Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  giugno 15 Venerdì calendario

LE TEORIE DI CARESSA E L’ARBITRO GRUBER

Dunque Fabio Caressa, il noto telecronista di Sky, sostiene che il calcio è una grande espressione popolare del Paese che lo produce.
Per rafforzare la tesi ha spiegato che il gioco dell’Inghilterra riproduce la tendenza di quel popolo a conquistare oltre la Manica (palla lunga in area e giù botte), che quello della Francia richiama il loro vino più famoso (calcio champagne), che l’Italia si è sempre dovuta difendere dallo straniero e quindi ha inventato il contropiede, oggi ripartenza.
Dunque Tito Boeri, il noto economista, professore alla Bocconi, sostiene che il calcio è svigorito da mali profondi, debiti a non finire, violazione sistematica delle norme sportive, dipendenza assoluta dalla tv, gravi diseguaglianze fra club e altre cosucce del genere.
I due discutono di calcio davanti all’arbitro Lilli Gruber, che in materia pare poco ferrata, si limita a leggere alcune domande ma non riesce mai a rilanciare la discussione entrando nel vivo dei problemi: «Otto e mezzo» (La7, mercoledì, ore 20.40).
Caressa ha scritto un libro Gli angeli non vanno mai in fuorigioco. La favola del calcio raccontata a mio figlio (Mondadori) e la prima cosa che viene in mente è che i figli Caressa (tra i pasti di Benedetta e i libri del padre) rischiano qualcosa.
Temo per esempio che il libro, così come è stato presentato da Lilli, sia un po’ pieno di luoghi comuni.
Anche Boeri ha scritto un libro, Parlerò solo di calcio (il Mulino), che dovrebbe diventare libro di testo a Coverciano per capire, per esempio, la preponderanza dei diritti televisivi nel fatturato delle società (il Barcellona prende meno soldi dalla tv di quelli che prendono Juve o Milan), l’incapacità di fare merchandising, di gestire stadi di proprietà (con la sola eccezione della Juve). Le nostre squadre sono sempre a rischio fallimento ma sono anche too popular to fail, troppo popolari per fallire.
C’è chi racconta il calcio come favola e chi come realtà. Fate voi.
Aldo Grasso