abbandonare Sydney e trasferire tutto su Londra e New York, dove peraltro è già quotato.

Lo scontro con le Autorità australiane potrebbe costargli molto caro. Il Governo laburista ha chiuso un occhio sul fatto che Murdoch possiede il 65% dei media della nazione, pur essendo ormai cittadino americano dal 1985, ma a dicembre, sollecitato dalle Autorita’ di Borsa, potrebbe sollevare la questione. I pareri degli analisti sono inevitabilmente discordanti.
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«La ristrutturazione della divisione tipografica», dice George Sutton della Barclays de Zoete Wedd Australia, «dovrebbe consentire al gruppo di trovarsi in una posizione di forza dalla quale beneficiare di qualsiasi miglioramento del clima economico». Non sono d’accordo gli analisti della City londinese, dove si dice invece che «la pressione sul gruppo è destinata a crescere e non a diminuire. Ciò rende sempre meno probabile una riduzione del debito».

«Nell’immediato non possiamo far niente nel mercato azionario. Quello che possiamo fare è concentrarci sui profitti in tutti i nostri affari». In una affollatissima assemblea annuale, il 23 ottobre 1990 ad Adelaide, Murdoch cerca di rassicurare i 300 convenuti centrando il suo intervento sui progetti a medio termine, sull’assett che definisce of lasting and outstanding value (‘di durevole e eccezionale valore’) e sulla rinegoziazione del debito a lungo termine.

«Siamo abbastanza realisti da riconoscere i problemi quando nascono per trasformarli in opportunità [...].Le banche che ci prestano denaro sono sempre, e scrupolosamente informate, sullo stato e sui progressi delle operazioni. Altrimenti si sottrarrebbero». Cioè: se non si preoccupano loro, che hanno i conti sotto gli occhi, perché dovreste preoccuparvi voi?

In ogni caso Murdoch mette ai voti l’emissione di azioni senza diritto di voto, dopo aver comunicato di aver - inspiegabilmente - ottenuto il parere favorevole dell’Australian Stock Exchange e una sola voce, sebbene autorevole, si leva contro. È quella del rappresentante della Amp (Australian Mutual Provident), un partner istituzionale che possiede il 3%. Ma non basta. Rupert in sostanza vince il round in casa, tant’è che ottiene un effetto di dimensioni assolutamente insperate: il titolo, dopo i suoi commenti e dichiarazioni, fa un salto del 54% in un solo giorno, passando a 6,10 dollari australiani per azione.
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19/ Continua...

“APOCALYPSE MURDOCH” DI GLAUCO BENIGNI, 20° PUNTATA - CHIEDENDO TEMPO ALLE BANCHE, MURDOCH COMINCIA CON LE FUSIONI STRATEGICHE - MOODY’S LO DECLASSA NEGLI USA E IN AUSTRALIA IL SUO TITOLO PRECIPITA - ALLE PRESE CON I DEBITI, “IL GIOCATORE D’AZZARDO MURDOCH HA IMPARATO LA LEZIONE” - LA SOLUZIONE PUÒ ESSERE SOLO UNA: VENDERE QUASI TUTTI I SUOI GIORNALI NEGLI STATI UNITI E IL 55% DELLE IMPRESE TIPOGRAFICHE IN AUSTRALIA…

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TEMPO, DATEMI TEMPO...
Ottenuta una pacca sulle spalle dalla Casa Madre, Murdoch parte all’attacco in un roadshow intercontinentale. «Tempo, tempo, datemi tempo», chiede ai suoi banchieri e congegna con i due maggiori creditori, Midland e Citibank, un piano che prevede dismissioni di assett nei prossimi tre anni, comunque non relativi agli affari tradizionali (core business), per un valore di 1 miliardo di dollari.

Ai primi di novembre 1990 vive sulla rotta Londra-New York. Nella capitale britannica porta a casa l’adesione della Midland Bank Plc e intanto ottiene, dagli uffici di Manhattan, l’approvazione della Citibank N.A. L’agnello sacrificale non può che essere Sky Tv. Non la chiude, né tantomeno la vende, ma propone di fonderla presto con la rivale Bsb (British Satellite Broadcaster), che peraltro versa anch’essa in pessime condizioni (la fusione avverrà puntualmente il 26 novembre 1990). Basta? Non basta. Ci vuole per lo meno un’altra fusione in Inghilterra, sarà quella del giornale «Today» con il «Sunday Correspondent». Stavolta accetta addirittura di essere in minoranza, contravvenendo alla sua tradizione.
RUPERT E WENDI MURDOCH CON LE FIGLIERUPERT E WENDI MURDOCH CON LE FIGLIE

Per rasserenare i creditori, e ottenere la rinegoziazione del debito a tre anni, Murdoch comincia a parlare anche della vendita del suo 50% nella Ansett, la compagnia aerea che stabilisce i collegamenti interni in Australia. La decisione, precisa, dipende comunque dall’atteggiamento che assumerà il Governo di Sydney, occupato in questo periodo nella deregolamentazione del settore trasporto aereo. Non è ancora chiaro se tutti i creditori accetteranno il piano di Murdoch.

Qualcuno infatti potrebbe optare per il pagamento nei tempi dovuti e ciò costringerebbe gli altri, che accettano il sostegno al piano, ad aumentare la propria esposizione. Circa il 40% dell’intero debito è nelle mani di alcuni Istituti, tra cui, oltre alle già menzionate Midland e Citibank, figurano le australiane Westpac Banking Corp. e Commonwealth Banking Corp., l’americana Security Pacific Corp. e l’inglese Lloyds Bank Plc.

Il rimanente 60% è diffuso tra un altro centinaio di banche e tra queste appare importante il ruolo che potrebbe svolgere la Deutsche Bank. Se le banche aderiranno al piano, Murdoch otterrà in effetti un anno di respiro per cercare di fare profitti, tagliare le spese e vendere qualche ramo che forse, fra l’altro, non gli interessa più. Il tutto nella speranza che migliori il clima economico in America e in Inghilterra, i suoi maggiori mercati.
Rupert MurdochRupert Murdoch

Alla fine di novembre «Variety» pubblica una strana ipotesi: Murdoch vuole vendere tutte le operazioni targate Fox, perché gli stranieri non hanno fortuna negli Stati Uniti. Sembrerebbe anche, stando al settimanale dello show business, che una delle banche d’affari newyorkesi di spicco, la Wer¬theim Schroder and Co., sia stata incaricata di calcolare il valore delle imprese Fox. L’ipotesi cadrà nel nulla, di vero invece c’è il fatto che la potente Moody’s ha declassato Murdoch in America, il che significa condizioni più costose per rinegoziare i suoi debiti.

Verso la fine di dicembre la News Corp. accusa un altro colpo in Australia. A seguito del suo braccio di ferro con le Autorità di Borsa e di un programma tv: Murdoch’s Empire (un’inchiesta confezionata dai suoi rivali di Channel 4 che esprime valutazioni piuttosto negative sull’Impero Murdoch) il titolo riscende ai minimi degli ultimi cinque anni. Rupert reagisce rincuorando: «Siamo contenti dei progressi per la rinegoziazione di gran parte del nostro debito», dichiara alla stampa, «la maggior parte delle banche e degli altri creditori si sono già accordati sui nuovi tempi di pagamento».
RUPERT MURDOCHRUPERT MURDOCH

C’è da notare che in questa, come in mille altre occasioni, Murdoch - e chi non lo farebbe? - usa le proprie testate per rilasciare importanti dichiarazioni, facendo contemporaneamente notizia e opinione e costringendo le altre fonti di informazioni a seguire la sua linea strategica.

A Londra si comincia a parlare della data del rescheduling (modifica dei tempi di restituzione del debito), che sarebbe fissata ai primi di gennaio. La fusione Sky-Bsb comincia a sortire i primi effetti nella City: di fatto sono 200 milioni di dollari l’anno risparmiati. Qualche banca minore però mostra perplessità. Si teme che il negoziato finale slitti troppo in là. Un elemento decisivo sembra essere l’inserimento di condizioni restrittive, che impediscano a Murdoch di acquisire nuove proprietà e lo costringano invece a potenziare le imprese esistenti.

Murdoch non rilascia interviste da diverse settimane, al suo posto parla Stanley Shuman, vicepresidente della Allen & Co., ex-advisor e membro del Consiglio d’Amministrazione di News Corp.: «Chiunque ha avuto successo sarebbe frustrato dal fatto di avere le mani legate, ma lui ha già tanto da fare con quello che ha».

La ristrutturazione del debito riguarda un totale di 8,1 miliardi di dollari. In assenza di accordi News Corp. si scontrerebbe contro un muro da 2,4 miliardi di dollari già alla fine del successivo anno fiscale, il 30 giugno 1991. Un ulteriore 1,2 miliardi di dollari la attende a giugno ’92, e infine un bel 3 miliardi di dollari a giugno ’93.
RUPERT MURDOCHRUPERT MURDOCH

L’ultima settimana di dicembre la questione «debiti di Murdoch» compare spesso sui grandi giornali economico-finanziari. Secondo Raymond Snoddy del «Financial Times»(FT): «È abbastanza chiaro che Murdoch, che è stato sempre un giocatore d’azzardo, stavolta ha imparato una severa lezione». Comunque, continua Snoddy citando fonti bancarie: «È evidente, dai conti della società, che non è in grado di generare un flusso di denaro adeguato nell’anno fiscale 1991», ma «molte banche si rendono conto di non avere altra scelta che quella di sostenerlo.

Nel corso di una vendita forzata il valore crollerebbe, a discapito dei creditori. È dunque imperativo che l’operatività del gruppo sia mantenuta. In ogni caso il prezzo da pagare per il rifinanziamento sarà alto». Secondo alcuni banchieri e il top management di News Corp. l’accordo c’è, tant’è che Murdoch se ne sta ad Aspen, in Colorado, a sciare.

Le fonti fanno sapere che la promessa di Murdoch è quella di ridurre il debito di 2 miliardi di dollari e circola anche la lista degli assett da vendere. Si conferma la cessione del 50% della Ansett, alla quale si aggiungono: il «Daily Racing Form», un quotidiano americano sulle corse automobilistiche, alcune tipografie australiane, la Delux Labs e una serie di altre società. Ancora, «FT» annuncia il 3 gennaio che l’accordo per la ri¬strutturazione del debito, previsto per la fine del mese «si sta rivelando tra i più complicati mai visti. La transazione più simile alla quale abbiamo assistito è quella operata dal Brasile nei primi anni Ottanta».
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Nessuno sa quanto la Prima Guerra del Golfo abbia influenzato la trattativa e la chiusura definitiva dell’accordo. Fatto sta che le ultime firme si appongono sui documenti proprio nelle settimane in cui Bush sr., che ha sferrato l’attacco il 17 gennaio 1991, bombarda chirurgicamente l’Iraq. Agli inizi di febbraio si rende pubblico che le 150 banche, grandi, medie e piccole, sono d’accordo. (Alcune di queste, che avevano rilevato debiti di Murdoch da altri Istituti di credito, risultavano sconosciute anche ai direttori finanziarii della News Corp.)

Si parla di 7,6 miliardi di dollari da restituire in tranches da 800 milioni l’anno e di un nuovo debito, a breve termine, pari a 600 milioni di dollari, da restituire a febbraio del 1992. Il conto degli interessi è molto salato. Il denaro verrà pagato l’1% in più di quanto veniva pagato in passato. Viene costituito un comitato di controllo, composto da una dozzina di rappresentanti di banche, che riferirà trimestralmente sulle operazione e sui conti del gruppo.

Si impone il divieto alla News Corp. di pagare dividendi annuali agli azionisti in misura superiore a 10 centesimi australiani per azione. Il Parlamento Australiano, a corollario, legifera affinché si blocchi l’uso delle consociate offshore, posizionate in diversi paradisi fiscali, che la News Corp. ha largamente usato in passato per ridurre gli obblighi all’erario. E si attendono le vendite sperando che Murdoch trovi veramente qualcuno disposto a comprare ciò che vuole dismettere, nonostante la crisi. Lo troverà.
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VENDE QUASI TUTTI I SUOI GIORNALI NEGLI STATI UNITI E IL 55% DELLE IMPRESE TIPOGRAFICHE IN AUSTRALIA, titoleranno i giornali. L’ORDALIA È OVER (‘IL GIUDIZIO DI DIO SI È CONCLUSO’) è invece il titolo del «FT», che si premura anche di segnalare il suggerimento di alcuni cinici osservatori: «aveva troppi debiti per essere autorizzato a fallire».
«Negli ultimi tre mesi», commenta Murdoch in un’intervista, «abbiamo avuto un periodo di profonda introspezione. Ve lo posso assicurare».

20/ Continua...

APOCALYPSE MURDOCH” DI GLAUCO BENIGNI, 21° PUNTATA - TUTTO CAMBIA, MURDOCH RESTA: FINISCE LA CRISI ECONOMICA, BUSH SOSTITUISCE REAGAN E LO SQUALO 60ENNE HA “BSKYB” IN INGHILTERRA E “FOX” NEGLI USA - BARRY DILLER LO ABBANDONA: IL SUO PIÙ ABILE COLLABORATORE DIVENTA UN PERICOLOSO AVVERSARIO - IL RICCO ACCORDO COL REGISTA JAMES CAMERON - L’ATTACCO ALLA “CNN” E I DISSAPORI INTERNI - I DIRITTI DELLE PARTITE DI FOOTBALL...

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FOX AND CO...
La crisi finanziaria è stata superata. La Prima Guerra del Golfo, con tutte le sue conseguenze, è alle spalle. George Bush sr., che è subentrato a Reagan da un paio d’anni, è al suo apice, e anche questo Presidente non disdegna le reciproche attestazioni d’amicizia con il nostro tycoon. Il sessantenne Murdoch, instancabile (sulla breccia ormai da trentotto anni), non pensa minimamente alla pensione. Ha un paio di importanti nuovi «giocattoli»: BSkyB in Inghilterra e la Fox in America.
RUPERT E WENDI DENG MURDOCHRUPERT E WENDI DENG MURDOCH

Vive praticamente sul Concorde. Insieme alla moglie Anna, la seconda, ha speso circa 7 milioni di dollari per acquistare una casa sulle colline di Los Angeles e da lì, quando è in California, cala elegantemente con la radio accesa, alla guida di una Mercedes decappottabile verde, verso la sede centrale della 20th Century Fox. Gira un po’ nei set, stringe mani, sorride, poi si reca negli uffici, si siede nella stanza che fu di Darryl Zanuck e comincia le operazioni di coordinamento del suo vasto Impero. Il 1991 passa così.

Agli inizi del 1992, s’alza un po’ di bufera: si conclude il settennato che aveva visto lavorare, spalla a spalla, Barry Diller e Rupert Murdoch. Diller se ne va con una buona uscita e investe in Qvc Network, una rete specializzata in teleshopping. Per Murdoch il guaio è doppio: da una parte perde uno dei suoi dirigenti-partner più abili e dall’altra si ritrova un concorrente che sa tutto di lui, che nel corso degli anni crescerà e che arriverà anche a sfidarlo apertamente (durante la battaglia di maggio 2003, per la deregulation nella Tv terrestre in Inghilterra).
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Gli affari cinematografici, coordinati dal presidente dei Fox Studios, Joe Roth, comunque non vanno male. Anzi. Nell’aprile del 1992 si annuncia la sigla di un accordo con il trentasettenne produttore-regista James Cameron, al quale si mettono a disposizione 500 milioni di dollari per i successivi cinque anni.

L’autore di Alien e Terminator ha fatto incassare ai botteghini 204 milioni di dollari, nel 1991, con il suo Terminator 2, confermando che è in corso l’era dei megafilm realizzati con megabudget. Ecco, dunque, mezzo miliardo di dollari pronti per lui, affinché produca una dozzina di bei film (quattro dei quali personalmente diretti). In sostanza è il rafforzamento di una politica che alla Fox piace: grandi film un po’ trash, pensati per colpire l’immaginario collettivo di grandi platee, intorno ai quali costruire ulteriori pacchetti di offerte e merchandising.

Murdoch approva e intanto pensa alla Fox News. Nella sua offerta manca ancora un prodotto «forte» che, al di là delle notizie gestite dal suo gruppo a mezzo stampa, gli consenta alcune mosse strategiche: ingraziarsi sempre più i vertici della politica, barattare con loro l’organizzazione del consenso in cambio di agevolazioni normative e infine sferrare un attacco al cuore dei Democratici e della Cnn che, dalla Guerra del Golfo in poi, è diventata leader nell’informazione planetaria. Detto. Fatto !
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Murdoch, verso la metà del 1992 contatta Van Gordon Sauter, mitico responsabile delle news alla Cbs fino al 1986, sposato (è importante) con Kathleen Brown, Tesoriere dello Stato della California e potenziale prossimo Governatore. Gli spiega le sue strategie e lo convince, a luglio del 1992, a entrare nella famiglia Fox Television per studiare l’offensiva contro la Cnn. Il progetto di Sauter è: «la News Division deve attrarre spettatori di ogni età», e Murdoch è d’accordo.

Ci vorranno anni però prima di realizzarlo. In realtà, per diversi motivi legati all’organizzazione interna, Sauter finisce in un angolo fino al gennaio 1993, quando Jamie Kellner, che era stato uno dei grandi architetti dello sviluppo di Fox Tv, rassegna «inaspettatamente» le dimissioni.

Kellner non è il primo - né sarà l’ultimo - ad andarsene in quegli anni tanto fecondi quanto ansiogeni della Fox, e tutti ritengono che le defezioni siano da attribuire al carattere del gran patron, il quale, dopo una fase, in cui aveva lasciato mano libera ai suoi collaboratori yankees, ora ingerisce pesantemente in troppe occasioni. Tanto pesantemente che se ne va anche il capo dei Fox Studios, Joe Roth, a causa dello stop riguardante il budget di Die Hard 3.

La Borsa non gradisce questi scontri interni nella provincia americana dell’Impero Murdoch e il titolo News Corp. flette. È un primo segnale del fatto che gli azionisti americani esercitano un controllo diverso da quello al quale Murdoch è abituato in Inghilterra e soprattutto in Australia. Specialmente gli Istituzionali e i Grandi Fondi amano un certo «clima», fatto di antiche formalità , tra le quali il rispetto dei manager e, come vedremo, il rispetto delle procedure fiscali.
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A febbraio 1993, la Nielsen, società numero uno di ricerca sull’audience in America (e nel mondo intero), conferma una tendenza preoccupante: Fox Television non aumenta gli ascolti da un anno. Si è fermata al 13% nel giorno medio e cala leggermente anche nella fascia d’età in cui è dominante, la «18-49 anni». MURDOCH STA ANDANDO ALLA DERIVA PERCHÉ AL TIMONE NON C’È PIÙ DILLER?, titolano i giornali. Da quando ha assunto il comando diretto delle operazioni ha agitato troppo le acque: è andato contro le tradizioni di Hollywood riducendo budget e cachet, di certo faraonici (ma che lì sono dati per scontanti).

Ha respinto le richieste di aumento di stipendio di grandi dirigenti (che quindi se ne sono andati), ha operato tutte le sostituzioni utilizzando figure interne (passando Peter Chernin dalla Fox Tv alla Fox Cinema; Leslie Hinton dalla direzione editoriale alla direzione delle Tv; Lu¬cille Salhany dalla produzione Tv alla direzione del network). Si ritiene che abbia agito per rafforzare il proprio controllo interno. E ciò non piace.

In ogni caso la vasta area Fox Inc. produce denaro. Nell’ultimo esercizio i settori cinema e Tv hanno procurato un aumento del reddito operativo totale e, nonostante lo stallo degli indici d’ascolto, secondo gli analisti, Fox Tv rivela ancora un potenziale di enorme crescita. Murdoch annuncia anche di voler lanciare un canale tv via cavo alimentato con i film Fox e incarica Peter Chernin di aumentare la produzione annuale: da 18 a 24 film l’anno. Tra i grandi investimenti previsti ci sono 35 milioni di dollari per Sol Levante, l’adattamento cinematografico del romanzo di Michael Crichton, interpretato da Sean Connery.

Nel 1993 Murdoch ricompra il «New York Post» e alla fine dell’anno fa una delle sue mosse classiche e vincenti: prende una fiche da 1 miliardo e 600 milioni di dollari e la offre, nel corso di un’asta, alla National Football Conference, una delle due leghe di calcio.
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«Voglio l’esclusiva per quattro anni»: la sua offerta supera di 400 milioni quella della concorrente Cbs, che da quarant’anni anni trasmette le partite della Nfc. Gliele strappa. Come immediata conseguenza estende il numero delle televisioni affiliate alla Fox da 127 a 184. In tal modo, in termini di copertura e diffusione dei propri programmi, arriva direttamente a ridosso dei grandi network: in testa c’è la Abc con 227 stazioni, segue la Nbc con 214, mentre la Cbs ne ha 200, solo 16 più di lui.

A breve, nei mesi successivi, sottrae altre stazioni ai concorrenti, generando danni soprattutto nel parco delle deluse affiliate Cbs. Ben otto passano alla Fox. Le nuove recenti acquisizioni sono di prima qualità: trasmettono in banda Vhf, con una potenza maggiore delle rivali, si trovano ai primi posti nella sintonizzazione dai telecomandi, sono tutte affermate, qua¬li numeri uno o due, nelle proprie aree di mercato: da Atlanta a Tampa, da Detroit a Austin, da Dallas a Phoenix, la Fox Tv entra in milioni di case d’America dalla porta principale.

Gran parte di queste emittenti sono i gioielli della World Communications, che fa parte del gruppo finanziario di Ronald Perelman, il patron della Revlon. Murdoch gli ha proposto una joint venture per fare programmi insieme, poi gli offre un ulteriore mezzo miliardo di dollari per le stazioni tv, e Perelman ha accettato. «Abbiamo compiuto un gigantesco passo», dichiara Murdoch, «nella creazione di un quarto network pienamente competitivo con gli altri tre», e ha ragione.


LA TERZA FASE DELL’ERA MURDOCH
Nel 1994, nonostante i molti successi, Murdoch non ha ancora vinto la battaglia più dura, quella della ‘prima serata’ Usa: il mitico prime time. Sempre secondo la Nielsen, in prima serata Fox non va oltre il 7,2% degli ascolti, molto dietro quindi all’11% della Nbc, al 12,4% della Abc e al 14% della Cbs. Considerando che ogni punto quell’anno equivale a 942.000 spettatori, Murdoch ne deve ancora portare di fronte ai suoi schermi altri 5 milioni per considerarsi nella quaterna e lo deve fare con sole 15 ore a settimana di programmi da prime time, mentre i network ne fanno 22. E lo deve fare - ancora - senza news ben strutturate.

Il terremoto innescato da Murdoch, considerato uno dei maggiori nella storia della Tv in America, genera anche molti altri effetti secondari, tra cui una battaglia tra i network per riaccaparrarsi le stazioni perdute (con conseguenti scaramucce finanziarie tra i grandi e i piccoli), il risveglio della Fcc (che continua a far notare a Murdoch che, nonostante la sua cittadinanza americana, la proprietà della Fox è intestata a una società, la News Corp., di diritto australiano e quotata a Sydney). Murdoch, per contro, minimizza e glissa. Quello che voleva ce l’ha e se lo tiene così com’è, anzi, ci aggiunge una Tv via cavo che denomina FX Entertainment Network.
RUPERT E WENDI MURDOCH CON LE FIGLIERUPERT E WENDI MURDOCH CON LE FIGLIE

Si conclude in quest’anno, per certi versi, la seconda fase dell’epopea murdocchiana.
La prima era stata caratterizzata da un’espansione «seriale», fondata sull’acquisizione di imprese di stampa e editoria, successivamente estesa a piccole porzioni di Tv. Un’espansione lenta, durata circa trent’anni, segnata da uno sviluppo tecnologico prevedibile e controllabile, durante la quale, fino al 1985-’86, Murdoch ha creato una collana di proprietà di vario genere: una perla dopo l’altra, una società dopo l’altra, saldando interessi australiani, con attività in Inghilterra e compiendo poi piccole incursioni in America. Il tutto inesorabilmente sotto il controllo di una «Casa Madre» di diritto australiano che considera i propri azionisti un club di fedeli e ossequiosi privilegiati, sempre rispettosi di qualsiasi gesto del Boss.

La seconda fase è caratterizzata da una gestione mista: ancora «seriale», fino al completamento dei pezzi mancanti, ma gia’ parzialmente «in parallelo». Ovvero: la News Corp. continua a collezionare assetts, ma contemporaneamente comincia a stabilire tra loro le efficaci prime sinergie regionali e intercontinentali. La coda della strategia «seriale» si deve fondamentalmente alle ambizioni televisive, per realizzare le quali Murdoch non poteva non possedere una miniera di motion pictures (‘immagini in movimento’): content pregiato da organizzare in film e prodotti Tv. Ora ha la Fox.
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L’ha messa nelle mani salde e sicure di Peter Chernin, e comincia ad esserne soddisfatto. Ma non basta. Oltre al content Murdoch ha bisogno del networking, cioè delle reti di distribuzione, cioè di Fox Televison e delle reti via cavo in America. Ciò fatto, comincia anche la strategia «in parallelo», che si basa sull’utilizzazione dei prodotti made in Usa - i cui costi vengono più che ripagati su quel territorio- negli altri teatri operativi: la Tv via satellite in Inghilterra (alla quale si sta alacremente dedicando), la Tv via satellite in Asia (dove ha messo un piede già nel 1993), le sue reti Tv in Australia e (in seguito) le Tv via satellite e via cavo in America Latina.

In sostanza Murdoch, in questi anni, opera anche una ristrutturazione sulle proprie fonti di fatturato. Fino a quando quotidiani, riviste e libri costituiscono l’80% dei suoi ricavi e le immagini in movimento (cinema, Tv, homevideo) sono solo una porzione minoritaria, Murdoch è legato ad uno sviluppo «seriale». Con la Fox Inc. invece le proporzioni cambiano a favore delle motion pictures e Murdoch si ritrova in una fase mista per una decina di anni.

Il passaggio conclusivo, dalla fine della seconda fase alla terza, avviene tra il 1995 e il 1998, e prevalentemente in America, mercato in cui Murdoch stabilisce il suo laboratorio più evoluto per diversi motivi: l’accesso a enormi risorse finanziarie, le straordinarie possibilità di fatturato da pubblicita’ televisiva, lo stato evolutivo delle tecnologie di distribuzione dei segnali, la deregulation normativa e la tradizione esasperatamente competitiva, e senza esclusione di colpi, che gli è congeniale.
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Nel 1996 lancia due nuove televisioni via cavo: Fox News Channel e Fox Sport Net. La prima, per molto tempo, non gli darà nessuna soddisfazione. Nel mercato delle news via cavo, come accennato, esiste - ed è consolidata da anni - la forte leadership della Cnn, e inoltre l’area è presidiata anche dal gigante Microsoft, che ha realizzato una joint venture con la Nbc (e offre Ms-Nbc). Ambedue i concorrenti via cavo confezionano ottimi programmi, affidati a giornalisti e anchormen molto famosi.

Inoltre, l’usanza consolidata negli Usa incolla agli schermi dei grandi network via etere decine e decine di milioni di spettatori per l’appuntamento con i notiziari di mezza sera. La maggioranza si ritiene ancora soddisfatta da quel tipo e volume d’informazione, quindi, per il momento «fare news» è solo una grande spesa. Addirittura Fox News Channel, per essere inserita nelle diverse reti via cavo, paga fino a 10 dollari l’anno per ogni abbonato raggiunto. Murdoch, come sappiamo, ci deve stare, ingoia amaro e tiene duro, aspettando tempi migliori.

Fox Sport Net invece è da subito un trionfo. Nel terreno più amato, più consono e a lui più noto, Murdoch si muove abilmente e con successo. Contatta e aggrega 22 piccole reti regionali che, tutte insieme, posseggono i diritti delle maggiori partite di baseball e di pallacanestro. Poi procede a un accordo con John Malone, proprietario di reti via cavo e insieme fondano Fox Liberty Network.

A corollario, fa una delle mosse decisive per il controllo dello sport in America: acquista i Dodgers, una delle squadre di baseball più venerate di Los Angeles (per 311 milioni di dollari) e la usa per concordare gli incontri con le altre grandi squadre, nelle quali acquista partecipazioni di minoranza: i Lakers, i King, i Knicks e i Rangers. L’abile RKM manovra a questo punto in modo che le partite si tengano in giornate che fanno comodo alla sua programmazione e creino problemi alla programmazione dei suoi concorrenti.
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Infine riesce a organizzare trattative con gli altri club di baseball, per comprare con un solo accordo i diritti internazionali e poter rifornire in tal modo i suoi bacini asiatici e latinoamericani (aggiungete a tutto questo il fatto che Murdoch possiede i diritti per la World Series, i playoff della Nfl e il Super Bowl e capirete perché il suo maggior rivale, Espn della Disney, fino a quel tempo potentissimo, comincia a lasciargli spazio e conseguentemente introiti pubblicitari).

22/Continua...